L’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o invalidità dell’interrogatorio, previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., non può essere oggetto di valutazione nel procedimento di riesame

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Nel procedimento di riesame non è deducibile, ne’ rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato; ne consegue che la predetta questione non può costituire neanche oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen..

(Ricorsi dichiarati inammissibili)

(Normativa di riferimento: C.p.p. artt. 294, 309, 311)

Il fatto

 Il GIP del Tribunale di Torino, con ordinanza emessa in data 9.1.2018, disponeva l’applicazione nei confronti di M. R. (generalizzato in atti, ed indagato in ordine ai reati di cui ai capi 1.4.5.6.9.10.13.14.17.18.21.22.) e di P. B. (generalizzato in atti, ed indagato in ordine ai reati di cui ai capi 13.14.17.18.) della misura cautelare della custodia in carcere.

Le contestazioni provvisorie riguardavano plurimi episodi di riciclaggio, ricettazione e falso.

Il Tribunale del riesame di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe, confermava la predetta ordinanza nei confronti del R., disponendo nei confronti del B. l’applicazione della meno afflittiva misura dell’obbligo quotidiano di presentazione alla PG.

 I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 Contro tale provvedimento, gli indagati proponevano distinti ricorsi per cassazione, denunciando: a) manifesta illogicità della motivazione in ordine alla pretesa sussistenza dei ritenuti gravi indizi di colpevolezza in quanto, per un verso, le intercettazioni valorizzate non avrebbero dimostrato alcun ruolo del ricorrente nella vicenda riguardante un secondo veicolo, la cui provenienza delittuosa sarebbe stata indimostrata, per altro verso, in riferimento a tali imputazioni provvisorie, sarebbe stato lo stesso Tribunale del riesame ad avanzare dubbi in ordine alla consapevolezza dell’indagato, valorizzando come elemento decisivo il mero ed irrilevante rapporto di parentela che lo legava al coimputato R.); b) violazione degli artt. 293, comma 3, 294 c.p.p.  e 111 della Costituzione in quanto sarebbe stato nullo l’interrogatorio di garanzia per omesso avviso al difensore del deposito dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, della richiesta del P.M. e degli atti allegati mentre il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto il vizio non deducibile a differenza di quanto sostenuto dalla difesa) c) omessa motivazione quanto alle concrete ed attuali esigenze cautelari ed alla necessità della misura applicata a soddisfarle.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

La Cassazione dichiarava i ricorsi proposti inammissibili alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si evidenziava prima di tutto come le doglianze del B., riguardanti il ritenuto quadro indiziario, fossero reiterative, più o meno pedissequamente, di censure già dedotte in sede di riesame e già non accolte dal Tribunale, risultando, pertanto, prive della specificità necessaria ai sensi dell’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p. (Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, manifestamente infondate, in considerazione delle argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, nonché giuridicamente corrette e, pertanto, nel complesso, esenti da vizi rilevabili in questa sede, poste dal Tribunale a fondamento delle contestate statuizioni.

Posto ciò, si faceva altresì presente come il Tribunale , per quanto riguarda i quattro reati ascritti all’indagato, avesse essenzialmente valorizzato gli esiti di plurime conversazioni intercettate, incensurabilmente interpretate (in difetto di documentati travisamenti), e gli stretti rapporti avuti con il R. in guisa tale da legittimare l’incensurabile conclusione della sussistenza dei necessari gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati provvisoriamente contestati all’indagato.

Il Tribunale, inoltre, aveva riesaminato e valorizzato lo stesso compendio indiziario già sottoposto al vaglio del GIP e, dopo avere preso atto delle censure dell’indagato, puntualmente riepilogate, e dettagliatamente esaminate e confutate, era giunto alla medesima conclusione in termini di sussistenza dei necessari gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati provvisoriamente contestati mentre, a fronte di ciò, l’indagato, in concreto, si era limitato a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dal Tribunale e riproponeva la propria diversa “lettura” delle risultanze indiziarie acquisite fondata su mere ed indimostrate congetture ma senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi valorizzati a suo carico.

