Equivalenza, secondo la normativa europea e nazionale
Ciò è innanzitutto previsto – specificano gli Ermellini – nel diritto dell’Unione europea, per cui le firme digitali di tipo CAdES o CMS, oppure di tipo PAdES o PDF sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri dell’Unione, senza eccezione alcuna. In altri termini, al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale Ue, sono stati adottati degli standards europei, mediante il c.d. Regolamento eIDAS (Reg. Ue n. 910/2014) e la conseguenziale decisione esecutiva (Comm. Ue 2015/1506), che per l’appunto impongono a tutti gli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte ai documenti secondo determinati formati, tra cui figurano sia quello CAdES che quello PAdES.
Passando alla realtà nazionale, secondo i documenti ufficiali dell’Agenzia per l’Italia Digitale, la firma digitale è il risultato di una procedura informatica – validazione – che garantisce l’autenticità ed integrità dei documenti informatici. Dopo aver fornito precisazioni circa i formati di firma CAdES e PAdES, la stessa Agenzia certifica la piena equivalenza degli stessi. A conferma di ciò, anche la normativa sul processo civile telematico, ed in particolare il Decreto dirigenziale 16 aprile 2014, contenente le Specifiche tecniche di cui all’art. 34 D.m. n. 44 del 21 febbraio 2011.
Per concludere, può escludersi che le disposizioni tecniche attualmente vigenti comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, rispetto alla firma digitale in formato PAdES. Né sono ravvisabili elementi, in dottrina e giurisprudenza, tali da poter ritenere che solo la firma CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto Ue e la normativa interna, si ribadisce, certificano l’equivalenza tra le due firme digitali, anche quanto alla loro ammissione nell’ordinamento, sebbene con differenti estensioni, .p7m l’una e .pdf l’altra.
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