Molte speranze erano riposte dagli operatori nel nuovo contratto collettivo per vedere semplificata la giungla di disposizioni e di interpretazioni che ruotano attorno alla costituzione del fondo per il salario accessorio. Purtroppo l’occasione è stata persa. La disciplina contenuta nel Ccnl, innovando alcuni istituti, non può che comportare ulteriori incertezze anche su norme che, nel tempo, avevano trovato una loro applicazione unanimemente accettata. Ripartirà, quindi, la giostra di pareri e delibere, spesso contraddittori, i quali non faranno altro che mettere in ulteriore difficoltà gli operatori, chiamati ad applicare, nel concreto, le diverse previsioni.
Si riportano, di seguito, i primi commenti in argomento. I riferimenti devono intendersi all’ipotesi di Ccnl per le Funzioni Locali sottoscritta lo scorso 21 febbraio.
La costituzione del fondo era il nodo più complicato da sciogliere in quanto, su tale aspetto, lo stratificarsi di disposizioni spesso portano gli addetti che, diligentemente, vogliono trovare il bandolo della matassa, a risalire, quantomeno, al 1998 e, qualora questo non fosse sufficientemente convincente, anche al 1993, vale a dire a 25 anni fa! È chiaro che la probabilità di errore in epoche così lontane risulta alquanto alta, soprattutto perché, al tempo, molte erano le risorse disponibili e pochi i controlli effettuati. La soluzione adottata, se può apparire quanto mai semplice, in realtà presenta il fianco a non poche insidie.
Le singole disposizioni
Analizziamo, di seguito, le norme contenute nell’ipotesi di Ccnl, evidenziando, in particolare, gli aspetti di maggiore rilievo ovvero innovativi rispetto alla disciplina precedente.
Il consolidamento delle risorse stabili (art. 67, comma 1)
È la prima operazione da affrontare. Dal 2018, in sostanza, tutte le risorse stabili indicate nel fondo per l’anno 2017 sono riassunte in un unico importo. Le risorse stabili da considerare in questo frangente sono identificate con quelle risultanti dall’applicazione dell’art. 31, comma 2, del Ccnl 22 gennaio 2004. Se questa previsione non presenta particolari complessità, lascia perplessi la seconda parte della disposizione, dove viene sottolineato che tale importo deve comprendere lo specifico fondo delle progressioni economiche e il finanziamento dell’indennità di comparto, limitatamente alle lettere b) e c) dell’art. 33, comma 4, dello stesso contratto collettivo. Infatti è evidente che le ultime due fattispecie rappresentano modalità di utilizzo del fondo e non somme che implementano lo stesso. Non risulta, pertanto, chiaro quale obiettivo si ponessero le parti nel momento in cui hanno ritenuto di dover specificare tale aspetto. Ancora una volta, la commistione fra costituzione e utilizzo crea non poco disorientamento negli interpreti.
Il suindicato importo deve risultare certificato dal collegio dei revisori. Questo conferma quanto più volte sostenuto in ordine all’obbligo dei revisori di apporre il loro visto sull’atto di costituzione del fondo, comportamento spesso avversato dagli stessi revisori, i quali sostenevano che nessuna norma li obbligasse in tal senso, mentre, in sede di compilazione del conto annuale del personale, la Ragioneria Generale dello Stato chiedeva la data di tale certificazione, specificando che quest’ultima doveva essere antecedente alla sottoscrizione del contratto decentrato.
Una perplessità nasce in ordine all’applicazione della disposizione negli enti con popolazione inferiore a 15.000 abitanti. Infatti, per tali amministrazioni, l’art. 234 del d.lgs. n. 267/2000 prevede che la revisione economico-finanziaria sia affidata ad un revisore unico. Viene a mancare il collegio, richiesto, invece, dalla disposizione del Ccnl.
Incomprensibilmente, si specifica che solo questo ammontare deve essere stato certificato dal collegio dei revisori, mentre nulla si dice delle ulteriori voci, che si aggiungono e si tolgono, per arrivare all’importo consolidato. Non risulta evidente il motivo di tale diversità di trattamento, in quanto, soprattutto per quanto riguarda la retribuzione delle posizioni organizzative, gli enti possono essere tentati di mettere in atto manovre non del tutto limpide.
La somma di cui sopra deve essere ridotta di un importo pari all’ammontare della retribuzione di posizione e di risultato destinato dalle amministrazioni ai titolari di posizione organizzativa. Di questo si dirà al paragrafo successivo.
Al contrario, l’importo in questione deve essere incrementato delle risorse previste nell’art. 32, comma 7, sempre del Ccnl 22 gennaio 2004, vale a dire lo 0,20% del monte salari del 2001 a disposizione degli enti per gli incarichi di alta professionalità. Da sempre tali risorse sono state considerate a destinazione vincolata, vale a dire nessun utilizzo diverso era ipotizzabile ad esclusione, per l’appunto, del finanziamento delle alte professionalità. Questo ha significato che la quantificazione era tralasciata quando l’importo che ne risultava era talmente esiguo da non consentire nemmeno l’attribuzione di un incarico. Era, infatti, necessario, nel 2001, un monte salari che si aggirava attorno ai 3 milioni di euro per arrivare a finanziare la misura minima della retribuzione di posizione e di risultato di un’alta professionalità. Nonostante ciò, l’Aran, a ragion veduta, ha sempre consigliato di calcolare tali somme fra le voci di costituzione del fondo e poi accantonarle in caso di mancato impiego (vedasi, ad esempio, il parere RAL297). Il nuovo Ccnl prevede, ora, di consolidare anche queste risorse qualora nel 2017 non siano state utilizzate. Se appare pacifico che il nuovo disposto trovi riscontro nel caso in cui lo 0,20% del monte salari 2001 sia stato inserito (e non destinato) nel fondo dell’anno scorso, sarà tutto da vedere se la previsione contrattuale sia applicabile anche nell’ipotesi per la quale le somme in questione non siano state inserite in sede di costituzione dello stesso fondo. È evidente che la retribuzione di posizione e di risultato destinate alle alte professionalità nel 2017, finanziate con il predetto 0,20%, e a tale scopo utilizzate nella medesima annualità, non possono essere consolidate in quanto vengono estromesse dal fondo al pari di tutti gli importi riguardanti i titolari di posizione organizzativa.
L’operazione di consolidamento non è un’invenzione del nuovo Ccnl, ma è una strada già percorsa nel 2004. E sono, pertanto, note le nefaste conseguenze che un simile percorso porta. Il consolidamento può essere innocuo quando gli elementi che formano oggetto di sommatoria sono, con assoluta certezza, corretti. Al contrario, qualora sussistano dubbi circa la perfetta conformità delle singole voci alle previsioni normative, di legge o di contratto ovvero siano state effettuate alcune “forzature” nella interpretazione delle disposizioni, è evidente che il consolidamento fa perdere la memoria delle singole componenti. L’operatore, di fronte ad un unico importo, spesso lo accetta e gli attribuisce una solidità senza porre in dubbio la relativa modalità di calcolo.
Perplessità che sorgono più frequentemente quando la costituzione del fondo è formata da una serie di numeri i quali, anche solo a naso, possono presentare valori che fanno scaturire l’esigenza di un approfondimento. Il suggerimento, pertanto, consiste nel procedere ad una revisione straordinaria del fondo prima di procedere al suo consolidamento e, in ogni caso, mantenere la memoria di come si è arrivati a quell’unico importo. In sede ispettiva, infatti, è la prima verifica che viene richiesta, a nulla rilevando se il contratto collettivo consente di quell’unico valore.
(continua a leggere…)
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento