Evoluzione normativa
Il mercato Europeo dei cosmetici è il più grande del mondo e riveste un’importanza finanziaria fondamentale: il suo valore nel 2011 superava i 70 bilioni di euro. In quanto questo settore produttivo si è dimostrato essere molto dinamico ed economicamente forte, esso è stato interessato da una normazione cospicua. Allo stesso tempo, è stato teatro di poche pronunce, per quanto riguarda tanto l’ordinamento giuridico italiano che quello europeo.
Esso fu inizialmente regolato con la direttiva 76/768/CEE, attuata in Italia con la legge n. 713/86, concernente il ravvicinamento delle legislazioni interne degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici. La direttiva venne adottata in seguito al celebre affaire du Talc Morhange, un’infelice vicenda che interessò la Francia negli anni Settanta, in seguito alla quale il Paese introdusse per primo una disciplina relativa alla fabbricazione, all’importazione e all’immissione nel mercato di prodotti cosmetici con la legge 75-604 del 10 luglio 1975, ponendo così le basi per il cd. droit de la beauté, da intendere come quell’insieme di norme dedicate ai contratti che ruotano intorno al concetto di bellezza personale.
L’intervento comunitario si inseriva in un contesto generalizzato di c.d. armonizzazione minima tesa al triplice obiettivo di costruire un mercato comune, tenendo conto delle resistenze sovraniste esercitate dai singoli Stati; rafforzare la sicurezza dei prodotti cosmetici attraverso lo strumento delle liste positive, aventi il fine di accrescere la disciplina della responsabilità del produttore e sorvegliare la trasparenza dei prodotti immessi; individuare linee guida comuni su sperimentazione animale, etichettatura e imballaggio dei prodotti. Il risultato fu un quadro regolamentare particolarmente complesso e complessivamente inadeguato alla creazione di un apparato di tutela effettivo e congruente nei confronti del consumatore di prodotti cosmetici. Tale debolezza non era altro che il frutto avvelenato di una integrazione comunitaria ancora acerba e ampiamente politicizzata in termini nazionalistici.
Il successivo intervento legislativo rilevante, e attuale testo di riferimento, è il regolamento 1223/2009/CE, esito di una ricompilazione di discipline pre-esistenti, tanto che la direttiva del 1976 vi è confluita all’interno. Sul piano della responsabilitàà per danni, il regolamento del 2009 si pone in stretto collegamento con le disposizioni della direttiva 85/374/CEE e la 2001/95/CEE sulla sicurezza generale dei prodotti. Non contiene specifiche previsioni riguardanti i profili della responsabilitàà e il legame con la direttiva del 1985 si ottiene grazie a un’interpretazione sistematica e considerando l’intervento del 2009 come una lex specialis, una normativa settoriale.
La sua rilevanza risiede nel fatto che costituisce un insieme di regole direttamente applicabile agli Stati membri e a tutti i soggetti in essi operanti. È proprio tale ultimo requisito, unitamente alla portata generale e alla obbligatorietà dei suoi elementi, a conferire al regolamento un grado di certezza e stabilità maggiore della direttiva, poiché gli Stati membri non possono intervenire per modificarne la disciplina. Il mutamento di tecnica regolatoria, pertanto, mostra l’intento di ridurre al minimo le divergenze tra Stati e di fissare livelli minimi di tutela uniformi e non derogabili. Il testo ha proposto una terminologia unica e ha favorito l’eliminazione di molte incertezze, grazie all’elaborazione di un set di definizioni uniformi che consente di evitare problemi interpretativi. In tal senso è rilevante la definizione di cosmetico, di cui all’art. 2, par. 1, lett. a): “qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”. Quindi, il cosmetico viene identificato per due caratteristiche: l’uso esterno da parte del consumatore e l’assenza di finalità terapeutiche.
