Dichiarazioni false o errate nella SCIA edilizia

Redazione 23/10/18
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Andrea Di Leo

A distanza di quasi tre anni dalla riforma dell’art. 21-novies l. n. 241/1990 con la c.d. riforma Madia, la giurisprudenza risulta divisa su diverse questioni concernenti, in particolare, l’ambito di operatività del comma 2-bis della disposizione in parola (il quale, come è noto, ha ad oggetto il potere di intervento tardivo, ossia successivo al decorso del termine di diciotto mesi). E, come si vedrà, se su alcune questioni un primo orientamento pare provenire – autorevolmente – dalla decisione dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2017, altri nodi interpretativi (di particolare rilevanza pratica) restano oggetto di contrapposti orientamenti.

L’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. 241/1990

Il “nuovo” art. 19, comma 4, della l. n. 241/1990 prevede che, decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti inibitori (ossia sessanta giorni in via ordinaria e trenta in caso di SCIA edilizia), l’amministrazione può intervenire solo al ricorrere delle condizioni previste dall’articolo 21-novies della medesima legge.
Quest’ultima norma – concernente l’istituto dell’annullamento in autotutela – da un lato (comma 1) pone la regola del termine di diciotto mesi (decorso il quale alla p.a. è vietato intervenire) e, dall’altro, stabilisce che il termine in parola può essere superato laddove il provvedimento favorevole sia stato conseguito sulla base di “false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato” (comma 2-bis), il che, “tradotto” nel contesto della disciplina della SCIA edilizia (e della SCIA in genere), significa che questa si sia “consolidata” grazie a tali false/mendaci attestazioni.
La formulazione della norma è piuttosto criptica, sotto diversi punti di vista.
Innanzi tutto, la disposizione non chiarisce se tutte le ipotesi ivi contemplate necessitino, per il loro verificarsi, dell’accertamento “con sentenza passata in giudicato”.
Altro aspetto da verificare è se, in caso di falsità/mendacio, la p.a. debba comunque vagliare gli altri presupposti richiesti dall’art. 21-novies per intervenire in autotutela e, quindi, tenere in considerazione e bilanciare le “ragioni di interesse pubblico”, da un lato, e gli “interessi dei destinatari e dei controinteressati”, dall’altro.
Occorre, poi, verificare i confini tra dichiarazioni “inesatte” e falsità/mendacio.
Infine, altro interrogativo è se – comunque – esista un principio di ragionevolezza del termine entro il quale intervenire, pur laddove la causa del “tardivo” provvedimento inibitorio risieda nell’esistenza di un falso/ mendacio.
È evidente che dalla soluzione di tali nodi interpretativi consegue una lettura nel suo complesso “espansiva” ovvero “restrittiva” del potere di intervento tardivo ammesso, in via di eccezione, dal comma 2-bis dell’art. 21-novies, l. n. 241/1990.

La necessità di un accertamento “con sentenza passata in giudicato”

La prima questione, come accennato, nasce dalla non perspicua formula normativa.
Infatti, laddove la norma (che, si ricorda ancora, si riferisce a “false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”) fosse intesa nel senso di legare il potere di intervenire oltre i diciotto mesi alla necessità dell’accertamento di un sottostante reato, con sentenza passata in giudicato, sia per le false rappresentazioni fattuali sia per le dichiarazioni sostitutive, ne conseguirebbe una notevole limitazione dello spazio applicativo concreto.
Ed è di solare evidenza che, così ragionando, la “riapertura del termine” per l’intervento inibitorio sulla SCIA edilizia infedele sarebbe legata ad un evento non solo spesso assai lontano nel tempo (la definizione di un giudizio penale può richiedere diversi anni, come noto), ma addirittura del tutto incerto (potrebbe, nelle more, intervenire la prescrizione o, addirittura, non essere mai aperto un procedimento penale).
La questione è stata esaurientemente affrontata dalla sentenza del T.A.R. Lazio, sez. II-bis, 7 marzo 2017, n. 3215, secondo la quale la disposizione deve essere interpretata nel senso che solo per il mendacio nelle dichiarazioni sostitutive (di certificazione e dell’atto di notorietà) occorre – per poter invocare la “riapertura del termine” – che sia intervenuta una decisione, definitiva, della magistratura penale.
La sentenza, infatti, rileva come “l’espressione «accertate con sentenza passata in giudicato» non possa che essere riferita (…) esclusivamente alle “dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà false o mendaci”, pena un’eccessiva ed ingiustificata restrizione del potere di intervento in autotutela dell’amministrazione, ispirato, tra l’altro, da esigenze di ripristino della legalità”.

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