Discriminazione razziale in Italia e Svizzera

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a cura del Professor Carlo Alberto Romano e del Dottor Andrea Baiguera Altieri

1. Il razzismo nel Diritto italiano.

1.1. Aspetti generali.

Senza dubbio, sotto il profilo civilistico, il Principio di analogia consente agli Operatori giuridici di proteggere con maggiore velocità le minoranze razziali, etniche e religiose. Viceversa, la Normazione penalistica italiana in tema di atti discriminatori deve quotidianamente confrontarsi con illeciti maggiormente gravi, in tanto in quanto il Diritto Penale sostanziale è chiamato a gestire il delicato problema dell’ applicazione di strumenti sanzionatori maggiormente pesanti e, soprattutto, costantemente connessi alla ratio di Regole fondamentali come l’ Art. 3 Cost. e l’ Art. 8 Cost. . A tal proposito, in Italia, Cass., 26 novembre 2008, n. 46300 ha acutamente osservato che il contesto culturale di un gruppo italiano non autoctono reca spesso a incontri e scontri non facili e tali antinomie creano << due opposte prospettive: una di tipo assimilazionista, basata sull’ esigenza che, previa rinuncia alle proprie radici etnico-culturali, lo straniero si inserisca nell’ ordinamento dello Stato di immigrazione, mentre [ l’ altro tipo di prospettiva ] è integrazionista, poiché orientata alla tutela delle identità [ minoritarie ] e fondata sul riconoscimento del valore positivo della coesistenza di culture e di valori diversi >>
La Dottrina e la Giurisprudenza italiane, alla luce dei Principi democratico-sociali contenuti nella Costituzione del 1948, alternano criteri d’ integrazione e criteri opposti di assimilazione. Pertanto, l’ esegesi penalistica si manifesta alla stregua di un ambito giuridico estremamente poliedrico, fatto di pesi e contro-pesi, equilibri e diversità. P.e., l’ appianamento laico ed iper-conformista delle diversità costituisce la base concettuale del DL 122/1993 in tema di << odio etnico, nazionale, razziale o religioso >>. In effetti, in tema di mutilazioni genitali ( Art. 583 bis CP ) e di poligamia ( Art. 556 CP ), il Legislatore italiano ha scelto di non concedere uno spazio precettivo eccessivo alla civiltà islamica, ormai ampiamente diffusa su tutto il territorio nazionale da una trentina d’ anni. Anche il celebre Precedente contenuto in Cass, sez. pen., 20 ottobre 1999, n. 3398 afferma che << per i reati culturali o culturalmente orientati [ come l’ infibulazione delle donne ] il giudice non può sottrarsi al suo compito di rendere giustizia applicando le norme e quindi garantendo contemporaneamente la tutela alle vittime [ infibulate ] perché è irrilevante l’ eventuale loro consenso alla lesione di diritti indisponibili >>. Basti pensare al caso emblematico delle << spose bambine >> mussulmane o indiane. Del resto, il magistrato non è chiamato a svolgere il ruolo di sociologo o di antropologo, in tanto in quanto va rigettata l’ idea ingenua di una collettività multi-etnica e multi-religiosa in cui le minoranze possano violare l’ uguaglianza ed i valori costituzionali inviolabili ed immodificabili. L’ Art. 2 Cost. impedisce, in Italia, l’ abuso della Normativa contro le discriminazioni, giacché esiste il limite ermeneutico invalicabile dei diritti indisponibili giuridicamente considerati come lo << zoccolo duro >> dell’ intero Ordinamento.
Un altro caso emblematico è costituito dal delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli ( Art. 572 CP ). La Giurisprudenza italiana applica l’ Art. 572 CP anche al padre di famiglia di religione islamica, in tanto in quanto costui non può dichiararsi << capo-famiglia >> nel nome del rispetto dovuto alle tradizioni mussulmane. Pure in questo caso, la Giuspenalistica italiana ha reputato e reputa non discriminatorio il porre dei limiti all’ esercizio del credo maomettano. Dunque, giustamente e non discriminatoriamente, Cass., sez pen., 13 aprile 2015 n. 14960 ha precisato che << nei delitti contro la persona e la famiglia ( maltrattamenti, violenza sessuale e violazione degli obblighi di assistenza familiare ), il preteso diritto [ di applicare le tradizioni mussulmane ] è incompatibile con le regole dell’ ordinamento italiano perché esiste [ anche ] l’ esigenza di valorizzare, ai sensi dell’ art. 3 Cost., la centralità della persona umana … [ bisogna ] armonizzare le culture diverse per consentire l’ instaurazione di una società civile multietnica >>. Il qui citato Precedente contemplato in Cass., sez. pen., 13 aprile 2015, n. 14960 è splendidamente ricco, a livello di lessico e parla di realtà giuridico-sociali come << le condotte culturalmente non accettabili .. la conformità alle Norme internazionali … le regole necessarie della compagine sociale >>. Purtroppo, anche nella Sociologia italiofona, esistono teorie qualunquistiche che, nel nome del politicamente corretto, qualificano come discriminatori i limiti imposti a religioni ontologicamente violente ed anti-democratiche.

