Cassazione civile, sez. lavoro, del 13.03.2018 n. 6047.
Il lavoratore assente per malattia non per questo deve astenersi da ogni altra attività, quale, in ipotesi, un’attività ludica o di intrattenimento, ma la stessa non solo deve essere compatibile con lo stato di malattia, ma deve essere altresì conforme all’obbligo di correttezza e buona fede, gravante sul lavoratore, di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia con conseguente recupero dell’idoneità al lavoro.
Il caso
Il dipendente di una ditta veniva licenziato poiché durante la sua assenza per malattia (dovuta a lombosciatalgia) veniva accertata una sua partecipazione ad un concerto come fisarmonicista. A detta della società intimante il suddetto comportamento aveva determinato il rischio di compromettere, aggravare o ritardare la guarigione del lavoratore, in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.
La ditta aveva, quindi, adito il Tribunale instando per la declaratoria di legittimità del licenziamento intimato, stante la ritenuta giusta causa dello stesso. All’accoglimento del ricorso datoriale seguiva, con esito negativo, l’opposizione del lavoratore che, di contro, aveva richiesto l’annullamento del licenziamento e la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.
La sentenza veniva riformata in sede di appello – a seguito di reclamo proposto ex art. 1, comma 58, L. n. 92/ 12 – con annullamento del licenziamento intimato e conseguente condanna della società datrice alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro nonché al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
La decisione della Corte
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso datoriale ove tale attività esterna, anche se prestata a titolo gratuito, sia sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, così concretizzando una sua fraudolenta simulazione, ovvero quando l’attività in parola, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (così, Cass. n. 17625/14; Cass. n. 24812/16; Cass. n. 21667/17).
Inoltre – specifica, ancora, la Corte – l’espletamento di un’attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia rappresenta un illecito disciplinare sia quando da tale comportamento derivi una effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro e sia quando la stessa ripresa venga messa in pericolo dalla condotta imprudente del dipendente (in tal senso Cass. n. 16465/15), con una valutazione di idoneità che dovrà essere effettuata, necessariamente, ex ante, rapportata, cioè, al momento in cui è stata posta in essere la condotta in argomento (così, ex plurimis, Cass. n. 21667/17; Cass. n. 10416/17; Cass. 24812/16; Cass. 17625/14).
I Giudici di legittimità rilevano, poi, come al richiamo ai suddetti principi non sia seguita, da parte della Corte di appello, la corretta applicazione degli stessi nel decisum oggi gravato. Difatti, la sentenza impugnata è viziata nella parte in cui non ha operato, nel rispetto dell’onere probatorio gravante sul lavoratore, il giudizio di verifica della conformità a correttezza e buona fede della condotta contestata al lavoratore rispetto all’obbligo di cautela gravante sullo stesso.
Sostanzialmente, la Corte di merito non ha esteso la propria indagine al “vaglio del rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede che richiedevano che il lavoratore adottasse ex ante le cautele del caso, anche in ragione della circostanza che il medico che aveva rilevato la lombosciatalgia aveva prescritto, essenzialmente, il riposo”; di qui la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte territoriale.
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