Consulenze senza iscrizione all’albo, è esercizio abusivo anche se il cliente è informato

Redazione 23/07/18
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La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con sentenza n. 33464 del 18 luglio 2018, ha confermato la condanna di un professionista per esercizio abusivo della professione, in quanto, agendo quale titolare di uno studio, aveva esercitato abusivamente delle prestazioni per cui era espressamente prevista l’iscrizione all’albo (nella specie, dei commercialisti e degli esperti contabili o quello dei consulenti del lavoro). E questo anche se l’imputato medesimo aveva preventivamente informato il proprio cliente dell’assenza di abilitazione.

Reato di esercizio abusivo: inquadramento giurisprudenziale

I Giudici Supremi, respingendo una ad una le doglianze del professionista, hanno confermato l’assoggettabilità alla disciplina ordinistica dell’attività di consulenza tributaria e, quindi, l’integrazione del reato di esercizio abusivo di una professione nei termini di cui all’art. 348 c.p., laddove l’attività professionale venga esercitata, come nella specie, in assenza di abilitazione dello Stato.

La giurisprudenza di legittimità – si legge nella sentenza – ha dato all’esercizio abusivo della professione, una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale. Per il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, il citato art. 348 c.p. diviene una sorta di “norma penale in bianco”, in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l’indicato titolo, le condizioni soggettive ed oggettive – tra le quali l’iscrizione ad un apposito albo – in mancanza delle quali l’esercizio risulta abusivo.

La nozione di esercizio abusivo della professione viene in considerazione nella sua duplice accezione. E’ tale infatti il comportamento di chi eserciti la professione in assenza di prescritta abilitazione statale, qualora detto esercizio si connoti per una pluralità di atti che, pur non riservati in via esclusiva alla competenza di una specifica professione, nel loro continuo ed oneroso riproporsi, degenerino in una situazione di apparenza evocativa, con conseguente affidamento incolpevole della clientela.

Ciò detto, a nulla è valso per il ricorrente dedurre la genericità dell’attività di consulenza tributaria ed aziendale, posto che correttamente la Corte territoriale ha ricondotto l’attività ascritta all’imputato (tenuta della contabilità delle imprese e consulenze in materia tributaria e di lavoro), a quella riservata  per legge ai dottori commercialisti o agli esperti contabili, con conseguente integrazione del reato di esercizio abusivo.

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