Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con l’ordinanza del 4 maggio 2018, n. 10595, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Napoli.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che la società ALFA S.r.l. nel 2006 convenne dinanzi al Tribunale di Napoli la Compagnia di Assicurazioni S.p.a esponendo che:
-) TIZIO, sostenendo di essersi sottoposto ad un intervento chirurgico per la correzione della miopia con la tecnica del laser ad eccimeri, e che l’intervento non era riuscito, aveva convenuto dinanzi al Tribunale di Napoli il medico che eseguì l’intervento, dott. KARL, e la società BETA;
-) la BETA, costituendosi, chiamò in causa la società ALFA, assumendo di essere solo la proprietaria della struttura ove era stato eseguito l’intervento, struttura che era stata concessa in locazione dalla società chiamata in causa, e da questa gestita.
Concluse pertanto chiedendo che, in caso di accoglimento delle domande contro di essa proposte dalla società casa di cura la Compagnia di Assicurazioni fosse condannata a tenerla indenne dalle pretese di quest’ultima.
Con sentenza n. 142XX/2009 il Tribunale di Napoli accolse tanto la domanda principale quanto quella di garanzia, e condannò conseguentemente la Compagnia a tenere indenne la ALFA dalle pretese della casa di cura Beta.
Con sentenza n. 17XX/015 n. 1735, la Corte d’appello di Napoli, per quanto in questa sede ancora rileva, dopo aver incrementato la condanna in favore di Tizio, condannò altresì la Alfa a rifondere al secondo, in solido con il medico, i due terzi delle spese processuali del doppio grado di giudizio, dichiarando compensato il restante terzo; compensò le spese di lite tra le altre parti in causa; addossò alla ALFA, in solido con il medico che aveva eseguito l’intervento, le spese di consulenza, ed infine condannò la Compagnia “a tenere indenne la Alfa delle somme che competono a Tizio per danni e spese in forza della presente sentenza”.
La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla ALFA con ricorso fondato su due motivi.
I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse la ricorrente con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’articolo 1917, comma terzo, c.p.c.
Sostiene che la Corte d’appello ha trascurato di condannare l’assicuratore della responsabilità civile alla rifusione delle spese processuali da essa sostenute per convenire in giudizio la Compagnia e coltivare la lite nei confronti di questa.
L’assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:
(a) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice;
(b) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;
(c) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato.
Le spese di soccombenza non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall’assicurato, e perciò l’assicurato ha diritto di ripeterle dall’assicuratore, nei limiti del massimale.
Le spese di resistenza non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore.
Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall’art. 1917, comma terzo, c.c..
Le spese di chiamata in causa dell’assicuratore, infine, non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c..
Come innanzi detto il giudice d’appello non ha accordato all’assicurato la rifusione delle spese di resistenza, ovvero come accennato quelle sostenute per remunerare il proprio avvocato al fine di contrastare la pretesa attorea.
Così giudicando, la Corte d’appello ha effettivamente violato l’art. 1917, comma terzo, c.c., in quanto ha negato all’assicurato un diritto che costituisce un effetto naturale, ex art. 1374 c.c., del contratto di assicurazione della responsabilità civile.
Conclusione della Corte di Cassazione
La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, la quale nell’esaminare ex novo la domanda di garanzia proposta dalla Alfa applicherà il seguente principio di diritto:
“L’assicurato contro i rischi della responsabilità civile ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale; nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall’art. 1917, comma terzo, c.c.”.
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