Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con l’ordinanza del 8 maggio 2018, n. 10983, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio quanto già deciso, nel caso de quo, dal Tribunale di Arezzo quale giudice d’appello.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che il Tribunale di Arezzo, con la sentenza n. 79X/2016, in riforma della sentenza del Giudice di pace, accoglieva l’opposizione di CAIO ed annullava il Decreto della Prefettura di Arezzo prot. n. 95XX/2011, compensando le spese.
Il suddetto decreto statuiva la sospensione ex art. 223 C.d.S. della patente di guida di Caio a seguito del verbale, di cui in atti, con cui veniva accertata la guida di veicolo in stato di alterazione psicofisica correlata all’uso di sostanza stupefacente.
La sentenza oggi gravata dall’Avvocatura erariale innanzi a questa Corte, riteneva che “…non vi era prova di guida in stato di alterazione causato da precedente assunzione di sostanze stupefacenti”.
La decisione è stata impugnata per la cassazione dall’Avvocatura erariale con tre motivi.
Per quanto è qui di interesse, la ricorrente Avvocatura con il primo motivo del ricorso censura il vizio di violazione e falsa applicazione di legge (artt. 222 e 187 C.d.S.) in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c..
La ricorrente deduce l’erroneità della gravata decisione del Tribunale in ordine alla pretesa necessità che il Giudice investito dell’opposizione doveva, nell’ipotesi, svolgere il proprio operato non solo sul controllo formale del provvedimento prefettizio, ma anche sulla consistenza di “fondati elementi di evidente responsabilità”.
E, quindi, sempre secondo l’impugnata sentenza, accertare “secondo un’opzione scientifica non arbitraria…, la persistenza, dopo l’assunzione di sostanza stupefacente, di principio attivo comprovante uno stato di alterazione in atto al momento della guida del veicolo”.
La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 10983/2018, ha ritenuto il motivo fondato ed ha accolto il ricorso.
Sul punto controverso la Suprema Corte osserva che il ragionamento decisorio del Tribunale è errato in quanto applica alla concreta fattispecie per cui è giudizio (art. 223, co. 1 C.d.S., guida in stato di alterazione senza lesioni colpose o omicidio derivanti dalla circolazione) quanto – viceversa- previsto per le sole ipotesi di cui all’ art. 222, commi 2 e 3.
Solo per tali ultime ipotesi (quando cioè dall’uso delle sostanze stupefacenti derivino lesioni o omicidio), in sostanza, il Prefetto deve procedere ad una valutazione dei ” fondanti elementi di una evidente responsabilità”, riferibile -nella fattispecie- a reati di particolare importanza.
Viceversa, allorché non derivino tali reati, il Prefetto -ex art. 223, comma 1, C.d.S., “dispone la sospensione della patente”, che integra un atto dovuto privo di discrezionalità (come aveva ritenuto correttamente il Giudice di Pace).
Il principio (erroneamente invocato con l’impugnata sentenza) già affermato da Corte di Cassazione, S.U. n. 13226/2007 è riferibile alla sola ipotesi di sospensione della patente di guida nell’ipotesi del verificarsi dei detti reati.
Del tutto differente è, poi, l’ipotesi -non rapportabile a quella oggetto dell’odierno esame del ricorso- della revoca della patente di guida ai sensi dell’art. 120, co. 1 e 2 del C.d.S.
In conclusione, il dirimente motivo esaminato è fondato e comporta l’accoglimento del proposto ricorso.
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