Il sopracitato approfondimento, nasceva dalla specifica esigenza di molti artisti di salvaguardare il proprio lavoro dal mercato online composto da piccole case d’asta, mercanti improvvisati ed affaristi vari.
Infatti, è evidente che un’artista, soprattutto nella prima fase della sua produzione, sia disposto a cedere le proprie creazioni a prezzi meno ragguardevoli e, una volta affermatosi, tenderà a rivedere al rialzo il prezzo delle nuove opere create.
Le aste online
Eppure, sempre più frequentemente, gli artisti vedono proprie opere del passato vendute a valori decisamente modesti (ma comunque superiori al prezzo di acquisto iniziale) con la conseguente, e tristemente ovvia, difficoltà a richiedere il giusto prezzo per le nuove opere frutto di una maturazione e di una esperienza acquisita negli anni.
Peraltro, non di rado, il prezzo ribassato inizialmente indicato in queste aste online non è certamente il prezzo reale di vendita e, qualora l’opera non raggiunga l’obiettivo sotteso, apparirà invenduta nonostante il prezzo modesto inizialmente esposto. Da ciò scaturisce un duplice danno, infatti, non soltanto il valore delle opere viene condizionato dai pezzi precedenti reimmessi in commercio ma anche dagli ipotetici invenduti a prezzi, apparentemente, ridotti.
Detta problematica erode sia il margine degli artisti sia quello delle gallerie tradizionali.
Ciò premesso, indubbiamente una prima tutela può nascere dalla tutela del diritto di riproduzione del quadro poiché impedendo la diffusione dell’immagine, elemento fondamentale in un’asta online, la pagina web resterà priva della raffigurazione dell’opera con l’automatica diminuzione di interesse degli utenti (innumerevoli ricerche dimostrano che l’utente perde interesse per un link e passa oltre se la sua attenzione non viene colpita in frazioni di secondo).
Nonostante la possibile tutela sopra esposta, che ha trovato il gradimento di molti artisti, il problema ha una natura più profonda e merita, a rimesso avviso dello scrivente, un’indagine più approfondita.
Il diritto di seguito
Il legislatore, su impulso comunitario, ha introdotto nel nostro ordinamento il c.d. diritto di seguito (decreto legislativo 13 febbraio 2006, n. 118), cioè il diritto dell’artista di percepire una remunerazione percentuale sulle vendite future atteso il potenziale incremento di valore dell’opera negli anni.
La norma sopra citata però rischia di restare lettera morta finché, nonostante l’artista negli anni incrementi il suo appeal ed acquisisca notorietà con il conseguente incremento di valore delle opere, verranno immessi nel mercato opere precedenti a prezzi “di saldo”.
Pur essendo indiscusso il diritto del collezionista di vendere i beni acquisiti precedentemente è altrettanto innegabile il diritto dell’artista a godere dei frutti di un lungo e complesso percorso, come si può arginare questo fenomeno concorrenziale?
Purtroppo le norme sulla concorrenza sleale non sono estendibili al libero professionista ( tale è l’artista) poiché volte a tutelare l’imprenditore commerciale ( cfr Tribunale di Milano provvedimento del12.09.2014 ) conseguentemente l’immissione in commercio, attraverso aste con valori base infimi, non potrà trovare tutela attraverso queste norme nonostante l’evidente distorsione del mercato.
Volendo approfondire l’analisi con un approccio diverso è evidente che tra l’artista ed il collezionista si instauri un rapporto contrattuale ma consegnata l’opera da un lato e pagato il corrispettivo dall’altro l’oggetto del contratto è da intendersi perfettamente eseguito.
I fatti successivi, anche molto distanti nel tempo, possono trovare tutela in sede di responsabilità contrattuale?
Certamente l’ordinamento giuridico obbliga le parti ad agire secondo buona fede nell’esecuzione del contratto ma, a parere di chi scrive, è assai arduo invocare l’eventuale mala fede del collezionista che, dopo molti anni, dismette i beni ad un prezzo inferiore al valore di mercato.
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Tutela extracontrattuale
L’ultima forma di tutela, a rimesso avviso di chi scrive, potrebbe essere riscontrabile nel più ampio e generale principio del neminem laedere riconducibile all’articolo 2043 c.c.
Infatti, il collezionista affidando a mercanti, piccole gallerie o case d’asta che, attraverso il canale digitale, pubblicizzano intensivamente le opere dell’artista ad un prezzo palesemente inferiore al valore di mercato con il chiaro intento esclusivamente di attirare l’attenzione dell’utente per poi proporlo ad un prezzo più elevato, o comunque vendono l’opera ad una somma spropositatamente inferiore al valore reale, crea un danno oggettivo all’artista.
Il creatore dell’opera, a causa di questo comportamento spregiudicato, non soltanto non incasserà mai alcuna somma per il c.d. diritto di seguito ma vedrà frustrato l’incremento di valore raggiunto dopo molti anni di impegno costante.
A conforto di tale tesi è bene precisare che, secondo la giurisprudenza, le condotte concernenti le intese di mercato restrittive delle concorrenza sono riconducibili al citato principio del neminem laedere poiché, attraverso un fatto doloso o colposo, si è creato un danno ingiusto ad altri ( nel caso di specie all’artista).
Indubbiamente sarebbe opportuna un’azione corale da parte dei vari attori di mercato, artisti e gallerie tradizionali, danneggiati dalla condotta scorretta altrui, tuttavia, finché questi player non agirano in modo corale, o in forma associativa, i singoli artisti potrebbero trovate tutela nei termini sopra esposti.
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