Prima di tutto, la CEDU evidenzia che la confisca disposta con condanna non rappresenta l’unica misura ablatoria possibile atteso che detto criterio, come rilevato in questa stessa pronuncia, è solo uno tra quelli “da prendere in considerazione (vedere Saliba c. Malta (dec.), 4251 / 02, 23 novembre 2004, Sud Fondi Srl e a. (…), M. v. Germany (…) e Berland c. Francia, 42875/10, § 42, 3 settembre 2015), senza che sia considerato decisivo quando si tratta di stabilire la natura della misura (cfr. Valico Srl c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006-III, e Société Oxygène Plus, …, § 47)”[1].
Infatti, proseguono i giudici di Strasburgo nel loro ragionamento decisorio, “se la natura criminale di una misura dovesse essere stabilita, ai fini della Convenzione, puramente sulla base del fatto che l’interessato aveva commesso un atto caratterizzato come un reato nel diritto interno ed era stato giudicato colpevole di tale reato da parte di un tribunale penale, ciò sarebbe in contrasto con il significato autonomo di “penalità” (v., in tal senso, Valico Srl, …)”[2] posto che, senza “un concetto autonomo di sanzione, gli Stati sarebbero liberi di imporre sanzioni senza classificarle come tali e le persone interessate sarebbero quindi private delle garanzie di cui all’articolo 7 § 1”, e tale “disposizione sarebbe quindi priva di qualsiasi effetto pratico”[3] mentre per contro è “di fondamentale importanza che la Convenzione sia interpretata e applicata in modo tale da rendere i suoi diritti pratici ed efficaci, non teorici e illusori, e questo principio si applica quindi all’articolo 7 (cfr. Del Río Prada, …, § 88)”[4].
“Di conseguenza, mentre la condanna dei tribunali penali nazionali può costituire un criterio, tra l’altro, per determinare se una misura costituisca o meno una “sanzione” ai sensi dell’articolo 7, l’assenza di una condanna non è sufficiente per escludere applicabilità di tale disposizione”[5].
La Corte EDU, dunque, afferma in sostanza che la confisca non può essere esclusa solo perché non è stata emessa una sentenza di condanna.
Chiarito ciò, nella pronuncia in oggetto, viene affrontata una seconda problematica ossia a quali criteri può farsi riferimento per verificare se ricorra una confisca o meno.
Al riguardo ci si è avvalsi dei criteri già elaborati nel caso di Sud Fondi S.r.l. e altri in cui, in quella occasione, prendendosi atto che nessuna condanna penale era stata emessa nei confronti delle società ricorrenti o dei loro rappresentanti, si addivenne, nonostante ciò, a riconoscere la confisca alla luce delle seguenti circostanze: “la confisca in questione era connessa a un “reato” basato su disposizioni giuridiche generali; che l’illegalità materiale degli sviluppi era stata stabilita dai tribunali penali; che la sanzione prevista dalla sezione 19 della legge n. 47 del 1985; che il Codice delle costruzioni del 2001 (vale a dire il testo unico dell’edilizia di cui al d.P.R., 6 giugno 2001, n. 380 ndr.) ha classificato la confisca per lo sviluppo del sito illegale tra le sanzioni penali; e, infine, che la sanzione era di una certa severità”[6] (criteri questi ribaditi nella sentenza Vardara).
Orbene, avvalendosi all’uopo di tali indici, la CEDU, nella decisione in esame, affronta in primo luogo la tematica afferente la classificazione della confisca nel diritto nazionale, osservandosi che “l’articolo 44 del codice delle costruzioni (vale a dire il testo unico dell’edilizia di cui al d.P.R., 6 giugno 2001, n. 380 ndr.), che disciplina la misura di confisca in questione nella presente causa, reca la voce “Sanzioni penali“”[7] e di conseguenza tale “elemento indica che la confisca è effettivamente una “penalità” ai sensi dell’articolo 7”[8] della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (da ora in poi: CEDU).
