Il fatto
E’ questo, in sintesi, il principio affermato dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 11272 del 10 maggio 2018, con cui è stata respinta la richiesta avanzata dapprima da un soggetto (che aveva intrapreso l’azione) e poi dai suoi eredi succedutisi in giudizio, avverso la società produttrice di sigarette ed il Ministero della salute, onde sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti dal loro congiunto, per la gravissima malattia contratta a causa del fumo.
In particolare, gli attori lamentavano come il defunto parente avesse iniziato a fumare sin da giovane ben due pacchetti di sigarette al giorno e che tale abitudine avesse determinato la formazione del carcinoma al polmone, poi fatale. Sostenevano al riguardo, che solo con la diagnosi della malattia e con la comparsa dei primi sintomi, l’uomo aveva preso consapevolezza dei rischi del fumo ed aveva pertanto tentato di smettere, non riuscendo nel proprio intento, stante il forte bisogno di consumare sigarette.
Gli attori addebitavano pertanto l’assuefazione del congiunto al fumo, alle sostanze contenute nelle sigarette, imputando dunque la causa della malattia ai soggetti che le avevano prodotte e poste in commercio. Il fumatore, difatti, non aveva mai prestato un libero consenso ed, allorquando aveva acquistato sigarette, era stato viziato e carpito dai convenuti con dolo e raggiri. Gli eredi chiedevano, infine, che venisse accertato il nesso di causalità tra il carcinoma ed il fumo costante di sigarette, con conseguente risarcimento dei danni subiti.
Insussistenza del nesso di causa
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano la domanda; quest’ultima, in particolare, adducendo all’insussistenza del nesso di causa fra le pretese condotte illegittime dei convenuti ed il danno, alla stregua del principio di diritto della “causa prossima di rilievo”.
Fumare, atto di libera volizione con la consapevolezza dei rischi
Ha evidenziato sul punto la Corte, che la dannosità del fumo costituisce da lunghissimo tempo un dato di comune esperienza; sicché, anche a voler configurare una responsabilità in capo al produttore ex artt. 2043 e 2050 c.c., si perverrebbe ad escludere il nesso di causalità – specie nel caso de quo, ove si tratta di abuso – in base al rilievo per cui la condotta del fumatore sarebbe un atto di libera volizione, consapevole ed autonomo, in piena cognizione, dunque, della nocività del fumo. Anche perché non può ritenersi che la nicotina – come sostenuto dai presunti danneggiati – sia in grado di annullare la capacità di autodeterminazione del soggetto, costringendolo a fumare senza possibilità di smettere.
Un’argomentazione, quest’ultima, pienamente confermata dalla Corte di Cassazione, la quale, respingendo il ricorso degli eredi, sottolinea nuovamente l’insussistenza del nesso di causalità tra la condotta del fumatore e la commercializzazione di sigarette da parte della ditta produttrice, in base al suindicato principio della “causa prossima di rilievo”. Ciò che esclude, secondo gli Ermellini, ogni ulteriore profilo di valutazione della colpa ex art. 2050 c.c. (e conseguente onere della prova liberatoria) che si sarebbe dovuto affrontare solo se il presupposto del nesso causale fosse stato asseverato.
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