Tutela cautelare dell’onore e della reputazione alla luce del principio di inammissibilità di misure cautelari equivalenti al sequestro della stampa ex art. 21 III comma Cost

A cura di Avv. Gianluca Massimei e Avv. Guido Zanchi

L’Ordinanza del 25 gennaio 2018 del Tribunale Civile di Milano (di seguito, per brevità, l’ “Ordinanza”) merita particolare attenzione in quanto si tratta – a quanto consta – del primo provvedimento dopo la sentenza n. 23469/16 delle Sezioni Unite Civili della Cassazione (di seguito, per brevità, la “Sentenza”) che affronta, in maniera puntuale ed approfondita, il tema relativo all’ammissibilità ed al contenuto della tutela cautelare dell’onore e della reputazione dei soggetti lesi da articoli di stampa ritenuti diffamatori.

Il provvedimento si segnala, inoltre, per il rilievo costituzionale delle tematiche e dei principi trattati e per avere avuto il lodevole intento, come si dirà, di risolvere alcuni dubbi interpretativi ed applicativi suscitati dalla Sentenza in tema di inammissibilità di misure cautelari aventi effetti equivalenti al sequestro della stampa.

Il caso oggetto della decisione

La pronuncia in esame origina dall’azione cautelare intrapresa da due Avvocati nei confronti dell’Editore di un noto settimanale on line al fine di inibire l’ulteriore pubblicazione e diffusione, con qualunque mezzo, dell’articolo pubblicato on line il cui contenuto veniva considerato altamente lesivo della loro immagine e reputazione professionale.

La prima fase cautelare si concludeva con un’ordinanza di inammissibilità dell’istanza proposta dai predetti Avvocati ciò in conformità al principio sancito dalla Sentenza, che, richiamando il dictum affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali n. 31022/2015, ha esteso all’ambito civilistico il principio in forza del quale “…la tutela costituzionale assicurata alla stampa si applica al giornale o al periodico pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico qualora possieda i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico diffuso su supporto cartaceo…Pertanto, nel caso in cui sia dedotto il contenuto diffamatorio di notizie ivi contenute, il giornale pubblicato in via esclusiva o meno, con mezzo telematico non può essere oggetto, in tutto o in parte, di provvedimento cautelare preventivo o inibitorio, di contenuto equivalente al sequestro o che ne impedisca o limiti la diffusione, ferma restando la tutela eventualmente concorrente prevista in tema di protezione dei dati personali”.

Avverso il provvedimento di inammissibilità dell’istanza cautelare, i ricorrenti proponevano, quindi, reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., lamentando l’erronea qualificazione, da parte del giudice, dell’azione proposta, che, nella prospettazione dei ricorrenti, aveva ad oggetto anche un’ipotesi di illecita pubblicazione dei dati personali degli interessati (in particolare il proprio nome) a cui erano state associate informazioni false.

Il Collegio meneghino, investito del reclamo, pur riconoscendo che anche in sede di procedimento cautelare è consentito alle parti di modificare e precisare le domande ed eccezioni a seguito delle difese dei resistenti, ha affermato che tale facoltà non era stata tempestivamente esercitata dai ricorrenti entro il termine a ciò deputato, ossia l’udienza di discussione.

Ciò premesso, passando al merito della questione sottesa alla vicenda de qua, il Collegio, in parziale difformità rispetto a quanto affermato dal giudice della prima fase cautelare, ha ritenuto il reclamo ammissibile, ma non meritevole di accoglimento nel merito.

L’Ordinanza del Collegio e i principi ad essa sottesi

Per comprendere l’importanza dell’Ordinanza in commento è necessario prendere le mosse dal principio giurisprudenziale sancito dalle sentenze delle Sezioni Unite sopra citate, e richiamato dal Collegio, secondo cui la tutela costituzionale assicurata dall’art. 21 III comma Cost. è tale da impedire la possibilità di concedere misure cautelari che determinino, in concreto, effetti equivalenti al sequestro della stampa.

L’Ordinanza, pur riprendendo le ragioni giuridiche sottese alle predette pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si spinge oltre. Il fine è quello di individuare eventuali aree di ammissibilità dello strumento cautelare idoneo ad assicurare una tutela d’urgenza in presenza di notizie ed informazioni ritenute lesive dell’onore e della reputazione.

L’intento dei Magistrati meneghini, in sostanza, consiste non tanto nel ricondurre l’analisi giuridica nell’ambito del conflitto tra il diritto fondamentale all’onore e alla reputazione e la libertà di stampa (conflitto che, in forza del divieto di sequestro dei giornali di cui all’art. 21 III comma Cost. vedrebbe il primo cedere il passo alla libertà di stampa), bensì, nell’indagare il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale dell’onore e della reputazione.