1.2. Razzismo, discriminazioni e Diritto Penale in Italia.

La L. 205/1993 giuridifica in modo organico e quasi completo, in Italia, la tematica della discriminazione per motivi di razza, etnia e/o religione. Tale Testo normativo costituisce la realizzazione legislativa concreta, seppur tardiva, della Convenzione di New York dello 07/03/1966 sulla << diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’ odio razziale o etnico e sull’ incitamento a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, compreso il reato di violenza o di provocazione alla violenza o di incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi >>. Come prevedibile, tale ampio panorama precettivo è stato via via integrato e circostanziato a livello di ermeneutica giurisprudenziale. Molto importante, nel contesto dei gruppi extra-parlamentari neo-nazisti, risulta soprattutto l’ Art. 3 L. 205/1993, grazie al quale è oggi perseguibile, in forma di aggravante, l’ odio etnico recato innanzi da organizzazioni, associazioni o altri gruppi stabili e coordinati che sostengono finalità politiche illecite o, perlomeno, semi-lecite.

A livello giurisprudenziale, in punto di legittimità, Cass. Pen. 7 maggio 2008 n. 37581 aveva sollevato il dubbio che la mera propaganda pseudo-culturale o pseudo-scientifica della discriminazione razziale fosse soltanto un << reato di pura condotta >> senza un riscontro fattuale, ovverosia un delitto di opinione a pericolosità astratta, dunque non penalmente rilevante, come accade nei cc.dd. reati di mero sospetto o negli atti preparatori non punibili. Provvidenzialmente, sette anni dopo, Cass. Pen 22 maggio 2015, n. 42727 ha precisato che, anche se in concreto non si è verificata una discriminazione razziale o religiosa, è comunque punibile istigare altri al razzismo ed all’ odio etnico, giacché si tratta pur sempre di << un reato di pericolo, che sussiste indipendentemente dal fatto che poi tale istigazione sia accolta o meno dai destinatari>>. In buona sostanza, la L. 205/1993 p. e p. anche apologie discriminatorie che potrebbero, in potenza, mettere in serio pericolo la quiete sociale, anche se la realizzazione del fatto illecito è stata parziale oppure soltanto tentata. Questa interpretazione è stata utilizzata per la tutela degli zingari, dei neri e degli ebrei ( Cass., sez. pen., 13 dicembre 2007, n. 13234 e Cass., sez. pen., 10 luglio 2009, n. 41819 ). Analoga è stata la tutela nei confronti di un gruppo di extra-comunitari espulsi da un bar per motivi di odio etnico frutto di apologie illecite ai sensi della L. 205/1993 ( Cass., sez. pen., 11 ottobre 2006, n. 37733 ).
Non va lasciata al caso l’ interpretazione del lemma << odio >> [ razziale ] nella L. 205/1993. Cass., sez. pen., 17 novembre 2005, n. 41819 nega che il sostantivo << odio >> possa consistere vagamente in << qualsiasi sentimento o manifestazione di generica antipatia, insofferenza o rifiuto, pur se riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità, all’ etnia o alla religione >>. Necessita, ai fini della qualificazione dell’ odio razziale, una precisa, concreta ed effettiva volontà piena, dolosa e determinata di ostacolare e rifiutare l’ integrazione sociale degli stranieri e delle minoranze. Più dettagliatamente, Cass., sez. pen., 17 novembre 2005, n. 41819 fa proprie le parole della Convenzione di New York del 1966 contro la discriminazione, ovverosia è, giuridicamente, odio razzista << ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, sul colore, sull’ ascendenza o sull’ origine etnica, che abbia lo scopo o l’ effetto di distruggere l’ esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale >>. Parimenti, Cass., sez. pen., 20 gennaio 2006, n. 9381 precisa che, ai sensi della L. 205/1993, i lemmi << odio razziale >> non indicano un’ intenzione vaga e nemmeno un rigetto blando e nebuloso. Viceversa, << odio >>, nel senso tecnico penalistico, è un’ azione verbale, materiale o fisica << intenzionalmente diretta o potenzialmente idonea a dar luogo, in futuro o nell’ immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori >>. In particolar modo, Cass., sez pen., 20 gennaio 2006, n. 9381 invita a valutare la pericolosità concreta del contesto razzista, nel senso che è insufficiente, nella L. 205/1993, un insulto od un gesto o un’ azione bagatellare infantile e volgarotta senza un dolo intenso e pericolosamente contrario alla pacifica convivenza con le minoranze etnico-religiose stabilitesi nel territorio italiano.

