Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 16965 del 27 giugno 2018, respingendo il ricorso proposto dalla società datrice, avverso la pronuncia di secondo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente, sorpreso a fumare la sigaretta elettronica durante il turno di lavoro. In particolare, la Corte distrettuale aveva constatato il difetto di proporzionalità tra il fatto contestato (fumo della sigaretta elettronica) e la sanzione del recesso.
Secondo la società ricorrente, i giudici distrettuali avevano tuttavia sottovalutato la condotta del dipendente, adducendo come la stessa azienda avesse affisso in bacheca, solo due giorni prima del fatto, il divieto di fumo di sigaretta elettronica nei locali della mensa. Senza contare che il dipendente in questione si era reso responsabile di precedenti disciplinari (uso del telefono cellulare durante l’orario di lavoro), valutabili sotto il profilo della recidiva, in quanto le condotte illecite si erano ripetute in un arco temporale di appena quattro mesi.
La Corte di Cassazione respinge la censura e conferma l’illegittimità del licenziamento, evidenziando la differenza tra la condotta di sospensione senza giustificato motivo del lavoro (prevista come infrazione passibile di licenziamento disciplinare, se reiterata), e mancanze consistenti nell’uso del cellulare o il fumo di sigaretta, passibili invece di sanzione conservativa.
Contravvenzione al divieto di fumo, sanzione conservativa
In altri termini, il fumo (sia di sigaretta normale che di sigaretta elettronica) non è di per sé incompatibile con il contestuale svolgimento della prestazione lavorativa. Come confermato dal codice disciplinare nel contratto collettivo di specie, la contravvenzione al divieto di fumare – e ciò vale anche per i precedenti disciplinari relativi all’uso del telefono cellulare – è un’ipotesi punibile con sanzione conservativa e non con il più grave licenziamento. Licenziamento che può essere semmai giustificato laddove sussista una situazione transitoria di totale assenza dalla prestazione lavorativa; ipotesi tuttavia qui non rinvenuta. Ne deriva il rigetto del ricorso con pagamento delle spese di lite a carico della società ricorrente.
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