Per quel che invece concerne la natura e lo scopo della misura di confisca, la “Grande Camera conferma le conclusioni della Camera nel Sud Fondi S.r.l. e altri (…) e sentenza Varvara (…) secondo cui la confisca delle proprietà dei richiedenti per lo sviluppo di un sito illegale era punitiva per natura e scopo ed era quindi una “penalità” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione”[9], e ciò alla luce dei seguenti motivi: a) “il carattere punitivo (“afflittivo“) e dissuasivo della misura impugnata è stato sottolineato dalla Corte di Cassazione italiana (vedere paragrafo 121 sopra[10])”[11] e come “sottolineato dal Governo nelle loro osservazioni (vedere paragrafo 203 sopra[12]), i tribunali nazionali hanno accettato il principio per cui le garanzie dell’Articolo 7 si applicano nei casi di confisca”[13]”; b) “il governo ha riconosciuto nelle loro osservazioni che la confisca era compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, in particolare perché perseguiva lo scopo di “punire” i responsabili della trasformazione illegale della terra (cfr. Le osservazioni del governo di 5 giugno 2015, § 119). In altre parole, il governo stesso ha sottolineato la natura punitiva della confisca”[14]; c) “la confisca è una misura obbligatoria (vedere paragrafi 41[15] e 119[16] sopra). La sua imposizione non è soggetta a prova di una situazione di pericolo reale o di rischio concreto per l’ambiente. La confisca può quindi essere imposta anche in assenza di qualsiasi attività effettiva al fine di trasformare la terra”[17].
Tal che, alla luce di tali argomentazioni, questa Corte sovranazionale “ritiene che lo scopo della confisca dei beni dei richiedenti per lo sviluppo di un sito illegale fosse punitivo”[18].
Per quel che riguarda la gravità degli effetti della confisca, si mette in evidenza che “una misura di confisca per lo sviluppo di siti illegali è una sanzione particolarmente dura e intrusiva”[19] atteso che essa “si applica non solo al terreno su cui è costruita, insieme al terreno rispetto al quale è stata dimostrata l’intenzione del proprietario di costruire o un cambio di utilizzo, ma anche a tutti gli altri appezzamenti di terra che costituisce il sito”[20].
“Per quanto riguarda le procedure per l’adozione e l’esecuzione di una misura di confisca, la Corte osserva che è ordinata dai tribunali penali”[21] non ritenendosi convincente l’argomentazione secondo la quale “i tribunali penali agiscono nel luogo dell’autorità amministrativa”[22] trattandosi “di un dibattito nel diritto nazionale, almeno nei casi di sviluppo illecito del sito (il reato materiale procedurale o reato contrattuale) in assenza o in violazione dell’autorizzazione alla pianificazione, in quanto vi sono due approcci opposti nel giurisprudenza (vedere paragrafi 123[23]-27[24] sopra)”[25], e ciò anche perché, in “ogni caso, una volta che la condanna penale è diventata definitiva, la misura di confisca non può più essere revocata anche in caso di successiva regolarizzazione dello sviluppo da parte dell’autorità amministrativa (vedere paragrafi 128[26]-29[27] sopra)”[28].
La CEDU, dunque, alla luce delle considerazioni giuridiche sin qui esposte, giunge a postulare che “le misure di confisca contestate possono essere considerate “sanzioni” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione”[29], e dunque detta conclusione “che è il risultato dell’interpretazione autonoma della nozione di “sanzione” ai sensi dell’articolo 7 (CEDU ndr.), comporta l’applicabilità di tale disposizione, anche in assenza di un procedimento penale ai sensi dell’articolo”[30].
La disamina compiuta dai giudici di Strasburgo sull’istituto della confisca non finisce qui.
La Corte EDU, difatti, affronta, sempre in ordine a questa misura ablatoria, altri problematiche e, in primo luogo, se “le misure di confisca contestate richiedano un elemento mentale”[31] vale a dire un elemento soggettivo, e si osserva a questo proposito in particolar modo che, alla luce di quanto affermato dalla stessa CEDU nella sentenza Sud Fondi S.r.l. e in altre sentenze, per “quanto riguarda la Convenzione, l’articolo 7 non menziona espressamente alcun legame mentale tra l’elemento materiale del reato e la persona che si ritiene lo abbia commesso”[32] ma ciononostante “la logica della sentenza e della punizione, e il concetto di “colpevolezza” (nella versione inglese) e la nozione corrispondente di “personne coupable” (nella versione francese), supportano un’interpretazione secondo cui l’articolo 7 richiede, ai fini di punizione, un legame intellettuale (consapevolezza e intenzione) che rivela un elemento di responsabilità nella condotta dell’autore del reato, in mancanza del quale la sanzione sarà ingiustificata”[33] anche perché “sarebbe incoerente, da un lato, richiedere una base giuridica accessibile e prevedibile e, dall’altro, consentire a un individuo di essere giudicato “colpevole” e “punirlo” anche se non era stato in posizione per conoscere la legge penale a causa di un errore inevitabile per cui la persona che ne è venuta a capo non può essere in alcun modo biasimata”[34].