1.3. Relazioni, decoro e tradizioni familiari nelle sotto-culture delle minoranze in Italia.

I maltrattamenti in famiglia pp. e pp. dall’ Art. 572 CP, nelle sotto-culture islamiche, orientali e medio-orientali, sono purtroppo considerati come una legittima potestà del padre di famiglia e dei parenti maschi, come nel ripugnante caso dell’ incesto iniziatico indiano sulle figlie femmine. Molti stranieri non naturalizzati, in Italia, si sentono limitati e discriminati allorquando non possono imporre le loro tradizioni semi-tribali. Più che giustamente ed incontestabilmente, la Cassazione, nei famosi precedenti 46300/2008 e 19674/2014, ha ribadito con vigore che il paterfamilias islamico non può giustificare i propri maltrattamenti in famiglia nell’ ottica delle leggi e delle tradizioni derivanti dal Corano. Similmente, Cass., sez. pen., 26 marzo 2009, n. 32824 precisa che << nel delitto di maltrattamenti in famiglia è esclusa la possibilità di concedere l’ applicazione delle circostanze attenuanti generiche, prevalendo l’ obbligatorietà della legge penale per tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato italiano, soprattutto quando la tutela penale riguarda la famiglia, che la legge fondamentale dello Stato riconosce, nell’ Art. 29 Cost. , come società naturale fondata sull’ eguaglianza morale e giuridica dei coniugi >>. Dunque, non è possibile sminuire la piena precettività dell’ Art. 572 CP nel nome della presunta tutela anti-discriminatoria delle culture e delle usanze straniere. Cass., sez. pen., 26 marzo 2009, n. 32824 è stata applicata anche al costume albanese di picchiare la moglie negando la dignità umana della donna e ipostatizzando il ruolo del marito contraddicendo la parità tra coniugi sancita ( anche ) dall’ Art. 572 CP.
Anche il << delitto d’ onore >> non beneficia della regola attenuativa penalistica di cui all’ Art. 62 bis CP . Tale assenza di benefici è stata fissata in Cass., sez. pen., 18 giugno 2014, n. 49569. Nella fattispecie del 2014 qui menzionata, la Difesa di un’ immigrata marocchina aveva richiesto l’ applicazione dell’ Art. 62 bis CP alla propria assistita, la quale, indecorosamente abbandonata dopo una promessa ufficiale di Matrimonio, aveva commissionato e fatto eseguire l’ omicidio del nubendo, come consentito nella prassi tradizionale islamica del Marocco. Pertanto, non consentire l’ applicazione della Sharia mussulmana nella famiglia non è un atto discriminatorio, bensì un dovere ordinamentale e costituzionale del Magistrato italiano. La medesima regola è stata seguita da Cass., sez. pen., 22 giugno 2011, n. 43646, in tanto in quanto la circoncisione dei figli va effettuata da un medico ed è proibito ogni rituale religioso locale che possa provocare emorragie o infezioni. Pure in questo caso, ciò che appare a prima vista come discriminazione razziale costituisce, in realtà, un atto dovuto di tutela della salute dei neonati maschi non autoctoni. Fortunatamente, le comunità ebraiche italiane circoncidono di solito i bambini con l’ ausilio di Medici regolarmente abilitati, che non violano gli obblighi dei Professionisti sanitari ex Art. 348 CP