Il Collegio, infatti, osserva che in assenza di una tutela cautelare effettiva ed in considerazione del carattere pervasivo e diffusivo del mezzo di comunicazione telematico nonché dell’idoneità dello stesso a causare danni potenzialmente irreparabili, si imporrebbe all’interessato di rimandare la tutela del proprio diritto fondamentale all’onore e alla reputazione in una fase (quella di merito) in cui gli effetti dannosi dell’illecito si sarebbero oramai irreversibilmente prodotti e consolidati.

I Magistrati meneghini, pertanto, richiamando le numerose disposizioni costituzionali (artt. 2,3, 24,113 Cost.) e sovranazionali (art. 19 TUE, art. 8 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, l’art. 13 CEDU e l’art. 47 della Carta europea dei diritti fondamentali), nonché la giurisprudenza costituzionale che ha espressamente riconosciuto che il diritto alla tutela giurisdizionale “è tra quelli inviolabili dell’uomo” e che “l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti (…) è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto” (cfr. Sentenza n. 26/1999, nonché 29/2003, n. 386/2004 e n. 120/2014 della Corte Costituzionale), ritengono necessario valorizzare, unitamente al principio di effettività dei diritti e della loro tutela, il principio di proporzionalità che deve essere sempre applicato nel giudizio di bilanciamento tra diritti di rango costituzionale in ipotesi di loro potenziale conflitto.

Non esistono – prosegue il Collegio – diritti fondamentali assoluti, dal momento che – come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 85/2013 – “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflito tra loro” (sentenza n. 264 del 2012 della Corte Costituzionale)

Orbene la portata innovativa (ed il pregio) dell’Ordinanza in commento risiede proprio nell’aver analizzato il conflitto tra diritto all’onore e alla reputazione e la libertà di stampa attraverso la lente del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e del principio di proporzionalità ed adeguatezza per garantire al soggetto un ambito di operatività della tutela cautelare del diritto fondamentale all’onore e alla reputazione, senza porsi in conflitto con il divieto posto dall’art. 21 III comma Cost.

La prospettiva di indagine finisce, quindi, per concentrarsi sul piano della scelta delle modalità concrete di attuazione della predetta tutela.

Osserva, infatti, il Collegio che, “mentre un provvedimento volto ad impedire la diffusione e la permanenza della pubblicazione contenente le notizie ritenute diffamatorie avrebbe (avuto) un effetto corrispondente a quello del sequestro”, in violazione, dunque, del divieto posto dall’art. 21 III comma Cost., un rimedio (dall’oggetto più ristretto) idoneo a comporre tale conflitto consentendo allo stesso tempo di garantire il rispetto del principio di effettività e di proporzionalità della tutela giurisdizionale sarebbe quello della richiesta in via d’urgenza di un “aggiornamento” della notizia contenente le precisazioni e le contestazioni dei diretti interessati.

Tale strumento di tutela – secondo il Collegio – potrebbe essere, infatti, assimilato all’esercizio del diritto di rettifica disciplinato dall’art. 8 della L. n. 47/1948 e, in quanto tale, compatibile con l’attenuata tutela cautelare di cui godono l’onore e la reputazione rispetto alla libertà di stampa.

Ricorda, infatti, il Collegio che la richiesta di rettifica in via d’urgenza non determina alcuna limitazione alla formazione dell’opinione pubblica (come invece si avrebbe con strumenti volti a inibire la pubblicazione e diffusione), ma, al contrario, consente di informare il fruitore della notizia dell’esistenza di “voci contrarie”, della “verità soggettiva” del soggetto oggetto della notizia, svolgendo al tempo stesso un ruolo di promozione del pluralismo ex art. 21 Cost.

Con l’Ordinanza in commento, dunque, il Collegio, pur affermando l’ammissibilità di un’azione cautelare volta ad ottenere l’aggiornamento della notizia pubblicata da un settimanale telematico, ha, tuttavia, rigettato il ricorso proposto dai due Avvocati nel merito, poiché l’Editore aveva già prontamente provveduto ad inserire nell’articolo in questione un link contenente le lettere di precisazioni e spiegazioni inviate dai ricorrenti.

In conclusione l’Ordinanza ha avuto (ed avrà nel futuro fino a nuovi arresti sul punto) il pregio di contribuire a chiarire alcuni dubbi in termini di applicazione pratica venutisi a creare a seguito dell’affermazione, da parte delle sentenze delle Sezioni Unite sopra citate, del principio dell’inammissibilità dello strumento cautelare volto a inibire la pubblicazione e la diffusione da parte di una testata giornalistica telematica di articoli ritenuti diffamatori.

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Gianluca Massimei

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