Le azioni possessorie
La Corte di Cassazione ha infatti sancito che: “le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell’eventuale identità soggettiva, sono caratterizzate dall’assoluta diversità degli altri elementi costitutivi (causa petendi e petitum); ne consegue che nel giudizio petitorio non possono essere invocati i provvedimenti emessi in sede possessoria, né le argomentazioni e le circostanze risultanti dalla sentenza che ha definito quel giudizio, giacché queste ultime hanno rilievo solo in quanto si trovino in connessione logica e causale con la decisione in sede possessoria, e perciò, lasciando impregiudicata ogni questione, sulla legittimità della situazione oggetto della tutela possessoria, non possono influire sull’esito del giudizio petitorio (C. Cass civ. n. 14689/01; in senso conforme C. Cass civ. n. 7747/99; C. Cass civ. n. 360/95 – C. Cass civ. n. 13450/16).
Rientra fra le azioni petitorie di accertamento negativo la “negatoria servitutis”. Ai sensi dell’art. 949, I° comma, c.c.: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio”. L’interesse ad esperire l’azione sussiste laddove il convenuto, con azioni concrete, determini una situazione di incertezza circa l’esistenza o meno di un diritto di servitù a vantaggio del proprio fondo (Cass. Civ., Sez. II, 03/11/2000, n. 14348). L’interesse ad agire in negatoria servitutis sussiste anche quando, pur non denunciandosi l’avvenuto esercizio di atti materiali lesivi della proprietà, a fronte di pretese reali affermate dalla controparte, si intenda far chiarezza con l’accertamento dell’infondatezza delle pretese (Cass. Civ. n. 5569/2010). Quindi anche nell’ipotesi della presenza di un provvedimento derivante da un giudizio possessorio.
La funzione della azione di negatoria servitutis
Il vantaggio della negatoria servitutis è duplice. Da un lato l’attore non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte (essendo sufficiente la dimostrazione, anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido), dall’altro il convenuto ha l’onere di provare l’esistenza del diritto a lui spettante in forza di eccezione o domanda riconvenzionale.
Il convenuto nel procedimento petitorio, vittorioso nel procedimento possessorio, non potrà tuttavia invocare le prove assunte in tale sede. Ciò in coerenza con la diversità di presupposti delle due azioni, come già specificato (Cass. Civ. n. 5732/94; in senso conforme Cass. Civ. n. 7556/86).
Un profilo problematico è quello relativo all’esecuzione della sentenza di accertamento negativo del diritto spettante al convenuto, in favore dell’attore, in contrasto con l’esito di un precedente, ma autonomo, procedimento possessorio favorevole al convenuto. La sentenza emessa in sede petitoria è di per sé idonea a sovvertire l’eventuale esito del precedente procedimento possessorio. Tuttavia la disciplina dell’esecuzione provvisoria di cui all’art. 282 c.p.c., trova legittima attuazione soltanto con riferimento alle sentenze di condanna, le uniche idonee, per loro natura, a costituire titolo esecutivo. Infatti le sentenze di accertamento non hanno l’idoneità, con riferimento all’art. 282 c.p.c., ad avere efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato (Cassazione civile, sez. III°, 20 febbraio 2018).
C’è chi ha sostenuto l’inidoneità della sentenza di accertamento negativo della servitù di “neutralizzare” l’esito della pronuncia possessoria, sino al passaggio in giudicato (Trib. di Napoli 23.04.2002) e chi, diversamente, ha ritenuto che, nonostante la natura dichiarativa della statuizione relativa alla negatoria servitutis, essa contenga anche in sè una pronuncia di condanna, dotata di una sua autonomia e di un connotato proprio che non è puramente dichiarativo e, pertanto, tale capo debba essere ritenuto provvisoriamente esecutivo ex art. 282 c.p.c. (Tribunale di Bergamo sent. del 23.02.2007).
Ove si propendesse per il primo orientamento vi è da considerare che il passaggio in giudicato di una sentenza di accertamento negativo potrebbe anche essere posticipata in seguito ad impugnazioni della sentenza nei gradi successivi di giudizio, con potenziale pregiudizio per l’attore vittorioso in sede petitoria, ma soccombente nel precedente giudizio possessorio.
La giurisprudenza di legittimità
La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla natura ed efficacia dei provvedimenti possessori assunti durante il giudizio petitorio, stabilendo che questi sono destinati a venire assorbiti dalla sentenza che definisce la controversia petitoria. Infatti: “Ai sensi dell’art. 704 cod. proc. civ., i provvedimenti possessori emessi dal giudice del petitorio, avendo carattere puramente incidentale, sono destinati a venire assorbiti dalla sentenza che, decidendo la controversia petitoria, costituisce l’unico titolo per regolare in via definitiva i rapporti di natura possessoria e petitoria in contestazione fra le parti. (Sulla base di tale principio, è stata confermata la sentenza che, nel decidere il giudizio possessorio concernente fatti avvenuti durante la pendenza del procedimento petitorio, aveva rigettato la domanda di reintegrazione, essendo stata in quella sede negata l’esistenza del diritto, in relazione al quale l’attore aveva preteso di esercitare il possesso)” (Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 14607 del 22/06/2007).
Sembra quindi plausibile ritenere che il provvedimento possessorio derivante da altro e precedente giudizio venga poi definitivamente assorbito dal provvedimento di carattere petitorio, sebbene non passato in giudicato e suscettibile di impugnazione, venendo così meno il presupposto per invocare la tutela della situazione di fatto in sede di procedimento possessorio.
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