L’exceptio doli: fondamento, classificazioni e casistica

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L’istituto della exceptio doli ha origini particolarmente remote. Una prima traccia dell’istituto è rinvenibile già in epoca romana repubblicana grazie alla elaborazione dai pretori del tempo. Essa consisteva nella difesa spettante al debitore avverso le azioni creditorie che, seppur conformi allo ius civile, contrastavano con il profilo dell’aequitas.

L’istituto de quo è attualmente presente nell’ordinamento attraverso le innumerevoli elaborazioni giurisprudenziali. La cui ratio è rintracciabile nella presenza nel codice civile di clausole generali che rappresentano vere e proprie valvole di sicurezza atte a dare complementarietà all’intero sistema giuridico. Tra queste assume particolare rilievo quella della buona fede ravvisabile in diverse disposizioni e, soprattutto, in relazione a differenti istituti.

Fermo restando la complessità dei significati che si potrebbero attribuire alla stessa, dottrina e giurisprudenza concordemente la bipartiscono in buona fede soggettiva ed oggettiva. Ora mentre la prima è espressiva del principio di ignorare di ledere un diritto altrui o di far affidamento incolpevole su una data situazione giuridica apparente; la seconda è quella che ha avuto un maggior sviluppo interpretativo.

La buona fede oggettiva evoca il noto canone di comportarsi correttamente e non solo, ai sensi dell’art. 1375 c.c. nella fase esecutiva, ma anche, ai sensi dell’art. 1337 c.c., nella fase delle trattative.

In relazione a questo secondo significato il creditore, laddove agisca per far valere una propria pretesa, ma in maniera fraudolenta, potrà essere ostacolato alla realizzazione del proprio interesse dalla exceptio doli generalis del convenuto. Essa consiste in una difesa processuale che, come tale, ove venga accolta dal giudice, porterà al rigetto della domanda attorea.

Si noti bene che l’istituto de quo non deve essere confuso con la exceptio doli specialis. Rimedio che l’ordinamento fornisce al soggetto che, a causa di artifizi o raggiri altrui, sia stato indotto a concludere un contratto e che potrà, quindi, in via di azione o eccezione chiedere l’annullamento. Rimedio previsto anche nelle ipotesi di dolo incidente ovvero quando la condotta fraudolenta non abbia inciso sulla stipula del contratto ma sulle condizioni dello stesso (così Cass. Civ. del 7 marzo 2007, n. 5273).

In questo caso il negozio non è annullabile ma il contraente in malafede risponderà dei danni patiti dal soggetto a causa della conclusione del contratto a condizioni diverse rispetto a quelle alla quale si sarebbe attenuto senza condotta artificiosa dell’altra parte.

Evidente è la differenza tra i due rimedi.

Aldilà del carattere generale del primo e speciale del secondo, il vero e proprio discrimen tra i due è il momento in cui operano, uno nella fase funzionale del contratto, l’altro in quella genetica.

L’exceptio doli generalis ha, in aggiunta, trovato applicazione pretoria molto più ampia rispetto alla exceptio doli specialis. Questo utilizzo quasi smisurato del rimedio in analisi è dovuto all’ampio sviluppo del principio del divieto di abuso del diritto negli ultimi anni.

Per tale si intende quel limite esterno di ogni diritto che trova la sua fonte nei doveri di correttezza ex 1375 c.c. 1175 c.c. unitamente all’art. 2 Cost espressivo dei doveri di solidarietà sociale e che, una volta superato, l’ordinamento lo priva da ogni forma di tutela.

Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto – ricostruiti attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale – sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L’abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede. ( così Cass. 20106/2009)

L’abuso in tal caso è funzionale.

Può, per converso, essere modale quando il titolare nella scelta delle modalità di esercizio abbia scelto quella più pregiudizievole per il debitore. In entrambe le ipotesi l’ordinamento fornisce al debitore l’exceptio doli generalis al fine di contrastare la pretesa abusiva del creditore.