1.4. Corollari normativi italiani contro la discriminazione razziale nell’ Islam

La percezione della discriminazione etnico-religiosa manifesta le più grandi e le più gravi problematiche nell’ ambito della giuridificazione dei gruppi familiari di tradizione islamica. Trattasi di un ambito normativo che vede l’ occidentale Italia sovente e drammaticamente opposta alla prassi imposta dal Corano. Anche sotto il profilo criminologico, consta che la maggior parte dei nuclei familiari mussulmani resiste alla cultura tollerante e moderata fondata sull’ Art. 29 Cost. . A tal proposito, Cass., sez. civ., 22 novembre 2013, n. 26204 ha dovuto constatare che << il modello di famiglia allargata vigente [ nei Paesi islamici ] è culturalmente lontano dal modello di famiglia proprio del mondo occidentale … il minore ha certamente il diritto di vivere, crescere ed essere educato nella propria famiglia, ma tale diritto va coordinato con quello del rispetto per l’ identità culturale sua e dei genitori >>. L’ Ordinamento italiano è ancora ben lontano dal correggere concretamente o, viceversa, dall’ assimilare, quando possibile, il non semplice Diritto di Famiglia delle comunità di immigrati islamici. Oppure ancora, sempre in tema di auto-discriminazione delle minoranze, è evidente che la vita coniugale maomettana presenta regole e modalità incompatibili con l’ Ordine pubblico del Diritto italiano e tale divario etico insormontabile provoca un’ oscillazione inquieta, eppur insopprimibile, tra l’ esclusione e l’ inclusione, l’ abuso e la legittimità, i diritti esasperati ed i doveri ignorati. Ad esempio, Cass., sez. civ., 27 settembre 2013, n. 22305, nonché Corte Costituzionale n. 376 del 2000 hanno ritenuto inaccettabile, dunque privo di effetti civili, il Matrimonio dell’ Imam con rito Rom qualora esso non sia preceduto o susseguito da un regolare Matrimonio civile riconoscibile e trascrivibile sotto il profilo anagrafico. Di nuovo, il Principio di Legalità prevale sulle costumanze tribali e non si tratta affatto di un atto discriminatorio o lesivo delle tradizioni minoritarie. Pertanto, anche Cass., sez. civ., 28 febbraio 2013, n. 4984 ribadisce fermamente il rigetto della bigamia e della poligamia islamica all’ interno della Volontaria Giurisdizione italiana, che rimane ancorata alla regola cristiana e giudaica della monogamia. Analogo è il rifiuto dell’ Istituto arabo del << ripudio >> della Moglie, il quale non coincide con l’ Istituto italiano del divorzio, come precisato da Cass., sez. civ., 2 marzo 1999, n. 1739. Oppure ancora, si ponga mente alla tradizione mussulmana illegale di non riconoscere i figli adulterini ( Cass., sez. civ., 28 dicembre 2006, n. 27592 ). Sono tradizioni etniche << che non possono trovare applicazione nel nostro ordinamento, perché incontrano il limite dell’ ordine pubblico internazionale … il diritto interno si sostituisce integralmente alla norma straniera >> ( Cass., sez. civ., 27 febbraio 1985, n. 1714 ). Per il vero, a parere di chi redige, l’ Islam tende, per natura, ad auto-discriminarsi, alla luce del suo perenne conflitto con l’ uguaglianza democratico-sociale sancita nella Costituzione italiana. Le comunità mussulmane italiane ed europee, più che essere discriminate, si auto-discriminano e si auto-isolano nei confronti dei valori di Democrazia e di moderazione multi-etnica vigenti in Occidente. L’ Islam moralizza il Diritto in maniera eccessiva e liberticida, soprattutto nei temi del rapporto tra coniugi, della figliolanza e della successione per causa di morte. Un buon islamico osservante tende sempre a rigettare, seppur silenziosamente e lentamente, Norme basilari come l’Art. 3 Cost. in tema di parità sociale e coniugale.

2. Il razzismo nel Diritto svizzero Art. 261 bis StGB

Chiunque incita pubblicamente all’ odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione chiunque propaga pubblicamente un’ ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente i membri di una razza, etnia o religione
chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa
chiunque pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’ umanità
chiunque rifiuta ad una persona o ad un gruppo di persone, per la loro razza, etnia o religione, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