Venendo a trattare il secondo motivo, gli ermellini, osservando come esso non dovesse stimarsi consentito, non essendo stata la doglianza previamente sottoposta all’esame del G.I.P., come richiesto dagli artt. 302 e 306 c.p.p., mettevano altresì in risalto come una non recente decisione delle Sezioni Unite penali di questa Corte Suprema (Sez. Un., n. 26 del 5 luglio 1995, omissis, rv. 202015) avesse avuto modo di chiarire che, <<poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall’ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall’ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l’intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l’estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l’ordinanza specificamente prevista dall’art. 306 cod. proc. pen., suscettibile di appello ai sensi dell’art. 310 dello stesso codice» così come una successiva decisione (Sez. Un., n. 7 del 17 aprile 1996, omissis, rv. 205255), peraltro relativa a fattispecie diversa, avevo precisato che «le cause che determinano la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, secondo le previsioni contenute nel titolo primo del libro quarto del codice di procedura penale, non intaccando l’intrinseca legittimità del provvedimento ma agendo sul piano della persistenza della misura coercitiva, devono essere fatte valere avanti al giudice di merito in un procedimento distinto da quello di impugnazione, attraverso la richiesta di revoca contemplata dall’art. 306 cod. proc. pen.; tuttavia, allorché la questione di inefficacia sia stata proposta, insieme ad altre concernenti l’originaria legittimità del provvedimento, con il ricorso per cassazione, deve ritenersi attratta da questo e può quindi essere direttamente esaminata dal giudice di legittimità affinché non sia ritardata la decisione de libertate che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede» e, in applicazione di detto principio, la Corte riteneva di poter esaminare – respingendola peraltro per motivi diversi – la questione concernente la perdita di efficacia della misura cautelare per inosservanza del termine di cui all’art. 309, comma 9, c.p.p., prospettata nel ricorso insieme a varie censure di violazione di legge, precisando altresì che non ci sarebbe stato spazio per il dispiegarsi della descritta vis attractiva del ricorso proposto nel procedimento di impugnazione della misura ove, con esso, si denunciasse esclusivamente la sopravvenuta inefficacia del provvedimento coercitivo.

In particolare, secondo questo approdo ermeneutico, una volta richiamata la sentenza Galletto, le Sezioni Unite, con la sentenza Moni, osservavano in particolare, che questi «principi, scaturiti dall’esame di una fattispecie diversa (…) debbono essere ribaditi, con la puntualizzazione, però, mutuata da Cass. sez. 1, 8 agosto 1995, Franco, sentenza, quest’ultima, che, in una fattispecie simile a quella oggetto dell’odierno ricorso, ha sottolineato la vis attractiva del ricorso per cassazione, quando, come nel caso in esame, oltre che l’inefficacia vengano prospettate questioni relative alla legittimità del provvedimento” precisandosi altresì che “se l’assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fondato” non può ritardarsi “ulteriormente una decisione che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede subito dopo l’intervento della ordinanza del tribunale” essendo del tutto ovvio, ad avviso della Corte, come non possa esserci “spazio per il dispiegarsi della vis attractiva ove, con il ricorso per cassazione, si denunciasse unicamente la perdita di efficacia del provvedimento”.

Si evidenziava inoltre come detto principio fosse “stato successivamente ribadito da Sez. Un. n. 25 del 16 dicembre 1998, omissis, rv. 212072, in fattispecie nella quale la ricorrente, unitamente a censure inerenti all’ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, lamentava la perdita di efficacia del provvedimento di custodia cautelare in carcere per effetto della mancata trasmissione al giudice del riesame di tutti gli atti di cui all’art. 291 c.p.p. entro il termine di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5” così come, sempre successivamente, veniva postulato, sempre in sede nomofilattica, che, nel procedimento di riesame, non fossero deducibili, ne’ rilevabili d’ufficio, questioni di inefficacia della misura diverse da quelle concernenti l’inosservanza dei termini stabiliti dai commi quinto e nono dell’art. 309 c.p.p. (da ultimo, Sez. 3, n. 16386 del 10 febbraio 2010, omissis, rv. 246768: fattispecie di dedotta inefficacia per nullità dell’interrogatorio di garanzia. In precedenza, nel medesimo senso, Sez. 1, n. 477 del 9 luglio 1997, omissis, rv. 208503; Sez. 4, n. 1430 del 6 maggio 1999, omissis, rv. 214243; Sez. 5, 24 novembre 1999, omissis, rv. 216240; Sez. 3, n. 809 del 17 febbraio 2000, omissis, rv. 216065; Sez. 2, n. 5428 del 13 novembre 2001, omissis, rv. 220998; Sez. 6, n. 29564 del 10 giugno 2003, omissis, rv. 226222; Sez. 6, n. 22448 dell’8 maggio 2009, omissis, rv. 244008).

Una volta evidenziati questi orientamenti nomofilattici, si osservava come la stessa sezione, di quella chiamata a decidere nel caso di specie, avesse asserito come nel procedimento di riesame, non fosse deducibile, né rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato, sicché la stessa non potesse costituire oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen. ribadendo la condivisione anche in questa occasione, essendo l’orientamento dominante che tra l’altro, come rilevato in questa pronuncia, trova una ineludibile conferma nell’art. 309 c.p.p. e negli artt. 302 e 306 c.p.p..

Pertanto, alla luce di ciò, si giungeva ad affermare che, nel procedimento incidentale di riesame disciplinato dall’art. 309 c.p.p., e nel successivo giudizio di Cassazione, non sono deducibili, ne’ rilevabili di ufficio, in difetto di espressa previsione da parte del citato art. 309, questioni relative all’inefficacia della misura cautelare diverse da quelle concernenti l’inosservanza dei termini stabiliti dai commi 5 e 9 dello stesso articolo posto che soltanto quest’ultima – sanzionata dal successivo comma 10 con la automatica perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della misura cautelare – può a piena ragione essere dedotta in sede di riesame (nonché essere eventualmente rilevata, anche di ufficio, in Cassazione, a seguito del ricorso avverso l’ordinanza di riesame) poiché il giudice della procedura incidentale di impugnazione è, in quanto tale, non soltanto giudice della propria competenza, ma anche giudice della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, e quindi del rispetto dei termini che la procedura incidentale deve rispettare; peraltro, detta inosservanza sarebbe rilevabile in base a dati oggettivi, documentalmente verificabili, che non richiedono accertamenti incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità.

