La pronuncia impugnata asseriva che la sentenza con cui il Tribunale, a chiusura del giudizio, aveva liquidato le spese processuali a carico del ricorrente, poteva considerarsi di per sé prova del credito vantato dal difensore, non essendo necessaria la produzione della parcella corredata dal parere di congruità del competente Ordine forense.
Sentenza emessa a chiusura del giudizio, basta a quantificare il compenso del legale
Un’argomentazione pienamente condivisa dalla Corte di Cassazione. Correttamente, difatti, è stato ritenuto che la sentenza emessa dal Tribunale a conclusione del giudizio in cui l’avvocato aveva prestato patrocinio in favore del ricorrente, contenesse la valutazione di congruità dell’importo poi liquidato a titolo di spese processuali . Si è altresì ritenuto di poter utilizzare detta sentenza anche ai fini della quantificazione del compenso professionale, sostenendo che non occorresse un’ulteriore valutazione da parte dell’Ordine degli avvocati, poiché il difensore non aveva chiesto somme ulteriori. La sentenza costituisce dunque prova sufficiente dell’espletamento dell’incarico e delle relative prestazioni da parte del legale, nonché elemento di convincimento utile per la quantificazione del compenso.
Condannato il cliente ex art. 96 c.p.c. a prescindere dall’esistenza del danno
E’ stata inoltre confermata dagli Ermellini la condanna del ricorrente, ex art. 96 c.p.c. (in relazione all’’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c. ) al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte, reputando irrilevante la prova del danno; danno che nella specie non sussiste, in quanto il legale avrebbe comunque potuto dare esecuzione alla sentenza ed al decreto ingiuntivo ottenuto per i compensi.
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