Tal che la “Grande Camera appoggia l’analisi secondo cui la logica della pena e della punizione e il concetto di “colpevolezza” (nella versione inglese) con la nozione corrispondente di “personne coupable” (nella versione francese), sostengono un interpretazione secondo la quale l’articolo 7 richiede, ai fini della punizione, un legame mentale”[35], o meglio, psicologico, atteso che, come è sempre “spiegato nel Sud Fondi S.r.l. e altre sentenze (….), il principio secondo cui le infrazioni e le sanzioni devono essere previste dalla legge implica che il diritto penale deve definire chiaramente i reati e le sanzioni con cui sono puniti, tali da essere accessibili e prevedibili nei suoi effetti”[36] e questo “requisito è soddisfatto laddove l’individuo può sapere dal testo della disposizione pertinente e, se necessario, con l’assistenza dell’interpretazione da parte dei tribunali di ciò, quali atti e omissioni lo renderanno responsabile di reato”[37] il che altro vuol dire che, “in linea di principio, una misura può essere considerata una sanzione ai sensi dell’articolo 7 solo quando è stato accertato un elemento di responsabilità personale da parte dell’autore del reato”[38] essendo all’uopo necessario che vi sia “una chiara correlazione tra il grado di prevedibilità di una disposizione di diritto penale e la responsabilità personale dell’autore del reato”[39] in guisa tale che “la punizione ai sensi dell’articolo 7 richiede l’esistenza di un legame mentale attraverso il quale un elemento di responsabilità può essere rilevato nel comportamento della persona che ha commesso il reato”[40].
“Tuttavia, e come la Corte ha indicato nella sentenza Varvara (citata sopra, § 70), questo requisito non preclude l’esistenza di alcune forme di responsabilità oggettiva derivanti da presunzioni di responsabilità, a condizione che siano conformi alla Convenzione”[41] e, in “tale contesto, la Corte rinvia alla sua giurisprudenza ai sensi dell’articolo 6 § 2 della Convenzione secondo cui, in linea di principio, gli Stati Contraenti rimangono liberi di applicare il diritto penale a un atto in cui non è esercitato nel normale esercizio. di uno dei diritti tutelati dalla Convenzione (vedi Engel e altri v. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 81, Serie A n ° 22, pagina 34) e, di conseguenza, per definire gli elementi costitutivi del reato che ne risulta”[42] rilevandosi altresì in particolare che “gli Stati contraenti possono, a determinate condizioni, sanzionare un fatto semplice o oggettivo in quanto tale, indipendentemente dal fatto che risulti dall’intenzione criminale o dalla negligenza”[43] potendo ricorrere anche a presunzioni purchè la presunzione non abbia “l’effetto di rendere impossibile a un individuo di esonerarsi dalle accuse contro di lui, privandolo così del beneficio dell’articolo 6 § 2 della Convenzione (cfr. , tra le altre autorità, Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, §§ 27-28, serie A n ° 141-A, Janosevic c. Svezia, n. 34619/97, § 68, ECHR 2002 – VII e Klouvi v. Francia, 30754/03, § 48, 30 giugno 2011)”[44].
Di conseguenza, alla luce di quanto sin qui esposto, la Corte giunge a constatare “che nella fattispecie l’articolo 7 richiedeva che le misure di confisca contestate dovessero essere prevedibili per i richiedenti e precludeva qualsiasi decisione di imporre tali provvedimenti alle ricorrenti in assenza di un legame mentale che rivelasse un elemento di responsabilità nella loro condotta”[45].
Altra problematica trattata riguarda se le misure di confisca possano essere applicate in assenza di condanne formali rilevandosi a questo proposito che se è vero che “l’articolo 7 osta all’istituzione di una sanzione penale per un individuo senza che la sua responsabilità penale personale sia accertata e dichiarata in anticipo”[46] atteso che altrimenti “verrebbe anche violato il principio della presunzione di innocenza garantito dall’articolo 6 § 2 della Convenzione”[47], è altrettanto vero però che “il rispetto dell’art. 7 come interpretato nella sentenza Varvara non richiede che tutte le controversie tale articolo deve essere necessariamente trattato nel contesto di procedimenti penali strictu sensu”[48] dato che “l’applicabilità di questa disposizione non ha l’effetto di imporre la “criminalizzazione” di Stati di procedure che, nell’esercizio della loro discrezionalità, non hanno classificato come rientranti rigorosamente nel diritto penale”[49].
