“ Avere una visione del mondo significa creare un’immagine del mondo e di sé, sapere che cosa è il mondo e che cosa siamo noi. […] L’errore fondamentale di ogni visione del mondo è la sua singolare tendenza a essere considerata essa stessa come la verità delle cose”
( Jung in “La siliconizzazione del mondo” di E’. Sadin,60, Einaudi 2018)
Vi è in atto una tendenza a ridurre lo studio del diritto ad un puro tecnicismo, secondo una visione del mondo tecno liberale, nella quale non vi è spazio per una ricerca cognitiva interdisciplinare ed umanista, frutto di una nuova società massificata inconsciamente e volontariamente nei singoli, a differenza della massificazione avvenuta fra ‘800 e ‘900 fondata sull’autorità.
Viene meno la capacità critica annegata nella pura ricerca dei precedenti e di logiche autoreferenti, secondo matrici esclusivamente utilitaristico – economiche, in cui la riflessione e la ricerca delle connessioni appaiono ai più fini a sé stessi e non premessa per analisi sui perché, fondamenta per disvelamenti e nuove prospettive.
La stessa informatica nel contrarre i tempi, fino a creare un quotidiano permanente senza ante e post, pone domande problematiche sul rapporto diritti/doveri.
L’espansione di un mondo virtuale globale, il crescere esponenziale della popolazione mondiale con dislivelli di età fra aree geografiche diversamente sviluppate, le difficoltà crescenti di sostentamento del pianeta, fanno sì che il mondo giuridico, quale specchio dei conflitti culturali attuali, dimostri la sua insufficienza nell’essere stanza di compensazione.
L’attuale assetto giuridico
I diritti come i doveri vengono pertanto a configgere nelle crescenti tensioni, spingendo la dottrina ad espandere la sua visione nella ricerca di una possibile ricomposizione della frammentazione in atto. In questo si pone il difficile la necessario rapporto tra il mondo giuridico e gli aspetti più profondamente economici, sociali, biologici e culturali che l’ambiente naturale impone.
Si è parlato e si parla della legge economica della crescita come qualcosa di estraneo alle leggi evolutive, queste vengono richiamate in senso darwiniano, quale lotta per l’esistenza che impone la necessità di una crescita economica per imporsi e non decadere ed estinguersi.
Questa lotta tuttavia da esogena alla specie umana è diventata endogena alla specie, ne risulta quindi potenzialmente infinta in presenza di risorse naturali limitate, ossia finite per i limiti del pianeta.
Il successo della specie può pertanto essere la premessa per una sua estinzione e sostituzione, questa può avvenire in termini traumatici o più semplicemente progressivi, con una accelerazione esponenziale.
E’ ben vero che la sostituzione potrà avvenire ad opera della stessa specie dominante, che possiede i mezzi tecnologici e le conoscenze necessarie per l’accadimento, ma questo non è, seppure può apparire ad alcuni auspicabile, di per sé certo.
Dobbiamo considerare che la specie umana ha modificato l’ambiente naturale e vive già in ambienti artificiali controllati, lo stesso paesaggio così come lo conosciamo è nella prevalenza dei casi una natura modificata; potremmo quindi procedere ad ulteriori modifiche, in questa ipotesi rientra la stessa realtà virtuale.
L’abbattimento delle alberature storiche, per evitare responsabilità da cadute con la sostituzione mediante nuove specie non autoctone, l’inquinamento luminoso crescente dovuto alle nuove tipologie di LED, giustificato dalla ricerca del risparmio energetico a scapito della qualità visiva notturna del paesaggio, come un crescente consumo del territorio, non sempre correttamente giustificato (Italia Nostra, n. 497 e 499/2018), sono esempi di una continua modifica dell’ambiente.