Questa fattispecie ha trovato espressamente menzione a seguito la riforma dei reati fiscali ed adesso è contenuta nell’art. 10 bis del d l.gs 74 del 2000.  Ma già prima del 2000 se ne individuava il referente normativo nell’art. 833 cc.  Norma che, come ben si sa, limita il diritto di proprietà ogniqualvolta il proprietario compia atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Ponendo uno sguardo alla casistica che si è sviluppata negli ultimi anni due sono le questioni più rilevanti che rappresentano entrambe le forme abusive. Con riguardo all’abuso funzionale plurime sono le pronunce giurisprudenziali in tema di contratto autonomo di garanzia.

E’ noto in tal caso che il garante non potrà fare valere le eccezioni relative al rapporto da garantire. Il creditore, così, avvalendosi della clausola “a prima richiesta” potrebbe fraudolentemente chiedere il pagamento del credito al garante anche dopo avere già ottenuto la somma dal garantito. In questo caso l’unico rimedio concesso al garante è proprio l’exceptio medesima. Ma attenzione perché, affinché il debitore possa esercitarla, in via giurisprudenziale sono stati individuati i due presupposti necessari per l’operatività: la condotta abusiva del creditore e la facile percezione del carattere fraudolento della condotta senza alcun accertamento particolarmente pregnante.

Entrambi i presupposti devono coesistere.

A proposito dell’abuso modale uno dei casi più discussi negli ultimi tempi è quello relativo al frazionamento del credito. Già nel 2007 la Corte di Cassazione ha statuito la sussistenza, in tale ipotesi, di una condotta abusiva del diritto, nella specie di abuso del processo poiché il creditore attraverso lo strumento processuale esercita in maniera distorsiva il proprio diritto di credito.

Il rapporto obbligatorio è, altresì, una limitazione alla libertà personale e patrimoniale del debitore e per questo non può avere una durata illimitata nel tempo. Quando il creditore aziona più domande per far valere il proprio diritto può protrarre questo status di soggezione per un lungo lasso di tempo. Per non considerare, inoltre,  le numerose spese processuali che sarà tenuto a pagare a causa delle plurime soccombenze.

Anche in tale ipotesi il debitore potrà paralizzare la pretesa avversaria attraverso l’esercizio dell’exceptio doli generalis che, ciò nonostrante, potrà essere superata dal creditore qualora dimostri la sussistenza di un interesse oggettivo e meritevole di tutela al frazionamento del credito.

Diverso è, tuttavia, il caso analizzato di recente dalla Corte di Cassazione. Si tratta dell’ipotesi in cui il creditore aziona più domande al fine di far valere plurimi crediti relativi ad un medesimo rapporto che nella specie riguardava un rapporto di lavoro.

In questo caso, statuiscono gli Ermellini, non c’è alcuna condotta abusiva anzi è lo stesso ordinamento nelle ipotesi di pregiudizialità, accessorietà e connessione delineate rispettivamente negli articoli 31, 40 e 104 c.p.c. a prevedere la possibilità di esperire domande in procedimenti diversi. Questo perché se si obbligasse il creditore a proporre le diverse domande in un unico procedimento non si consentirebbe allo stesso di poter accedere a procedimenti molto più celeri e vedrebbe leso il suo interesse alla risoluzione della controversia in termini ragionevoli. Principio espressamente riconosciuto nell’articolo 111 u.c. Costituzione.(si vedano  Cass. SS.UU. 4090 e 4091 del 2017)

In conclusione si vuole segnalare che l’exceptio doli non è l’unico rimedio che la giurisprudenza impiega per ostacolare ogni condotta abusiva perché in differenti pronunce ha utilizzato anche il rimedio risarcitorio sia aquiliano che per inadempimento in relazione a che la condotta abusiva fosse stata tenuta nell’ambito di un rapporto contrattuale o meno.

Altre volte, invece, ha dichiarato nullo il contratto stipulato in violazione della clausola de qua come nell’ipotesi in cui si utilizza fittiziamente la struttura societaria al fine di eludere l’art. 2740 c.c., ed altre volte la sola annullabilità. Più di recente si stanno facendo strada i rimedi manutentivi volti ad evitare la caducazione dell’accordo consentendo il ripristino dell’equilibrio del regolamento contrattuale.

 

Dott.ssa La Greca Annalisa

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