Tal che se ne faceva conseguire come la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per la omissione o la nullità dell’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. (costituente atto successivo all’adozione del provvedimento cautelare) risultasse del tutto estranea all’ambito del riesame, dovendo, invece, formare – per espressa previsione di legge – oggetto di istanza al giudice del procedimento principale, il cui provvedimento – pronunciato ai sensi degli artt. 302 e 306 c.p.p. (che sistematicamente precedono l’art. 309 c.p.p. – dal cui ambito, pertanto, esulano ed esplicitamente attribuiscono proprio al giudice del procedimento principale una specifica competenza ad hoc) – è soggetto all’appello previsto dall’art. 310 c.p.p., con possibilità di successivo ricorso per Cassazione in forza dell’art. 311 c.p.p. e ciò anche perchè l’art. 306 c.p.p. era già stato autorevolmente interpretato «nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una misura cautelare sia esclusivamente il giudice del procedimento (principale o incidentale) nell’ambito del quale si è verificato l’evento che l’ha determinata» (così, Sez. Un., n. 14 del 31 maggio 2000, omissis).

Si evidenziava oltre a ciò come il procedimento di riesame fosse preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sul protrarsi dell’applicazione della misura disposta e ciò confermava ulteriormente come non fosse consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti.

Da ciò se ne faceva conseguire la conclusione alla stregua della quale dall’ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 c.p.p. le quali, inerendo a vicende che prescindono de tutto dall’ordinanza oggetto di gravame, si risolvono in vizi processuali che non possono inficiare l’intrinseca legittimità di quest’ultima (alla cui verifica soltanto è legittimato il giudice del riesame) ma, operando sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l’estinzione automatica che deve essere disposta all’esito di un distinto subprocedimento (come detto, con l’ordinanza specificamente prevista dall’art. 306 c.p.p., appellabile ex art. 310 c.p.p.), e ciò anche perché, a tali conclusioni, sia pur incidentalmente, erano di recente giunte le Sezioni Unite delle Corte Suprema (Sez. Un., n. 45246 del 19 luglio 2012, omissis, in motivazione), a parere delle quali «l’estinzione di una misura cautelare può (…) verificarsi ope legis, per caducazione automatica conseguente al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola ne’ sulla validità del provvedimento applicativo ne’ sui presupposti di applicazione della misura; si tratta quindi di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste dall’art. 307 cod. proc. pen. per la sostituzione della custodia cautelare caducata per decorso dei termini massimi di durata” e, per questa ragione, la giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope legis delle misure cautelari personali possano essere dedotte con le impugnazioni proponibili contro le ordinanze applicative. In particolare deve escludersi che con la richiesta di riesame possa essere dedotta la caducazione della custodia cautelare per omissione o invalidità dell’interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen., che va dedotta con richiesta al giudice per le indagini preliminari, in quanto non attiene alle condizioni di legittimità e di merito per l’adozione della misura.

Si ribadiva dunque il seguente principio di diritto: «Nel procedimento di riesame non è deducibile, ne’ rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato; ne consegue che la predetta questione può costituire neanche oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen.».

Posto ciò, le doglianze prospetta nel secondo motivo di ricorso del R., infine venivano stimate reiterative, più o meno pedissequamente, di censure già dedotte in sede di riesame e già non accolte dal Tribunale risultando, pertanto, prive della specificità necessaria ai sensi dell’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p. (Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, manifestamente infondate, in considerazione delle argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, nonché giuridicamente corrette e, pertanto, nel complesso, esenti da vizi rilevabili in questa sede, poste dal Tribunale a fondamento delle contestate statuizioni.

Conclusioni

La sentenza è condivisibile in quanto frutto di un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico.

In particolare l’affermazione decisoria ivi compiuta, secondo la quale nel procedimento di riesame non è deducibile, ne’ rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato; ne consegue che la predetta questione può costituire neanche oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen., si allinea lungo il solco di un consolidato orientamento nomofilattico.

Tal che se ne faceva conseguire come una questione di rito di questo genere non potesse essere prospettata in sede di riesame ma, come osservato dalla stessa Corte in questa pronuncia, deve formare – per espressa previsione di legge – oggetto di istanza al giudice del procedimento principale, il cui provvedimento – pronunciato ai sensi degli artt. 302 e 306 c.p.p. – è soggetto all’appello previsto dall’art. 310 c.p.p., con possibilità di successivo ricorso per Cassazione in forza dell’art. 311 c.p.p..

Tale è dunque il corretto iter processuale per formulare una censura difensiva di siffatto tipo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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