Vi è una cultura tecno liberista che ha trasformato il regime liberista in un qualcosa di assoluto senza limiti, in cui la tecnologia digitale permette di superare qualsiasi soglia, in una ricerca e realizzazione di diritti assoluta dove tutto sembra essere possibile, indipendentemente dai limiti e dalle risorse naturali (Sadin E’., La siliconozzazione del mondo, Einaudi 2018).
E’ possibile che la stessa tecnologia sia parte del processo evolutivo e conduca l’umanità a superare se stessa, a creare nuovi ambienti dove a seguito di un succedersi di stati di crisi nascano nuove forme, che non potranno comunque più essere considerati esseri umani così come noi li intendiamo, bensì nuove forme vitali di coscienza.
Nel dubbio di una tale possibilità , dobbiamo tuttavia cercare di preservare le possibilità di questo pianeta in cui viviamo, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità, valutando i limiti biologici fisici e psichici della specie umana, tanto nei suoi aspetti egoistici che altruistici ed empatici.
La teoria delle scelte collettive postula che l’individuo sia un soggetto egoista, razionale, teso alla massimizzazione della propria utilità; in questo processo decisionale vengono coinvolti diversi attori: gli elettori, gli eletti, i funzionari pubblici, i partiti politici e i gruppi di pressione, ognuno di questi caratterizzato da logiche e obiettivi distinti.
La funzione di utilità degli elettori è il risultato della quantità di beni e servizi pubblici, nonché di beni privati che si possono acquisire, i politici a loro volta dalla possibile rielezione e quindi dalla massimizzazione dei voti, i gruppi di pressione dagli obiettivi condivisi, mentre i funzionari pubblici, secondo la “teoria economica della burocrazia”, dalla massimizzazione della carriera, della remunerazione e del prestigio.
Il processo decisionale a causa delle esternalità risulta essere complicato, coinvolgendo gli apparati amministrativi ai vari livelli, sia a livello nazionale che sovra-nazionale.
La regola dell’unanimità, al fine di una allocazione pareto-efficiente delle risorse, diventa sempre più irrealizzabile con l’ampliarsi della comunità, fino a portare alla paralisi decisionale, né si possono tacere le difficoltà di una leale collaborazione nella raccolta delle preferenze ambientali o nell’impedire comportamenti truffaldini strategici (free rider).
Anche la maggioranza qualificata presenta tempi lunghi di consultazione e approvazione, per non dire dei possibili accordi, per cui una minoranza fortemente interessata può effettuare scambi di favori con una maggioranza non o scarsamente interessata.
Buchaman e Tullock hanno evidenziato che non esiste una regola ottimale nella scelta del meccanismo decisionale, ma occorre verificare i costi associati a ciascuna regola, dovendo esservi un trade-off tra costi del processo decisionale e numero elevato di individui favorevoli ad una decisione.
Si tende in tal modo di perseguire il Primo Teorema Fondamentale dell’Economia del Benessere, per cui un’allocazione Pareto – efficiente delle risorse si ha solo in un’economia di mercato perfettamente concorrenziale.
Il voto a maggioranza
Nel voto a maggioranza il risultato corrisponde alle preferenze dell’elettore mediano, il quale risponde ai livelli di spesa pubblica desiderata, solitamente la domanda della spesa pubblica desiderata è pertanto correlata alla posizione mediana nella distribuzione dei redditi.
Tuttavia il voto a maggioranza non sempre fornisce una decisione stabile e univoca nella spesa per le risorse pubbliche, in quanto prevale l’ordine in cui le alternative sono poste in votazione, si ha quello che è definito come “il paradosso del voto a maggioranza” (teorema dell’impossibilità del voto a maggioranza), in quanto le preferenze individuali tendono ad essere “bimodali” e non “unimodali”, ossia con il passaggio da una spesa pubblica massima o minima all’opposto e solo successivamente intermedia.
La mancanza di un equilibrio è ancora maggiore se la scelta riguarda più beni pubblici in concorrenza fra loro, oppure se si affrontano questioni redistributive, anche l’intensità delle preferenze si risolve in un problema, quando minoranze coese e fortemente motivate si impongono a maggioranze poco interessate.