2.1. Aspetti generali.

La lotta giuridica contro la discriminazione razziale costituisce ormai una conquista sociale e culturale irreversibile in qualsivoglia contesto democratico. Nel Referendum popolare del 25/09/1994, soltanto il 55 % dei votanti aveva espresso un parere favorevole nei confronti del nuovo Art. 261 bis StGB. Attualmente, viceversa, il 69 % degli Svizzeri muniti di diritto di voto condanna apertamente le nuove teorie razziste ereditate dalle drammatiche esperienze della prima metà del Novecento. Provvidenzialmente, nell’ Ordinamento elvetico, reca un’ importanza basilare lo stare decisis determinato dal Tribunale Penale Federale. Senza dubbio, la Magistratura sta lentamente sottraendo la tematica del Rassendiskriminierung al qualunquismo populista ed approssimativo della cronaca giornalistica e della partitocrazia priva di tecnica e di rigore scientifico. Il Diritto Penale sostanziale, anche nella Confederazione, non dipende dai malumori sociali o dalle mutazioni repentine delle ideologie parlamentari. Inoltre, nel 1995, l’ entrata in vigore dell’ Art. 261 bis StGB è coincisa con l’ istituzione di un’ apposita Commissione federale contro il razzismo ( CFR ), la quale relaziona, con cadenza annuale, il Consiglio Federale. Infatti, l’ Art. 261 bis StGB non scaturisce da slogan estemporanei o da battute retoriche prive di cogenza effettiva. La Rassendiskriminierung rappresenta, anzitutto e soprattutto, una realtà gestita dagli Operatori giuridici, come dimostra l’ accurata precisione delle Sentenze emesse alla luce del dato normativo qui in parola. Il Diritto deve prevalere sulle campagne elettorali quasi inutili e vigliaccamente fondate sulla base di Statistiche spesso destituite di fondamento o, ognimmodo, fuorvianti.
La lett. a Art. 2 della Convenzione internazionale del 21/12/1965 sulla discriminazione razziale statuisce che << gli Stati parte [ di questa Convenzione ] sono tenuti a perseguire, con tutti i mezzi adeguati, una politica tendente ad eliminare ogni forma di discriminazione razziale e a punire atti che ledono la parità di diritto di tutte le razze, etnie e religioni >>. Tale è pure la ratio legislativa contenuta nei Lavori Preparatori esposti in FF 1992 217 in vista dell’ Art. 261 bis StGB, precettivo, come pocanzi riferito, dallo 01/01/1995 ed approvato nel Referendum del 25/09/1994, che prevedeva pure, a titolo incidentale, la ratifica, da parte della Svizzera, della summenzionata Convenzione internazionale risalente al 1965
Tra il 1995 ed il 2004, si sono registrate 277 querele per il delitto p. e p. dall’ Art. 261 bis StGB. 136 denunce sono state abbandonate perché il fatto non costituisce reato e soltanto 141 querele, dunque il 51 % del totale, sono successivamente sfociate in una Sentenza passata in giudicato. Fra tali 141 Sentenze definitive, 27 sono di assoluzione, mentre le condanne sono 114, dunque l’ 81 % del totale. Il picco delle assoluzioni si è verificato nel 2002, ovverosia si è abusato dell’ Art. 261 bis StGB nel nome di pretesti infondati “ da Modello 45 “, come si direbbe nell’ ambito della Procedura Penale italiana. Viceversa, le condanne passate in giudicato hanno raggiunto il massimo livello quantitativo nel 1999, nel 2000 e nel 2001. Tra il 1995 ed il 2004, si segnalano pure 6 Sentenze definitive di condanna emesse ai sensi di Norme collaterali all’ Art. 261 bis StGB ancorché tecnicamente non qualificabili come Norme contro la discriminazione razziale in senso stretto.
Sempre tra il 1995 ed il 2004, le condanne ex Art. 261 bis StGB, in Svizzera, hanno avuto, a titolo di Parti Lese, un preoccupante 26 % di individui di religione ebraica. A tale percentuale vittimologica si deve aggiungere un 20 % di stranieri, un 14 % di neri ed un 5 % di Asilanten. Viceversa, gli islamici, almeno prima degli attentati del 2001 negli USA, sono colpiti per uno scarso 3 %. Dal lato opposto, i condannati per Rassendiskriminierung, sempre tra il 1995 ed il 2004, sono stati estremisti di destra, per il 12,6 %, impiegati, per il 9,1 % e giornalisti, per il 6,6 %. A loro volta, i condannati in età giovanile costituiscono il 5,2 % del totale ed i detentori di cariche politiche raggiungono la cifra complessiva del 3,5 %. Gli Ebrei rimangono senz’ altro il gruppo sociale maggiormente leso ( 25,9 % ), ma va segnalato pure un 1,7 % di zingari ed un 1,7 % di cristiani battezzati bianchi. La fattispecie delittuosa di cui all’ Art. 261 bis StGB è posta in essere, nella maggioranza dei casi, a mezzo di ingiurie ( 26,4 % del totale ) o di scritti di stampo razzista ( 29,5 % ), cui vanno aggiunti messaggi criminosi a mezzo e-mail ( 7,2 % ), vie di fatto ( 3 % ), gesti ( 3,3 % ), rifiuto di fornire un servizio ( 3,3 % ) e distribuzione di volantini contenenti propaganda discriminatoria ( 9 % ). Negli Anni Duemila, come prevedibile, la rete Internet ha moltiplicato in modo esponenziale le discriminazioni razziali, etniche o religiose commesse a mezzo di Siti Web di stampo neo-nazista. Viceversa, le televisioni, la radio ed i quotidiani su supporto cartaceo hanno perso progressivamente la loro centralità nel contesto del delitto p. e p. dall’ Art. 261 bis StGB.

