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Premessa
Le operazioni stock option hanno l’obiettivo di legare solo alcuni dipendenti considerati «chiave» al capitale dell’impresa, mentre i «piani di azionariato destinati alla generalità dei dipendenti» (stock grant) si configurano come concessione di fringe benefit allo scopo di favorire la partecipazione dei dipendenti al capitale dell’impresa.
Poiché nelle società ad azionariato diffuso i manager non coincidono necessariamente con la proprietà, si è sviluppata una forma di retribuzione flessibile legata al valore di borsa delle azioni.
Il fine dei piani di stock option è quello di allineare gli obiettivi degli azionisti con quelli del governo dell’azienda e, più in generale, dei dipendenti.
La dottrina ha individuato alcuni fini da perseguire tramite le politiche di attribuzione di diritto di opzione per l’acquisto di azioni a singoli o a particolari categorie di dipendenti:
– maggiore coinvolgimento del personale per creare un’identità societaria;
– incoraggiare il dipendente alla partecipazione al capitale sociale;
– attrarre e fidelizzare dipendenti «chiave»;
– influenzare il dialogo fra organizzazione sindacali e datori di lavoro;
– creare una coesione interna alle singole categorie di lavoratori.
Per un approfondimento si veda «La settimana fiscale» n. 25/2001, pagg.22-24; n. 26/2001, pagg. 24-27.
La normativa previgente
Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 505/1999, l’art. 3 del D.Lgs. 2.9.1997, n. 314 aveva previsto vantaggi fiscali in merito all’assegnazione di azioni ai dipendenti. La norma, riformulando la lett. g), co. 2 dell’art. 48, D.P.R. 917/1986, stabiliva che il valore delle azioni sottoscritte dai dipendenti ai sensi degli artt. 2349 e 2441 del c.c. non concorresse a formare reddito di lavoro dipendente.
L’art. 2349 stabilisce che possono essere emesse speciali categorie di azioni da assegnare ai prestatori di lavoro, per un ammontare pari agli utili. L’art. 2441, ultimo comma, prevede la possibilità di escludere il diritto di opzione dei soci limitatamente ad un quarto delle azioni di nuova emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti. La norma agevolativa, quindi, non era applicabile a tutte le tipologie di azioni ma solamente alle azioni di nuova emissione.(*)
La C.M. del 24.6.1998, n. 165/E specifica, ai fini dell’attribuzione della plusvalenza o minusvalenza, che in caso di cessione da parte del dipendente di azioni acquistate in relazione al rapporto di lavoro dipendente, va assunto il valore delle azioni alla data in cui sono state acquistate dal dipendente quale reddito in natura, determinato a norma dell’art. 9 del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5109].
L’art. 9 del D.P.R. 917/1986 definisce il «valore normale» come segue:
– media aritmetica dei prezzi rilevati l’ultimo mese (per le azioni, obbligazioni, e altri titoli negoziati in mercati regolamentati);
– in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente (per le azioni o quote di società non quotate).
La nuova normativa
La disciplina fiscale dei piani di stock option è stata riformulata dall’art. 13, del D.Lgs. 23.12.1999, n. 505. Il cosiddetto «correttivo omnibus» ha modificato nuovamente l’art 48, co. 2, D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148] sostituendo integralmente la lett. g) e inserendo ex novo la lett. g-bis). Ha inoltre aggiunto il co. 2-bis) al fine di individuare il soggetto emittente. La norma in esame si applica sia alle azioni emesse dall’impresa della quale l’assegnatario è dipendente, sia alle azioni emesse da società che direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa [CFF (2) 5148].
Sostanzialmente, affinché il piano azionario sia agevolabile, il soggetto emittente delle azioni deve essere:
– la società per cui lavora il beneficiario;
– la società che controlla quest’ultima;
– società controllata dalla datrice di lavoro;
– società controllata dalla stessa società che controlla la datrice di lavoro.
La nuova normativa, applicabile dal 1.1.2000, prevede due ipotesi di piani di azionariato sottoposti ad un trattamento fiscale agevolato:
– le assegnazioni di azioni rivolte alla generalità dei dipendenti (azionariato ai dipendenti);
– i piani di stock option individuali, rivolti a determinate categorie di dipendenti.
Le due ipotesi hanno in comune il soggetto emittente delle azioni, i soggetti destinatari (dipendenti), la tipologia di azioni che rientrano nei piani agevolati e l’oggetto dell’agevolazione.
