Corte Ue: matrimonio omosessuale e libertà di soggiorno

Redazione 07/09/18
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Il termine coniuge può essere utilizzato anche i matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, a prescindere dal fatto che uno Stato membro autorizzi il matrimonio omosessuale; è questa la conclusione a cui è giunta la Corte di Giustizia Ue con la sentenza nella causa C-673/16.

In ragione di questo, non può essere rifiutata la libertà di soggiorno derivata di un cittadino non facente parte dell’Unione Europea, qualora lo stesso sia coniuge di un cittadino europeo.

Il caso in esame

Un cittadino rumeno e un cittadino americano, dopo essere stati per quattro anni conviventi negli Stati Uniti, si sono uniti in matrimonio a Bruxelles nel 2010. Due anni dopo i coniugi hanno presentato domanda alle autorità rumene per la procedura di soggiorno, per un periodo superiore a tre mesi, del cittadino americano.

La domanda era fondata sulla direttiva relativa all’esercizio della libertà di circolazione, la quale autorizza il coniuge di un cittadino dell’Unione che eserciti tale libertà a raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna.

A seguito di tale richiesta, le autorità rumene sono intervenute informando la coppia che tale diritto era limitato a tre mesi, non essendo il coniuge americano riconosciuto come tale in Romania, poiché lo Stato membro non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Con ricorso presentato dai coniugi è stata messa in luce una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale relativa al libero esercizio del diritto di libera circolazione nell’Unione.

Intervento della Corte di Giustizia

La Corte costituzionale rumena, investita di un’eccezione d’incostituzionalità, ha quindi sollevato la questione avanti alla Corte di giustizia, domandando se il coniuge statunitense della coppia dovesse essere effettivamente considerato tale e pertanto, come cittadino dell’Unione, libero di esercitare il suo diritto circolazione, ottenendo il contestuale diritto di soggiorno permanente in Romania.
La Corte sottolinea che la direttiva, relativa all’esercizio della libertà di circolazione, non fonda su un diritto di soggiorno derivato a favore di un cittadino extra-Ue in base alla situazione familiare, come quella esplicitata nella controversia. Aggiunge la Corte che i cittadini di Stati non-Ue, familiari di un cittadino dell’Unione, che non possano beneficiare di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro, possa essere riconosciuto il diritto ex articolo 21, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Nozione di coniuge

La nozione di “coniuge”, per la Corte, è neutra e dunque prescinde dal genere.

La Corte precisa che le norme relative al matrimonio sono di competenze degli Stati membri. Gli Stati membri sono quindi liberi di ammettere o meno il matrimonio omosessuale.
La Corte stabilisce, però, che il rifiuto, da parte di uno Stato membro, di riconoscere il diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-Ue, nel caso di matrimonio contratto con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso, in un altro Stato membro, è atto ad ostacolare l’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Ciò comporterebbe che la libertà di circolazione varierebbe da uno Stato membro all’altro in funzione delle disposizioni di diritto nazionale che disciplinano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La Corte precisa che una misura nazionale volta ad ostacolare la libera circolazione delle persone è giustificata solo se conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

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