2.2. Il contenuto sostanziale dell’ Art. 261 bis StGB.

Nei Lavori Preparatori del 1992, il Consiglio Federale precisava che << la discriminazione razziale rappresenta, in primo luogo, una minaccia alla tranquillità pubblica, anche se è vero che, concretamente, [ nell’ Art. 261 bis StGB ] l’ autore offende sempre la dignità degli individui del gruppo leso >>. All’ opposto, la celeberrima BGE 123 IV 202 nega la centralità contenutistica della << tranquillità pubblica >>, in tanto in quanto << la pace pubblica è protetta solo indirettamente dall’ Art. 261 bis StGB, mediante la protezione del singolo in quanto membro di un gruppo etnico o religioso >>. Tuttavia, il Tribunale Penale Federale, negli anni successivi a BGE 123 IV 202, ha oscillato tra la prevalenza della ratio della << pace pubblica >> ( BGE 124 IV 121, BGE 126 IV 20 ) e quella della ratio della tutela della singola persona fisica discriminata. Ad esempio, BGE 124 IV 121 consid. 2c pgg. 125 e sgg. sostiene, non senza auto-contraddirsi, che << l’ infrazione prevista dall’ Art. 261 bis StGB, che è stato anzitutto concepito per proteggere la dignità umana, è classificabile come un’ infrazione contro la pace pubblica ( BGE 123 IV 202 consid. 2 pg. 206 ), quindi si può ammettere che la diffusione di messaggi [ razzisti ] comporta un rischio per l’ ordine pubblico … l’ esistenza di una propaganda [ razzista ] può diffondersi e questa diffusione può creare rischi per l’ ordine pubblico >>. In buona sostanza, la Rassendiskriminierung è anche, ancorché non soltanto, << una minaccia potenziale per la pace pubblica >> ( BGE 124 IV 121 ).
E’ opportuno menzionare pure BGE 129 IV 95. Di solito, nella Dottrina penalistica svizzera, si è portati ad affermare che l’ Art. 261 bis StGB tutela anzitutto la dignità umana del discriminato e, incidenter tantum, la protezione della Parte Lesa genera poi, indirettamente, un automatico rafforzamento della quiete pubblica e della general-preventività. Viceversa, BGE 129 IV 95 spezza in due parti la struttura dell’ Art. 261 bis StGB, ovverosia << la dignità umana è un bene giuridico protetto solo dal comma 1 ( incitazione all’ odio ed alla discriminazione ) e dalla prima metà del comma 4 ( discredito della dignità umana ) dell’ Art. 261 bis StGB, mentre la seconda metà del comma 4 Art. 261 bis StGB ( disconoscimento o minimizzazione del genocidio o di altri crimini contro l’ umanità ) costituisce un reato contro la quiete pubblica >>. Tuttavia, BGE 129 IV 95 lascia insoluta la collocazione eziologica della propaganda di ideologie ( comma 2 Art. 261 bis StGB ), dell’ organizzazione o incoraggiamento di azioni di propaganda o partecipazione alle stesse ( comma 3 Art. 261 bis StGB ) e del rifiuto di fornire un servizio rivolto al pubblico ( comma 5 Art. 261 bis StGB ). In secondo luogo, a parere di chi scrive, la tutela della dignità umana della Parte Lesa è un dato di fatto oggettivo e dimostrabile, mentre la protezione della pace sociale costituisce, diversamente, una regola eccessivamente astratta, giacché, più o meno direttamente, tutto lo StGB e la Normativa penalistica complementare garantiscono, ontologicamente e necessariamente, la tranquillità collettiva.
Una questione ampiamente dibattuta consiste nel rapporto, antinomico o meno, tra l’ Art. 261 bis StGB e la libertà di opinione sancita nel comma 2 Art. 15 BV , ancorato, a sua volta, al comma 1 Art. 10 CEDU. In effetti, v’ è da domandarsi se il soggetto xenofobo possa anch’ egli o no esprimere il proprio credo discriminatorio e razzista. A tal proposito, nel 2002, il Tribunale Penale Federale ha deciso che << la libertà di espressione [ ex Art. 16 BV ] non è assoluta. A norma dell’ Art. 10 cpv. 2 CEDU può essere sottoposta limitazioni legali nella misura in cui ciò sia necessario per il mantenimento dell’ ordine democratico. Come altre disposizioni dello StGB, l’ Art. 261 bis StGB costituisce una limitazione legale della libertà di espressione fondamentalmente garantita dalla CEDU >>. Nella Dottrina penalistica svizzera, NIGGLI ( 1996 ), citato, sei anni dopo, anche da SCHLEIMINGER ( 2003 ), reputa anch’ egli che l’ Art. 261 bis StGB non viola per nulla la libertà di credo e di parola ex Artt. 15 e 16 BV, poiché << non si può far valere la tutela di un diritto fondamentale nel caso di una dichiarazione [ altrettanto ] lesiva della dignità umana … chi disconosce ad altri diritti fondamentali non può appellarsi alla protezione garantita da questi stessi diritti … si deve partire dal principio che la dignità umana è il bene giuridico protetto in primo luogo dalla norma penale contro la discriminazione razziale ( Art. 261 bis StGB ), stabilendo, nel contempo, che non è ponderabile con nessun diritto fondamentale … la dignità umana non si situa sullo stesso piano dei diritti umani, ma ne costituisce piuttosto il presupposto e il fondamento >>