Il regolamento si sofferma ampiamente sulle tecniche di tutela, specialmente sulle informazioni pubblicitarie, sul packaging del prodotto e soprattutto sulle etichette. Viene riconosciuto un ampio accesso dei consumatori all’informazione intesa nel duplice senso di quantitativa e qualitativa, ponendo a carico del produttore severi obblighi informativi di etichettatura e trasparenza nonchéé di parziale predeterminazione del contenuto del contratto. Questo perché il profilo dell’educazione del consumatore deve essere accentuato trattandosi di informazioni tecniche, difficilmente conoscibili. Gli obblighi di informazione sono imposti sia per proteggere il consenso e la parte debole del contratto ma anche per vincolare il produttore. Uno degli elementi caratterizzanti questo settore è il fatto che sui beni in questione non può essere effettuato un riscontro immediato, per cui è possibile una discrepanza tra le caratteristiche asserite e i reali effetti. La ratio degli obblighi informativi risiederebbe anche nel fornire una precisa determinazione dell’oggetto del contratto per vincolare il più possibile il produttore e evitare che si sottragga dalla responsabilitàà per inadempimento nel caso di mancanza delle qualitàà promesse. Ulteriore principio generale è quello di cui all’articolo 6 che prevede che le avvertenze siano indicate nella lingua dello Stato a cui il prodotto è destinato.
Va tuttavia ricordato che la direttiva ha solo in parte posto fine al problema della difformità in questo settore tra i diversi Stati membri, che è stato in parte superato con una disciplina di “armonizzazione massima” o “completa”, soluzione che è stata recentemente utilizzata sempre più di frequente, soprattutto con riferimento all’area dei diritti dei consumatori. Tra queste, l’ultima è rappresentata dalla direttiva 2011/83/CEE. Ai sensi dell’art. 4 si impedisce loro di applicare un livello di protezione dell’interesse o del diritto disciplinato dalla direttiva diverso da quanto delineato dal legislatore europeo, limitando la possibilità di intervento. In tal modo si creano regole più uniformi e si accentua il potere di controllo in capo agli organi comunitari.
Accanto a questa copiosa evoluzione della disciplina del diritto dei cosmetici va ricordato l’importante ruolo giocato dalla Corte di giustizia nell’interpretazione della direttiva del 1976. Molte di queste pronunce erano finalizzate a incrementare la tutela del consumatore. Va, tuttavia, notato che le liti riguardanti i prodotti cosmetici sono sempre state esigue per un duplice ordine di motivazioni. Innanzitutto, la struttura del contratto di vendita di cosmetici ha ad oggetto un bene sulle cui qualità o caratteristiche l’acquirente non può effettuare un riscontro immediato. Ciò espone l’acquirente ad una sfasatura tra quanto promesso e quanto acquistato e quindi solo in un momento successivo o dopo un utilizzo reiterato egli potrà verificare se il prodotto rispetta le caratteristiche descritte. Chiaramente da questo ragionamento vanno esclusi i casi in cui difformità o difetti siano fonte di un danno alla salute. Il consumatore, posto di fronte ad un micro-inadempimento, non sarà indotto ad instaurare una lite, la quale importerebbe dei costi sproporzionati rispetto al valore della controversia stessa. La reazione del consumatore sarebbe quella, piuttosto, di non acquistare nuovamente il prodotto. In secondo luogo, è riscontrabile una consapevolezza molto forte dei consumatori sulla potenziale nocività di un prodotto cosmetico, dovuta a eventi traumatici che hanno scosso la società e l’opinione pubblica.