Se si è pensato di risolvere il problema con il meccanismo del voto a punteggio, questo tuttavia favorisce l’adozione di comportamenti strategici, si è ricorso quindi al metodo del commercio dei voti in cui vi è uno scambio reciproco di appoggi, circostanza che tuttavia non esclude una diminuzione del benessere collettivo per il prevalere di interessi particolari (Brosio G., Economia e finanza pubblica, Carocci Ed. 1999).
Arrow con il suo “teorema dell’impossibilità” ha evidenziato la difficoltà di un soddisfacente e coerente sistema di scelte pubbliche basato sulle preferenze individuali, vi è infatti il problema del rispetto nel processo di aggregazione delle preferenze individuali di quattro principi:
• Principio di Pareto;
• Indipendenza da alternative irrilevanti;
• Dominio non ristretto;
• Non dittatorialità;
così che vengano soddisfatti i tre assiomi fondamentali della Riflessività, Completezza e Transitività (Ordinamento).
Abbiamo finora considerato l’aspetto delle decisioni pubbliche in materia ambientale, vi è tuttavia da considerare anche l’economicità nell’utilizzo delle Risorse Naturali (Tietenberg, Economia dell’Ambiente, Mc Graw – Hill Italia, 2006).
Quando parliamo di Risorse Naturali dobbiamo distinguere tra “efficienza statica” ed “efficienza dinamica”, a seconda se il fattore tempo sia elemento cruciale o meno nell’allocazione delle risorse.
Nell’efficienza statica si massimizza il beneficio netto derivante dall’utilizzo delle risorse, secondo la teoria classica all’aumento del prezzo vi sarà la diminuzione della richiesta quantitativa del relativo servizio ambientale.
Considerando che i benefici netti sono massimizzati all’eguagliare tra i benefici marginali e costi marginali in una certa allocazione di risorse, secondo il principio dell’ottimo paretiano, per cui un’allocazione è ottima se non esiste nessuna altra allocazione in grado di aumentare il beneficio di un individuo senza danneggiarne un altro, si avrà pertanto uno stretto legame tra allocazioni efficienti e allocazioni ottime in senso paretiano.
Occorre quindi acquisire la capacità di misurare costi e benefici, considerando la difficoltà di fornire un valore monetario a molti beni naturali, quali i paesaggi. (Perace, Turner e Bateman, Economia Ambientale, Il Mulino, 2003).
Nell’efficienza dinamica una allocazione di risorse in un determinato periodo N ne soddisfa il criterio, se crea il massimo possibile valore attuale di benefici costante nell’arco di tempo e ripartito in N periodi, in formula BXn/(1+r)elevato alla n, dove r prende il nome di tasso di sconto e B di beneficio netto.
In presenza di una scarsità di risorse intertemporale si ha un “costo marginale d’uso”, dato dalla riduzione della possibilità di utilizzarle in futuro, si deve sottolineare che all’aumentare dei tassi di sconto si tende a privilegiare l’oggi, dando minore peso alle prospettive future.
Nel caso vi sia una risorsa alternativa, il passaggio dalla risorsa esauribile a quella sostitutiva avviene gradualmente, questo quando il costo della risorsa esauribile raggiunge il costo marginale della risorsa sostitutiva. Tuttavia l’utilizzo della risorsa esauribile può allungarsi nel tempo grazie al progresso tecnologico che ne abbatte i costi.
Nell’uso delle risorse ambientali vi sono dei costi esterni (esternalità negative) che ricadono sulla società, ogni bene ambientale ha inoltre un valore d’uso e un valore economico che può salire nel tempo.
Occorre comunque definire con precisione il diritto di proprietà per evitare le esternalità negative, a riguardo Tietenberg richiama le tre caratteristiche principali che devono avere i diritti di proprietà per essere efficienti:
• Esclusività;
• Trasferibilità;
• Applicabilità, ossia garanzia rispetto a confische o usurpazioni di terzi.