Tuttavia, pur respingendosi la necessità di un procedimento penale, la Corte ritiene comunque doveroso accertare se le misure di confisca contestate richiedano “almeno una dichiarazione formale di responsabilità penale nei confronti delle ricorrenti”[50]; ebbene viene data risposta negativa a questo quesito, e ciò per evitare “l’impunità che deriverebbe da una situazione in cui, per l’effetto combinato di reati complessi e periodi di prescrizione relativamente brevi, gli autori di tali reati evitino sistematicamente l’azione penale e, soprattutto, conseguenze della loro cattiva condotta (si veda, mutatis mutandis, El-Masri contro l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia [GC], 39630/09, § 192, ECHR 2012)”[51] semprechè i tribunali nazionali “agiscano nel pieno rispetto dei diritti di difesa sanciti dall’articolo 6 della Convenzione”[52].
Chiarito tale profilo di criticità giuridica, ne viene trattato subito dopo un altro ossia se le misure di confisca contestate possano essere imposte alle società ricorrenti che non erano parti nel procedimento; al riguardo si evidenzia che, “secondo la legge italiana, come in vigore all’epoca, in conformità con il principio societas delinquere non potest (“un’entità legale non può commettere un reato”), le società a responsabilità limitata non potevano, in quanto tali, essere parti di procedimenti penali, nonostante la loro personalità giuridica distinta”[53] e di conseguenza, “non potevano essere rappresentati legalmente nel contesto del procedimento penale pertinente nel presente caso, anche se il comportamento (e la conseguente responsabilità) dei loro rispettivi rappresentanti legali era direttamente attribuito a loro”[54].
Secondo la CEDU, pertanto: le “società rimangono quindi terze parti in relazione a tali procedimenti, come confermato dalle sentenze dei tribunali nazionali”[55].
Strettamente correlato a questo aspetto, ve ne è un altro ossia l’imponibilità di “una sanzione penale alle persone giuridiche che, a causa della loro distinta personalità giuridica, non hanno partecipato a nessun tipo di procedimento (penale, amministrativo, civile , eccetera.)”[56]; a questo proposito si osserva che se, secondo “la legge italiana, la confisca dei beni è una sanzione imposta da un tribunale penale come conseguenza automatica di un accertamento del reato di sviluppo illecito del sito”[57] non venendo “fatta alcuna distinzione per la situazione in cui il proprietario dell’immobile è una società, che non può commettere un reato secondo la legge italiana”[58], lungo il solco di un orientamento ermeneutico elaborato dalla Corte EDU a proposito dell’articolo 6 § 2 della Convenzione [secondo il quale la responsabilità penale non sopravvive alla persona che ha commesso il reato l’atto non è richiesto solo dalla presunzione di innocenza sancita nell’articolo 6 § 2 della Convenzione, ma anche dal principio secondo cui l’eredità della colpa dei morti è incompatibile con le norme della giustizia penale in una società governata dallo Stato di diritto (Lagardère c. Francia, n. 18851/07, 12 aprile 2012, § 77)], data “la connessione tra gli articoli 6 § 2 e 7 § 1 della Convenzione (cfr. Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, Serie A 39), la Corte ritiene che la norma da essa ribadita nel precedente paragrafo è valida anche dal punto di vista dell’articolo 7 della Convenzione, il quale richiede che nessuno possa essere ritenuto colpevole di un reato commesso da un altro”[59], e dunque se “è vero che chiunque deve essere in grado in qualsiasi momento di accertare ciò che è permesso e ciò che è proibito attraverso leggi chiare e dettagliate, un sistema che punisce le persone per un reato commesso da un altro sarebbe inconcepibile”[60].
Tal che, in forza di questo principio, ossia quello secondo cui una persona non può essere punita per un atto che impegna la responsabilità penale di un altro, si giunge ad asserire che “un provvedimento di confisca applicato, come nel caso di specie, a persone fisiche o giuridiche che non sono parti del procedimento, è incompatibile con l’articolo 7 della Convenzione”[61].
Questi, dunque, sono i principali chiarimenti ermeneutici forniti dalla CEDU in questa decisione a proposito della confisca.
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[1]Par. 215 della decisione in commento.
[2]Par. 216 della decisione in commento.
[3]Ibidem.
[4]Ibidem.
[5]Par. 217 della decisione in commento.
[6]Par. 212 della decisione in commento.
[7]Par. 220 della decisione in commento.
[8]Par. 221 della decisione in commento.