1) Azioni rivolte alla generalità dei dipendenti
L’art. 48, co. 2, lett. g) del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148] stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti fino all’importo di € 2065,83 (4 milioni di lire) nell’arco di un periodo d’imposta. La C.M. 20.3.2000, n. 98/E precisa che la soglia di esenzione costituisce una franchigia nel senso che:
– se il valore delle azioni attribuite risulta inferiore, l’intero valore delle azioni non è soggetto a imposizione;
– se il valore delle azioni attribuite è superiore, l’eccedenza rispetto a € 2065,83 al netto di quanto corrisposto dai dipendenti stessi, viene assoggettato a tassazione quale reddito di lavoro dipendente.
Condizione essenziale ma non sufficiente perché sussista l’esenzione totale è che l’offerta sia rivolta a tutti i dipendenti. Qualora le azioni fossero offerte solamente ad alcune categorie di dipendenti, come per esempio a tutti i dirigenti, l’intero valore delle stesse rappresenterebbe reddito di lavoro dipendente e troverebbe applicazione la normativa in materia di benefit (art. 48, co. 3, D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148]), è altresì vero che, allorché ne ricorressero i presupposti, si potrebbe applicare la normativa sulle stock option (ex art. 48, co. 2, lett. g-bis, D.P.R. 917/1986).
La circolare del 22.1.2001, n. 11 ha precisato che l’eventuale esclusione dei lavoratori a tempo determinato non rappresenta necessariamente una causa ostativa all’applicazione del regime agevolato, ma la risoluzione n. 3/E del 8.1.2002 (si veda «La Settimana fiscale» n. 3/2002, pagg. 7-8) chiarisce che, per godere dei benefici fiscali, i piani di azionariato devono essere rivolti anche a coloro che hanno stipulato un contratto di lavoro part-time, la stessa stabilisce inoltre che non è possibile vincolare una seconda offerta di azioni solo ai dipendenti che hanno già aderito ad una prima fase del piano di «azionariato ai dipendenti», poiché, in questo modo, l’acquisto delle azioni verrebbe precluso alla generalità dei dipendenti.
Ulteriore condizione per l’applicazione della norma è che le azioni non siano cedute prima di tre anni dalla percezione, e comunque, non vengano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro. Si è posto il problema in merito al momento iniziale di decorrenza del triennio: autorevole dottrina ha rilevato che il termine «percezione», usato nella norma, presupporrebbe implicitamente il riferimento al principio di cassa. Nella C.M. n. 326/E del 23.12.1997 il Ministero delle Finanze precisava, in merito al criterio di cassa, che il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell’erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore. Il triennio di detenzione varierebbe a seconda che le azioni siano di nuova emissione (il momento della percezione coincide con quello della sottoscrizione dell’aumento di capitale) o azioni già sul mercato (il momento della percezione coincide con l’acquisto della titolarità giuridica dei titoli da parte del dipendente).
La risoluzione del 9.1.2002, n. 3/E, rispondendo ad alcuni quesiti concernenti le corrette modalità di applicazione dell’art. 48, co. 2, lett.g) del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148], chiarisce che il momento impositivo rilevante per la determinazione dell’importo che non concorre a formare reddito di lavoro dipendente è quello in cui le azioni vengono assegnate al lavoratore, quindi la data di assegnazione. La regola vale sia in caso di assegnazione di azione ordinarie, sia di azioni al portatore. Qualora le azioni siano cedute, prima dello scadere dei tre anni, quello stesso importo che non è stato tassato precedentemente, sarà assoggettato ad imposizione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione.
Altra questione riguarda la modalità di determinazione del valore normale delle azioni ordinarie che deve essere determinato, secondo la risoluzione, in proporzione al valore del patrimonio netto effettivo della società. L’art. 9, co. 4, lett. b), del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5109] prevede che il valore normale delle azioni non quotate si determina «… in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente». L’Amministrazione finanziaria ha precisato con circolare n. 112 del 21.5.1999 e con successiva risoluzione n. 29/E del 20.3.2001 che, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, il valore normale è fissato in proporzione al valore del patrimonio netto effettivo della società o ente (risultante da relazione giurata di stima) e non in proporzione al patrimonio netto contabile.
2) Piani di stock option individuali
L’art. 48, co. 2, lett. g-bis) del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148] prevede l’ipotesi di assegnare diritti di opzione per l’acquisto di azioni a singoli dipendenti, con l’obiettivo di fidelizzare e di premiare determinate categorie che si ritiene rivestano un ruolo «chiave» nell’ambito della struttura dell’azienda.