L’esiguità delle liti cosmetiche registrata finora costituisce un dato destinato probabilmente a cambiare. Il motivo principale risiederebbe nel fatto che, dal punto di vista giuridico, il problema si traduce nella difficoltà della prova del nesso causale tra danno e composizione così come avvenuto nella vicenda degli acidi alfa idrogenati di cui si è appurata la tossicità solo dopo il loro massiccio impiego sul mercato. La disciplina della responsabilità del comportamento dell’impresa si congiunge dunque con il tema della probabile emersione di «fatti nuovi», ossia generatori di responsabilità riconducibili alle ipotesi di sviluppo tecnologico. Emergendo un inevitabile profilo di tutela della salute, le regole della responsabilità verranno influenzate dal principio di precauzione. In ragione del grado di rischiosità del prodotto, nell’ambito del settore cosmetico la prospettiva tipica è stata tradizionalmente rimediale. Nonostante ciò, l’espansione di tale settore, oltre ad aver modificato la percezione di questi prodotti che sono giuridicamente riconducibili a quelli a rischio elevato, ha indirizzato l’attenzione verso la tutela preventiva. Questa è realizzata grazie al sistema di controlli e autorizzazioni che il prodotto deve ottenere prima di essere immesso sul mercato, imperniato sul principio di precauzione. Esso non è estraneo né al legislatore né alla giurisprudenza europea. Già la direttiva 76/768/CEE prevedeva liste negative nelle quali erano elencati alcuni ingredienti di cui era limitata la circolazione. La maggior attenzione alla prevenzione del danno aveva poi portato l’aggiunta delle liste positive, che all’opposto, enunciano tutte le sostanze consentite.
Responsabilità del produttore, casistica e giurisprudenza
Per quanto concerne l’apporto della giurisprudenza in tema di responsabilità del produttore per prodotti difettosi, punto di partenza può essere considerato il celebre caso Wella, il quale ha rappresentato un caso molto controverso perché alcune voci in dottrina credevano si sarebbe trattato di un «ritorno alla responsabilità per colpa», mentre altri lo configuravano come una battuta d’arresto. Esso riguardava la vicenda di un consumatore che aveva riportato lesioni a seguito di un’anomala reazione allergica alla tintura per capelli. Inizialmente la Suprema Corte aveva respinto il ricorso sulla base di un’interpretazione letterale dell’articolo 8 d.p.r. 224/1998, riversando quindi sul consumatore la prova della dannosità del prodotto, che in questo caso avrebbe riguardato i componenti chimici presenti nella tintura, del difetto del prodotto e del nesso di causalità tra essi. La prova era, poi, maggiormente complessa se si considera che, laddove si tratti di prodotti cosmetici, veniva esclusa la responsabilità del produttore in presenza di anomale condizioni di utilizzo, e in questa fattispecie si trattava di una reazione inusuale. A soli sei mesi di distanza dal discusso caso Wella, sempre nel 2007, intervenne una statuizione di segno opposto. Il caso Mentor era stato promosso da una paziente nei confronti della società produttrice della protesi mammaria che le era stata impiantata, che si era improvvisamente svuotata e il contenuto si era diffuso nei tessuti circostanti, obbligando, così, la paziente a sottoporsi ad ulteriori interventi chirurgici. Non le venne solo risparmiato l’onere della prova, ma fu anche affermato che il prodotto dovesse essere considerato difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere. Come ricorda la Corte, infatti, la responsabilitàà del produttore non assume i caratteri propri di una responsabilitàà oggettiva assoluta non potendo essere affermata per la sola sussistenza della prova del nesso di causalitàà tra l’utilizzo del prodotto e il danno alla salute. I giudici arrivarono ad affermare che il regime della responsabilitàà del produttore richiede le normali condizioni di impiego del prodotto. In posizione mediana, dato che accoglie le argomentazioni di entrambi i casi, si trova una sentenza più recente in materia di filtri solari. L’utilizzatrice di un gel super abbronzante rapido, dopo essersi esposta al sole per alcune ore, aveva riportato ustioni di secondo e terzo grado. Il prodotto in questione indicava l’assenza del filtro solare e l’attrice non aveva applicato, congiuntamente al gel, alcuna crema solare. In questo caso la decisione della Suprema Corte fu orientata a stabilire una presunzione di responsabilitàà a carico del produttore a condizione che il prodotto risultasse utilizzato in condizioni di impiego normale, in linea dunque con le caratteristiche del prodotto e le istruzioni fornite sulla confezione dello stesso. Dalla lettura combinata della normativa di settore e della disciplina sulla responsabilitàà del produttore, infatti, si deduce che: «il requisito di sicurezza che, per i cosmetici, il produttore è tenuto a garantire, ed in mancanza del quale il prodotto deve ritenersi difettoso, si pone solo in relazione alle “normali condizioni di impiego” del prodotto medesimo (nel medesimo senso, è appena il caso di evidenziare, dispongono le norme successive sulla sicurezza generale dei prodotti)».
