Dichiarazione di adottabilità, criteri rigorosi

Redazione 29/08/18
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La dichiarazione di adottabilità dei minori costituisce una sorta di “extrema ratio”, in quanto trattasi di un’ingerenza nell’esercizio del diritto al rispetto della vita familiare, la quale è compatibile solo se soddisfa, cumulativamente,  le condizioni di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica. La nozione di necessità, in tal caso, implica che l’ingerenza si basi su un “bisogno sociale imperioso” e sia “proporzionata”.

Corte Edu: stato di adottabilità solo in circostanze eccezionali

Sulla scia delle decisioni della Corte Edu, si esige, in altre parole, che l’adozione di misure che conducano alla rottura dei legami tra il minore e la propria famiglia, siano applicate solo in circostanze eccezionali, ossia allorquando i genitori si siano dimostrati “particolarmente indegni” o quando sussista un’esigenza primaria che riguardi l’interesse superiore del minore , non essendo il fine dell’adozione, quello di individuare ad  ogni costo una famiglia migliore. Ovvero, il fatto che il minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione, non può di per sé giustificare che egli venga sottratto alle cure dei suoi genitori biologici.

Corte di legittimità: prioritario diritto del figlio di vivere con i genitori

Ed ancora, la nostra stessa Corte di legittimità ha in più occasioni affermato che il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i propri genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia (ex Legge 184/1983), impone un particolare rigore nello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse. Tale diritto può incontrare un limite, pertanto, solo nei casi in cui la famiglia non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, con conseguente endemico e radicale stato di abbandono.

La tossicodipendenza di entrambi i genitori non giustifica lo stato di abbandono

Sulla scorta di questi principi, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con ordinanza n. 20954 del 22 agosto 2018, ha negato che sussistesse lo stato di abbandono di una minore, che era stato invece riconosciuto dai Giudici d’Appello – la cui sentenza è dunque riformata – sulla base delle seguenti circostanze: a. la tossicodipendenza di entrambi i genitori; b. l’esistenza di un rapporto tra i coniugi cementatosi nel contesto di una frequentazione di coetanei con gli stessi problemi;  c. la difficoltà esistenziale della madre, derivante da problematiche, anche di violenza, nella propria famiglia d’origine.

Nessuno di questi elementi – ad avviso della Corte Suprema – sia singolarmente che in correlazione con gli altri, appare idoneo a giustificare lo stato di abbandono, in quanto vaghi e generici e che potrebbero essere verosimilmente riscontrati, in tutto o in parte, in molte altre coppie genitoriali. La decisione impugnata è quindi cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello, sezione minorenni.

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