In questo caso non concorre a formare il reddito la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente a due condizioni:
– che il prezzo pagato dal dipendente sia almeno pari al valore delle azioni al momento dell’offerta. La circolare del 29.12.1999, n. 247/E specifica che nel caso in cui il prezzo pagato dal dipendente sia inferiore al valore delle azioni al momento dell’offerta, l’agevolazione non spetta (concetto ribadito dalla circolare del 25.2.2000, n. 30/E);
– che il dipendente non possieda diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale sociale o al patrimonio per un ammontare superiore al 10%.
Per la determinazione del valore di riferimento si veda la «La Settimana fiscale» n. 15/2001, pag. 22.
La risoluzione del 17.12.2001 n. 212/E fornisce precisazioni in merito alla corretta applicazione dell’art. 48, co. 2, lett. g-bis), D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148]. L’Agenzia delle Entrate, in risposta a un quesito specifico, ribadisce che la condizione essenziale per poter usufruire dell’agevolazione in questione è che il prezzo al quale vengono offerte le azioni deve essere almeno pari al valore normale delle azioni al momento dell’offerta. La ratio della norma è quella di evitare che il piano di stock option sia utilizzato per corrispondere compensi detassati, anziché per perseguire obiettivi di fidelizzazione del dipendente.
I piani azionari in essere alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, prevedevano un prezzo di esercizio del diritto di opzione inferiore al valore normale dei diritti al momento dell’offerta escludendo, di fatto, la possibilità per il dipendente di usufruire del vantaggio fiscale: la differenza fra il prezzo pagato dal dipendente e il valore delle azioni al momento dell’esercizio del diritto di opzione costituisce reddito di lavoro dipendente (tassato con aliquote Irpef marginali).
L’Amministrazione finanziaria si è espressa dando la possibilità di modificare il piano di stock option facendo corrispondere al dipendente la differenza fra il prezzo inizialmente stabilito e il valore normale al momento dell’offerta, con l’obiettivo di far usufruire ai dipendenti dei vantaggi fiscali previsti. Al momento della vendita la plusvalenza non verrà più tassata come reddito di lavoro dipendente ma con un’imposta del 12,5%.
Esempio – Il piano di stock option originario prevede la possibilità di sottoscrivere/acquistare azioni a 90 a fronte di un valore normale al momento dell’offerta di 100. Il valore di mercato dell’azione al momento della vendita è di 140.
1) con il vecchio piano azionario il dipendente aveva corrisposto 90 rivendendo a 140 con una «eccedenza» sul valore di acquisto di 50 tassata con aliquota Irpef progressiva;
2) a seguito della variazione del piano azionario il dipendente avrà corrisposto 100 con una «eccedenza» di 40, tassata con aliquota sostitutiva del 12,5%.
Tipologia di piano di azionariato
Norma
Esenzione
Condizioni per l’esenzione
Piani di azionariato destinati alla generalità dei dipendenti
L’art. 48, co. 2, lett. g), del D.P.R. 917/1986
– importo massimo per ogni dipendente è di € 2065,83 per periodo d’imposta
– le azioni devono essere offerte a tutti i dipendenti
– le azioni non devono essere vendute prima di tre anni
– le azioni non devono essere riacquistate dal datore di lavoro o dalla società emittente
Piani di «stock option» in senso proprio
L’art. 48, co. 2, lett. g-bis), del D.P.R. 917/1986
– differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente
– prezzo pagato dal dipendente sia almeno pari al valore delle azioni al momento dell’offerta
– le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale sociale non superiore al 10%
Il regime transitorio
Assegnazioni effettuate prima del 1.1.2000.
Per regolamentare i piani di stock options e le assegnazioni fatte con il vecchio regime di esenzione, è stato previsto un regime transitorio.
La Circolare del 19.6.2001 n. 60 ribadisce che le nuove disposizioni contenute nella lett. g) e g-bis), co. 2, dell’art. 48 del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148], non si applicano alle stock options deliberate anteriormente al 1 gennaio 1998 semprechè le assegnazioni di azioni siano state effettuate anteriormente alla data del 1 gennaio 2000. Dunque, la nuova disciplina non si applica alle assegnazioni effettuate anteriormente al 1.1.2000, indipendentemente dalla data della delibera.
La norma non si applica altresì alle assegnazioni derivanti dall’esercizio di opzioni che sono state già attribuite nel periodo che va dal 1 gennaio 1998 al 15 gennaio 2000, alle quali continua ad applicarsi la previgente disciplina, sempreché più favorevole.
Assegnazioni effettuate dopo il 15.1.2000.
La risoluzione del 20.3.2001 n. 29/E, in risposta a un quesito specifico, chiarisce che tutte le assegnazioni di azioni intervenute a decorrere dal 16.1.2000, anche se conseguenza di diritti di opzione deliberati prima del 1.1.1998, sono disciplinate dall’attuale art. 48, co. 2, lett. g-bis), del D.P.R. 917/1986 [CFF (2) 5148].