[9]Par. 222 della decisione in commento.
[10]“Nonostante l’approccio adottato dalla Corte nella causa Sud Fondi S.r.l. e altri del 2007 (Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia (dec.), 75909/01, 30 agosto 2007), come confermato dal Sud Fondi S.r.l. e altri v. sentenza Italia (merito, citata sopra) e la sentenza Varvara v. Italia 2013 (n. 17475/09, 29 ottobre 2013), la Corte di cassazione e la Corte costituzionale hanno ribadito la posizione secondo la quale la confisca contestata è un sanzione amministrativa (Corte di Cassazione, 42741, 2008, Corte di Cassazione plenaria, 4880, 2015, e Corte costituzionale, 49, 2015). Tuttavia, questi tribunali hanno accettato che il tribunale penale deve ordinare tali misure per quanto riguarda le norme di protezione di cui agli articoli 6 e 7 della Convenzione (cfr., Ad esempio, Corte di cassazione, Ord., 24877, 2014). . La Corte di Cassazione ha esplicitamente riconosciuto la natura punitiva (afflittiva) della confisca (Corte di Cassazione, 39078, 2009, e Corte di Cassazione, 5857, 2011). Nel suo giudizio n. 21125 del 2007 riteneva che la funzione primaria della confisca fosse la deterrenza”.
[11]Par. 223 della decisione in commento.
[12]“Secondo il governo, dopo la decisione di ricevibilità della Corte in Sud Fondi S.r.l. e altri (citati sopra), i tribunali italiani avevano interpretato il sistema legale di confisca dei terreni alla luce dei principi della Convenzione come interpretati dalla Corte, dando un’interpretazione dell’articolo 44 § 2 del Codice della costruzione che era conforme all’articolo 7 della Convenzione.
Tale adeguamento non ha comportato un cambiamento nella classificazione giuridica della misura, ma l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano delle garanzie previste dall’art. 7 della Convenzione. Di conseguenza, la confisca potrebbe essere ordinata da un tribunale penale solo se vi fosse la prova sia dell’elemento materiale (elemento oggettivo) che dell’elemento mentale (elemento soggettivo) dell’atto illecito.
Il governo ha concluso da quanto precede che la confisca di terreni ai sensi dell’articolo 44 del codice della costruzione non era una “penalità” ai fini dell’articolo 7 della Convenzione.
2. Presentazione dei richiedenti”.
[13]Par. 223 della decisione in commento.
[14]Par. 224 della decisione in commento.
[15]“Con sentenza del 22 giugno 2005, depositata presso la cancelleria della Corte il 18 gennaio 2006, la Corte di Cassazione, constatando che il giudice istruttori di Bari aveva affrontato tutti i punti controversi dando ragioni logiche e corrette, respinse il ricorso della società richiedente su questioni di legge. La corte ha osservato che la confisca del terreno della società richiedente era stata conforme alla giurisprudenza costante secondo cui la misura prevista nella sezione 19 della legge n. 47 del 1985 era una sanzione amministrativa obbligatoria imposta dal tribunale penale sulla base dell’incompatibilità della situazione della proprietà in questione con la legislazione sullo sviluppo del sito illegale, anche dove gli imputati erano stati prosciolti. I proprietari di immobili che non erano parte del procedimento penale e che affermavano di aver agito in buona fede avrebbero diritto a chiedere un risarcimento ai tribunali civili”.
[16]“In una sentenza del 12 novembre 1990 la Corte di cassazione (causa Licastro) rilevò che la confisca era una sanzione amministrativa obbligatoria, non connessa a una condanna penale. Potrebbe pertanto, a parere del Tribunale, essere imposto a terzi quando derivava da una situazione (costruzione o sviluppo del sito) che era effettivamente illegittima, indipendentemente dall’esistenza di un elemento mentale. Ciò significava che la confisca poteva essere ordinata anche se il perpetratore era stato assolto per mancanza di elementi mentali (“perché il fatto non è reato”). Non poteva essere ordinato se il perpetratore era stato assolto in base al fatto che l’accusa non aveva basi materiali (“perché il fatto non sussiste”)”.
[17]Par. 225 della decisione in commento.
[18]Par. 226 della decisione in commento.
[19]Par. 227 della decisione in commento.
[20]Ibidem.
[21]Par. 228 della decisione in commento.
[22]Par. 229 della decisione in commento.
[23]“La confisca per lo sviluppo di siti illegali è una misura che può essere ordinata da un’autorità amministrativa (il comune o, in mancanza, dalla regione) o da un tribunale penale”.