All’ interno dell’ Art. 261 bis StGB, il lemma << razza >> dev’ essere sottratto al qualunquismo esegetico di una certa Sociologia retorica ed a-tecnica. Né, tantomeno, si può dar credito alle distinzioni tra razze presenti in Lombroso e nell’ eugenetica del Novecento. Assai democraticamente ed anti-lombrosianamente, NIGGLI ( ibidem ) afferma che << per razza ai sensi dell’ Art. 261 StGB si intende un gruppo di persone percepito [ erroneamente ] come tale o considerato da persone esterne come un gruppo omogeneo al quale vengono [ erroneamente ] attribuite determinate [ rectius : pre-determinate ] caratteristiche ereditarie >> Meno organica, viceversa, è la Giurisprudenza del Tribunale Penale Federale. Con attinenza all’ ingiuria << sporco negro >>, BGE 124 IV 121, nel 1998, ha precisato che << la razza, ai sensi dell’ Art. 261 bis StGB, si caratterizza manifestamente per il colore della pelle … dunque è fuor di dubbio che i neri costituiscono una razza ai sensi dell’ Art. 261 bis StGB >>. Specularmente, in una Sentenza del 1999, il Bundesgericht ha qualificato come discriminatorio l’ appellativo << lurido bianco >>. Oppure ancora, l’ Art. 261 bis StGB è stato applicato anche per la tutela della razza Tamil nell’ ambito di una Sentenza del Tribunale circondariale di San Gallo recante data 18/03/1996 e commentata da RIKLIN ( 1996 ). Come si può notare, dunque, il concetto di razza nell’ Art. 261 bis StGB, è abbastanza snello ed intuitivo.
Assai utile è l’ interpretazione del lemma << etnia >> fornita, in Dottrina, da NIGGLI (ibidem ), a parere del quale << il concetto di etnia designa generalmente un gruppo di persone appartenenti alla stessa cultura ( lingua, usi e costumi, tradizioni ), che si [ auto- ] percepisce come un gruppo distinto e che è anche considerato come tale dal resto della popolazione. Le persone che fanno parte di questi gruppi provano un senso di appartenenza dato da una base culturale comune e tramandato di generazione in generazione >>. Sempre NIGGLI ( ibidem ) definisce l’ etnia come << la consapevolezza di appartenere ad una cultura >>. La Dottrina penalistica svizzera, inoltre, parla di solito di << discriminazione razziale >>, ex Art. 261 bis StGB, quando la Parte Lesa è costituita da un singolo individuo moralmente, fisicamente o patrimonialmente danneggiato, mentre, nel Diritto Penale sostanziale elvetico, la << discriminazione di un’ etnia >> ha per oggetto l’ intero gruppo etnico colpito nel suo insieme. Assolutamente imprescindibile, inoltre, è la qualificazione del lemma etnia operata dal Tribunale Penale Federale, il quale ha sussunto nel concetto di etnia gli Albanesi ( nel 1997, nel 1999 e nel 2002 ), gli Albanesi del Kosovo ( nel 2001 ), i Portoghesi ( nel 1999 ), gli Italiani ( nel 1997 ), gli Svizzeri ( nel 2000 ), gli Arabi ed i Palestinesi ( nel 2004 ) e gli Zingari ( nel 1996 ). Tuttavia, nel 2003, il Tribunale Penale Federale ha parzialmente modificato il proprio stare decisis , pronunciando che << i nomadi non costituiscono un’ etnia >>. Analogamente, nel 1999, l’ epiteto ingiurioso << Slavo ! Yugoslavo ! >> è stato sottratto alla precettività dell’ Art. 261 bis StGB, in tanto in quanto l’ ex Yugoslavia era e, in un certo senso, è tutt’ oggi lo Stato o ex Stato più multietnico d’ Europa. Molto complicata è la questione della presunta etnia degli Svizzeri, di cui parlano due BGE del 1998 e del 2000. Nel 1998, il Tribunale Penale Federale ha riconosciuto la tutelabilità degli Svizzeri nel contesto dell’ Art. 261 bis StGB, ma, successivamente, nel 2000, la Giurisprudenza è cambiata e, per la verità, le interpretazioni del Bundesgericht sono tutt’ altro che pacifiche o scontate.
Senza dubbio, nell’ Art. 261 bis StGB, il lemma << religione >> è quello che manifesta le maggiori difficoltà interpretative. Il Consiglio d’ Europa, notoriamente ateo ed iper-laicista, premeva per l’ espunzione della discriminazione religiosa dallo StGB, ma la Confederazione, nei Lavori Preparatori, non ha tradito ed insultato la normale e pluri-secolare pietà dei popoli elvetici. Giustamente, considerato anche l’ Art. 15 BV, RIKLIN ( ibidem ) rimarca che << è protetta [ dall’ Art. 261 bis StGB ] ogni convinzione che esprime il riconoscimento di un’ entità divina o trascendentale che abbia una dimensione culturale o ideologica [ ma ] il principale problema, in questo ambito, consiste nell’ inclusione di altre comunità religiose oltre alle [ tre ] grandi religioni universali e nella definizione di chiare delimitazioni per gruppi e sette pseudo-religiose >>. Più nel dettaglio e tenendo presente l’ Art. 261 bis StGB, NIGGLI ( ibidem ) denota che, a livello meta-geografico, << rispetto ai fenomeni sub-culturali [ non tutelabili ] , le religioni sono caratterizzate da una relativa immutabilità della professione di fede. Inoltre, le religioni non sono organizzazioni il cui scopo principale è conseguire un lucro. Partendo da un concetto liberale di religione, si può affermare che la qualifica di religione viene a cadere se l’ organizzazione fa pressione sui propri membri >>. P.e., RIEDER ( 1999 ), commentando una storica Sentenza della Camera d’ Accusa del Tribunale Cantonale di San Gallo emessa il 12/02/1997, esprime seri dubbi con afferenza alla pseudo-religione di Scientology, e non si tratta di un parere isolato. Viceversa, in BGE 124 IV 121 e BGE 123 IV 202, l’ Ebraismo è definito, senza riserva alcuna, come una religione. Anzi, NIGGLI (ibidem ) valuta molto positivamente i due summenzionati Precedenti, giacché la minoranza ebraica è considerata tale, finalmente, sotto il profilo esclusivamente religioso, ovverosia non esistono o comunque sono irrilevanti, dal punto di vista giuridico, caratteristiche etniche, psico-fisiche o genetiche che contraddistinguono il gruppo degli aderenti alla fede ebraica.