L’amministrazione finanziaria ritiene che si applichi la nuova disciplina prevista dal D.Lgs. n. 505/1999, in quanto si tratta della normativa vigente al momento in cui viene esercitato il diritto di opzione.
La giustificazione dell’amministrazione finanziaria appare lacunosa e consiste nel fatto che le azioni riservate al dipendente rientrano nella sua disponibilità giuridica solo nel momento in cui esercita l’opzione, di conseguenza la disciplina applicata in linea generale, tranne espressa previsione contraria, è quella vigente al momento in cui viene esercitato il diritto di opzione e non quello in cui le azioni sono state offerte (per una approfondimento si veda «La Settimana fiscale» n. 15/2001, pagg. 21-22).
Il seguente schema riassume i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sulla disciplina transitoria contenuti nella circolare del 19.6.2001 n. 60, e nella risoluzione del 20.3.2001 n. 29/E.
Assegnazioni di titoli
Delibera
Disciplina
– Assegnazione di titoli effettuati anteriormente all’1.1.1998
anteriore al 1.1.1998
vecchia disciplina
– Assegnazione di titoli effettuate anteriormente al 1.1.2000;
indipendentemente dalla data della delibera
vecchia disciplina
– Assegnazioni derivanti dall’esercizio di opzioni attribuite dal 1.1.1998 al 15.1.2000
indipendentemente dalla data della delibera
vecchia disciplina, se più favorevole
– Assegnazioni di titoli derivanti dall’esercizio di opzioni dopo il 16.1.2000
indipendentemente dalla data della delibera
nuova disciplina
Regime contributivo dell’azionariato dei dipendenti
L’art. 2, co. 15 della L. 8.8.1995, n. 335 disciplinava il regime contributivo della cessione di azioni. La norma prevedeva l’esclusione dalla retribuzione imponibile della differenza fra il prezzo di mercato e quello agevolato praticato per l’assegnazione di azioni ai dipendenti.
Successivamente, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 2.9.1997, n. 314, che ha armonizzato la base imponibile fiscale con quella previdenziale, la preesistente disciplina è stata sostituita da quella fiscale, cosicché la cessione di azioni e le stock option sono imponibili ai fini contributivi secondo i tempi e i modi in cui lo sono ai fini fiscali seguendo il criterio di cassa.
Si sono sollevati dubbi sugli obblighi contributivi nell’ipotesi in cui si determinino redditi fiscalmente imponibili, derivanti da operazioni di azionariato ai dipendenti (azioni e stock option), successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro dipendente. Il problema si riferisce all’individuazione del soggetto obbligato.
La norma fiscale non stabilisce le modalità operative attraverso le quali operare la tassazione:
– nel caso in cui la cessione di azioni diano origine a tassazione e il soggetto sia ancora dipendente, spetta al datore di lavoro operare le ritenute sul reddito di lavoro dipendente (modello CUD);
– nell’ipotesi in cui la vendita delle azioni avvenga dopo la cessazione del rapporto di lavoro, non sussistono obblighi in capo all’ex datore di lavoro; spetterà all’ex dipendente, che ha ceduto le azioni, inserire in dichiarazione dei redditi l’importo tassato (modello 730, Unico Persone fisiche).
Il principio di unicità delle basi imponibili indurrebbe a ritenere che detti obblighi contributivi debbano essere assolti, ma non va, in ogni caso, trascurato il fatto che il dipendente non può procedere autonomamente al pagamento degli oneri previdenziali.
La circolare n. 11 del 22.1.2001 della Direzione Centrale delle Entrate contributive chiarisce che «…considerazioni d’ordine generale in materia previdenziale, fra cui la disposizione contenuta nell’art. 6 del D.Lgs. 314/1997 che parla di redditi «maturati nel periodo di riferimento». Tutto ciò porta a concludere che per i redditi derivanti da operazioni di azionariato ai dipendenti (azioni e stock option) maturati successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, sia possibile derogare al principio generale che l’assoggettamento al prelievo contributivo avvenga sulla medesima base determinata a fini fiscali. Pertanto, detti redditi sono escludi da contribuzioni sia per il percettore sia per l’ex datore di lavoro».
Note:
(*) Con la riforma i piani agevolati potranno essere strutturati indifferentemente secondo le seguenti modalità:
– vendita di azioni già presenti sul mercato;
– attribuzione straordinaria di utili ex art. 2349 c.c.;
– assegnazione di diritti di sottoscrivere azioni di nuova emissione ex art. 2441 c.c..
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