[24]“Inoltre, nel caso del reato materiale sostanziale dello sviluppo del sito illegale, il ruolo del tribunale penale non è semplicemente quello di garantire che nessuno sviluppo del sito sia condotto in assenza o in violazione del permesso di pianificazione, ma anche per accertare che lo sviluppo, se autorizzato o meno, è compatibile con norme di rango superiore in relazione alla decisione di autorizzazione. Se desidera ordinare la confisca, un tribunale penale deve accertare che l’elemento materiale del reato di sviluppo del sito illecito è redatto, il che significa che deve stabilire l’esistenza di tutti gli elementi costitutivi del comportamento illecito. Ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 47 del 1985, la nozione di comportamento illecito non si limita alle attività svolte senza autorizzazione, ma comprende anche atti contrari ai regolamenti di pianificazione e di norme regionali e nazionali (sentenza della Corte di Cassazione, Salvini e a., Citata sopra). In questo contesto, la Corte di cassazione ha chiarito il rapporto tra la decisione amministrativa che autorizza lo sviluppo del sito e il potere del tribunale penale di accertare lo sviluppo illegale del sito e di ordinare la confisca. La Corte di Cassazione ha spiegato che laddove il permesso di pianificazione non è conforme ad altri regolamenti di pianificazione, il tribunale penale può trovare contro l’autore dello sviluppo e la confisca degli ordini senza la necessità di una valutazione amministrativa dell’autorizzazione concessa. Dato che il tribunale penale non ha il potere di dichiarare nulla il permesso, rimarrà valido (Corte di cassazione, Salvini e altri, citata sopra, Corte di Cassazione, Varvara, citata sopra, e Corte di Cassazione, n.336366, 2015, Faiola)”.
[25]Par. 230 della decisione in commento.
[26]“Qualora lo sviluppo illegale del sito sia stato effettuato in assenza o in violazione dell’autorizzazione progettuale, l’autorità amministrativa può impedire che la confisca venga ordinata dal tribunale penale solo se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: (a) il sito lo sviluppo è stato successivamente regolarizzato (sanato) dall’autorità municipale; (b) l’atto di regolarizzazione è lecito; e (c) il successivo permesso di pianificazione (o la modifica del piano di utilizzo del suolo) viene rilasciato prima che la condanna penale diventi definitiva. Pertanto, una volta che la condanna è divenuta definitiva, la misura di confisca non può più essere revocata, anche in caso di successiva regolarizzazione dello sviluppo da parte dell’autorità amministrativa (Corte di Cassazione, n. 21125, 2007, Licciardello, Corte di Cassazione, n. 37274, 2008, Varvara e Franzese, citate sopra)”.
[27]“D’altra parte, nel caso di tutti i progetti di sviluppo di siti illegali che sono stati autorizzati ma che violano altre norme di un ordine superiore, tali casi, secondo la Corte di Cassazione, rappresentano il tipo più frequente (“materiale” sostanziale sviluppo del sito illecito) l’autorità amministrativa non ha alcun potere di regolarizzazione. In tali casi il tribunale penale agisce in modo completamente autonomo e indipendente dall’autorità amministrativa (Corte di cassazione, n. 21125 del 2007, 39078 del 2009, 34881 del 2010 e 25883 del 2013)”.
[28]Par. 230 della decisione in commento.
[29]Par. 233 della decisione in commento.
[30]Ibidem.
[31]Par. 235 della decisione in commento.
[32]Par. 241 della decisione in commento.
[33]Ibidem.
[34]Ibidem.
[35]Par. 242 della decisione in commento.
[36]Ibidem.
[37]Ibidem.
[38]Ibidem.
[39]Ibidem.
[40]Ibidem.
[41]Par. 243 della decisione in commento.
[42]Ibidem.
[43]Ibidem.
[44]Ibidem.
[45]Par. 246 della decisione in commento.
[46]Par. 251 della decisione in commento.
[47]Ibidem.
[48]Par. 253 della decisione in commento.
[49]Ibidem.
[50]Par. 255 della decisione in commento.
[51]Par. 260 della decisione in commento.
[52]Par. 261 della decisione in commento.
[53]Par. 266 della decisione in commento.
[54]Ibidem.
[55]Ibidem.
[56]Par. 269 della decisione in commento.
[57]Par. 270 della decisione in commento.
[58]Ibidem.
[59]Par. 271 della decisione in commento.
[60]Ibidem.
[61]Par. 274 della decisione in commento.
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