In altre parole, la responsabilitàà oggettiva sussisterà quando il danno si verifica a seguito di normali, e non abusivi o non consentiti, modalitàà utilizzo del cosmetico. Ponendo in correlazione diretta la garanzia e le normale condizioni di utilizzo, si esclude che la sola sussistenza del danno sia idonea a provare la pericolositàà del prodotto. L’affermazione della responsabilitàà si avràà, dunque, solo con la prova che l’insicurezza del prodotto derivi dalla minore affidabilitàà dello stesso rispetto a quanto ragionevolmente previsto dal consumatore sulla base delle informazioni in suo possesso. Dall’interpretazione di questa pronuncia si evince che i prodotti cosmetici debbano circolare senza arrecare danni alla salute benché la loro innocuitàà non sia richiesta. Infatti, richiamando l’articolo 5 del d.p.r. 224/1998, non ogni prodotto insicuro è anche automaticamente difettoso: lo è quello che non offre la sicurezza che si può legittimamente attendere. Il danno da cosmetico e il relativo risarcimento potranno scattare solo qualora, pur attenendosi alle istruzioni riportate dal produttore, il consumatore abbia sofferto conseguenze pregiudizievoli. Dunque, la pericolositàà del prodotto non discende ipso iure dal danno in sé, ma dalla negligenza del produttore nell’indicare le corrette modalitàà di utilizzo. Per concludere, si riconosce una presunzione del difetto a fronte della prova del danno derivante dal prodotto unitamente all’esclusione di un uso anomalo, improprio o non prevedibile da parte dell’utente.
Questa ricostruzione è peraltro conforme all’impostazione americana che, allo scopo di tutelare il più possibile i consumatori, prevede che la responsabilità sia governata dal principio della risarcibilità del solo danno prevedibile, per cui la reazione isolata da un lato è insufficiente a determinare la difettositàà del prodotto e dall’altra comporta l’accertamento che la causa della lesione sia riconducibile al prodotto. Se l’obbligo di informazione viene correttamente adempiuto e si tratta di negligenza del consumatore, allora il produttore sarebbe esonerato dalla responsabilitàà in caso di danno. Si tratta della cd. adequate warning che configura una presunzione di conoscenza del consumatore. Le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali combaciano tra loro.
Si può concludere sottolineando come, nonostante il legislatore comunitario sia intervenuto fin dal 1976 con una normativa ad hoc, si è registrato un notevole aumento di reazioni a sostanze e prodotti cosmetici, i quali contengono solitamente principi chimici biologicamente attivi che possono portare a reazioni cutanee o allergiche di una certa entità. I prodotti non sono adeguatamente sperimentati e la sperimentazione su animali è vietata, salvo deroghe, ai sensi dell’art. 18 del Regolamento n. 1223/2009. Ciò significa che la possibile nocività di un prodotto è di solito rinvenuta quando è già stato messo in commercio e testimonia come il settore, il quale deve scontrarsi con la continua evoluzione delle formulazioni chimiche, sia ancora in divenire. La complessa situazione è stata in parte facilitata dall’elasticità mostrata dal legislatore europeo, elasticità apprezzabile data la rapidità delle mutazioni e della ricerca scientifica in questo settore. Questo è un dato che rende il settore particolarmente complesso e sempre posto di fronte a nuovi aspetti problematici.
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