(Ricorso dichiarato inammissibile)
(Orientamento confermato)
(Normativa di riferimento: C.p. art. 385)
Il fatto
La Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dichiarava l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 385 cod. pen. e lo ha condannato alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione
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Motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato adducendo i seguenti motivi: a) insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in quanto l’assistito aveva agito spinto dal malessere dovuto alla notizia del rigetto in Cassazione del ricorso proposto a suo favore on altro processo e alla conseguente prospettiva del suo rientro in carcere; b) riforma della sentenza assolutoria di primo grado dato che la Corte di Appello non aveva proceduto ad una motivazione rafforzata che desse effettiva ragione della esistenza di una responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto alla stregua delle seguenti considerazioni.
I giudici di Piazza Cavour rilevavano come la Corte di Appello, del tutto correttamente, avesse, da una parte, individuato l’essenza del dolo del delitto di cui all’art. 385 cod. pen. nella consapevolezza di allontanarsi, in assenza della necessaria autorizzazione, dal luogo degli arresti domiciliari, dall’altro, osservato, in questa prospettiva argomentativa, che non rilevavano in alcun modo i motivi che avevano determinato la condotta dell’agente (così, da ultimo, Cass. Sez. 6 del 8/5/2012 n. 19218, P.G. in proc. Rapillo, Rv 252876).
Si evidenziava inoltre come la Corte territoriale avesse altresì accuratamente e persuasivamente motivato anche sul punto specifico della non influenza della circostanza rappresentata dal fatto che l’imputato si era presentato presso la Stazione dei Carabinieri, richiamando i principi di diritto fissati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 6 del 13/5/2014 n. 22109, Costa, Rv 262537).
Conclusioni
La sentenza si appalesa del tutto condivisibile.
In questa decisione, difatti, è stato fatto un buon governo sia dei principi ermeneutici elaborati dalla Cassazione per quel che riguarda la sussistenza del dolo nel delitto di evasione, sia per quel che concerne l’irrilevanza, ai fini della esclusione di questo elemento soggettivo, del fatto che l’autore del reato di evasione si sia recato presso la stazione dei Carabinieri per chiedere di essere tradotto in carcere stante il fatto che, come recita il precedente richiamato dalla Corte nella decisione in commento, vale a dire la sentenza n. 22109 del 13/05/2014, integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei carabinieri ancorché per chiedere di essere ricondotto in carcere.
Se quindi la sentenza in questione in sé e per sé considerata, è sicuramente munita di un corretto apparato argomentativo, non può al contempo segnalarsi, in riferimento al secondo tema trattato, che sussiste un diverso orientamento nomofilattico secondo il quale, invece, in tema di evasione, deve ritenersi insussistente il dolo nella condotta di colui che, trovandosi agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, se ne allontani per recarsi, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri (così: Cass. pen., sez. VI, 5/02/2013, n. 25583).
Alla stregua di questo diverso approdo interpretativo, pertanto, ben si potrebbe elaborare una strategia difensiva volta a sostenere l’applicazione di questo diverso filone ermeneutico con particolar riguardo al giudizio di legittimità, ove si potrebbe chiedere l’intervento delle Sezioni unite al fine di chiarire quale di questi due orientamenti sia quello da doversi utilizzare.
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