Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 12103 del 17 maggio 2018, in occasione di una controversia di lavoro, in cui una società era stata condannata a reintegrare alcuni lavoratori illegittimamente licenziati ed a corrispondere loro la relativa indennità. Secondo la Corte d’appello, in particolare, dovevano dirsi illegittimi i licenziamenti intimati, dipesi da una presunta crisi commerciale (per cui la società era stata posta in liquidazione), che in realtà celava un trasferimento d’azienda.
Avverso la sentenza, la società datrice proponeva ricorso in Cassazione, lamentando, tra l’altro, come la Corte distrettuale, pur ritenendo fondato un motivo d’appello, avesse erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti ex art. 13 D.p.r. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato, richiedente invece il rigetto integrale del gravame.
Doppio contributo se l’impugnazione è rigettata, inammissibile o improcedibile
Il meccanismo sanzionatorio del c.d. doppio contributo unificato – chiarisce sul punto la Corte Suprema – è applicabile laddove l’impugnazione si concluda con una pronuncia di rigetto integrale, inammissibilità o improcedibilità. La ratio del citato art. 13, che pone appunto a carico del soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, va individuata nell’intenzione di scoraggiare le impugnazione dilatorie o pretestuose.
Il contributo in esame ha le caratteristiche essenziali del tributo, ossia la doverosità della prestazione ed il collegamento di questa ad una pubblica spesa qual’ è quella del servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante.
Conta l’esito complessivo dell’impugnazione, non le singole doglianze
Nell’ipotesi – di specie – di rigetto di merito del gravame, è evidente che la valutazione da compiersi, per la declaratoria di sussistenza dei presupposti del doppio contributo, è quella relativa ad un esame complessivo dell’impugnazione, e non ad una verifica atomistica e circoscritta delle singole doglianze, perché ciò che rileva è l’esito finale che deve concludersi, in pratica, con l’integrale conferma della statuizione impugnata.
Tale interpretazione, del resto – concludono gli Ermellini – è l’unica compatibile con i principi di legalità, tipicità e ragionevolezza che devono regolare l’esegesi di una disposizione di natura tributaria, perché la debenza del pagamento aggiuntivo viene collegata al dato oggettivo della definizione in senso sfavorevole all’impugnante, senza lasciare margini di discrezionalità sulla valutazione parziale di fondatezza delle singole censure comunque ininfluenti sull’esito finale della impugnazione.
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