Il “Rapporto Brundtland” (ONU) del 1987 introduce il criterio della sostenibilità, secondo cui alle future generazioni dovrebbero garantirsi condizioni almeno uguali a quelle dell’attuale generazione.
La “regola di Hartwick” risolve il problema del mantenimento nel tempo di un livello costante di consumo, o benessere, con l’investire interamente nell’accumulo di capitale il valore del costo d’uso delle risorse non rinnovabili, in modo tale che il valore dello stock di capitale non sia decrescente nel tempo, questo indipendentemente da alcuna informazione sulle preferenze delle future generazioni.
Hartwick considera il capitale totale costituito dal capitale fisico (quali edifici, attrezzature, strade, etc.) + il capitale naturale (risorse naturali e ambientali), sorge tuttavia una problematica nel sostituire il capitale naturale con il capitale fisico, non potendo esservi uno scambio completo.
Riconoscendo tale limite è stata proposta la sostenibilità di una allocazione solo nel mantenimento invariato del valore dello stock del capitale naturale (sostenibilità forte), riconoscendo il basso grado di sostituibilità del capitale naturale con il capitale fisico, per cui il mantenimento del capitale totale costante è stato definito come una “sostenibilità debole”.
Vi è nelle risorse rinnovabili a libero accesso quello che è stata definita come “tragedia dei beni a libero accesso”, in cui intervengono due fattori negativi: una esternalità intragenerazionale ed una esternalità intergenerazionale, circostanze che producono uno sfruttamento non sostenibile.
Si è pensato di intervenire con una regolamentazione diretta, ma questa non è risultata uno strumento efficiente, in quanto non contempera quantità efficiente al più basso costo possibile. Si è quindi passati allo strumento delle imposte, dove si considerano i costi reali in termini di risorse, anziché il puro trasferimento di risorse, altro strumento introdotto sono state le “quote individuali trasferibili”.
Risulta quindi evidente, ad es. nella ricerca di riduzione dei rifiuti di plastica , come di altre sostanze inquinanti, la necessità di addossare i costi derivanti dall’esternalità mediante imposte sui produttori stessi, in modo da spingere verso produzioni alternative, risulta pertanto del tutto palliativo intervenire “solo” a valle sui consumatori.
Si deve tuttavia considerare la crescita esponenziale della popolazione umana sul pianeta, circostanza che viene a compromettere la “regola di Hartwick” nei termini di una “sostenibilità forte”.
Il progresso tecnico ha già modificato e modificherà ulteriormente l’ambiente naturale, permettendo all’uomo una maggiore resilienza, tuttavia conduce ad una possibile sostituzione evolutiva. Possibili interventi avverranno su una ampia scala, tale da influire in termini sistemici, solo a seguito del ripetersi di ampie crisi globali, che imporranno al superamento dei forti interessi coalizzati e delle consuetudini consolidatesi nel tempo.
Sadin pone a confronto l’infinità propria di una concezione umanistica con l’illimitatezza, negazione di qualsiasi limite, propria di una concezione assolutistica e di un tecnicismo amorale.
Si viene a parlare di una sottomissione del social-liberismo ad un tecno libertarismo, dove l’esistente è ridotto ad una gestione esclusivamente algoritmica, si parla pertanto solo di una espansione tecnico-economica, indipendentemente dai rapporti naturali degli eco-sistemi in cui siamo immersi e delle loro pluralità.
Il venire meno del concetto di “limite”, il cui effetto finale è la “pleonessia” o brama del possesso, porta al disastro ecologico dello sfruttamento sfrenato delle risorse naturali, dove la “velocità dell’evoluzione” conduce ad una “mancanza di adattamento” della specie che ha consumato il suo habitat e in cui il caos viene a subentrare ai vari multilivelli organizzativi. (Sadin E’., La siliconizzazione del mondo, Einaudi, 2018).
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