2.3. Corollari interpretativi. Gruppi, sotto-gruppi, sette.

Sino ad ora, l’ esegesi dottrinaria e giurisprudenziale non sussume, entro il criterio dell’ etnia, gli stranieri e gli Asilanten eventualmente discriminati nell’ ottica dell’ Art. 261 bis StGB. Nella Svizzera degli Anni Duemila, i richiedenti asilo e gli immigrati non autoctoni costituiscono un buon 26 % delle Parti Lese ogni anno per il delitto di Rassendiskriminierung, ma, sotto il profilo tecnico, essi non sono né un gruppo né una minoranza religiosa. Viceversa, NIGGLI ( ibidem ) propone un ‘ estensione precettiva dell’ Art. 261 bis StGB, in tanto in quanto << gli stranieri possono rientrare nel campo di applicazione della norma penale contro la discriminazione razziale se ad essere prese di mira sono le persone appartenenti ad una razza ben precisa [ … ] gli atti discriminatori nei confronti di stranieri o richiedenti l’ asilo dovrebbero essere penalmente perseguibili se il concetto di straniero, richiedente asilo o simile è applicato in modo indifferenziato a persone di diverse etnie o razze e di conseguenza utilizzato come sinonimo di razza o etnia >>. In effetti, in Precedenti del 1997, del 1999 e del 2000, anche il Tribunale Penale Federale ha iniziato ad applicare l’ Art. 261 bis StGB agli immigrati. In un BGE del 1997, il Budesgericht elvetico fu chiamato a valutare un volantino neo-nazista nel quale i richiedenti asilo erano stati reputati meritevoli di venire rinchiusi in un lager per poi essere uccisi e successivamente bruciati nei forni crematori. In questo caso, l’ Art. 261 bis StGB ritrovò piena applicazione giacché << nel caso in esame, è evidente che i richiedenti asilo non sono esposti ad attacchi in quanto categoria giuridica, bensì in quanto persone che si distinguono dalla maggioranza per la loro provenienza etnica >>. Tale ratio interpretativa è stata ripresa nel 2000 per sanzionare un commento giornalistico che apostrofava gli Asilanten in Svizzera come << pigri, parassiti e delinquenti >>. Simile è pure una Sentenza di condanna del 2004 contro politici locali xenofobi querelati ai sensi dell’ Art. 261 bis StGB. Purtroppo, comunque, gli stranieri ed i rifugiati raramente beneficiano della tutela ipotizzata, in Dottrina, da NIGGLI ( ibidem ) e, per conseguenza, la Normativa di cui all’ Art. 261 bis StGB non è estesa a coloro che richiedono asilo alla Confederazione. In definitiva, per ora, non è penalmente rilevante contestare le Norme svizzere sulla concessione dell’ asilo agli stranieri, tranne nel caso di ingiurie e/o minacce verso una precisa etnia o razza. P.e., i lemmi illeciti << sporchi negri ! >> si differenziano dai lemmi leciti << sporchi asilanti ! >>, giacché la categoria razziale è distinta dalla categoria giuridica, politicamente e liberamente criticabile con toni xenofobi ancorché non razzisti o inneggianti al nazional-socialismo.
Il thema dicendum tutelato dall’ Art. 261 bis StGB deve, inoltre, comprendere sotto-gruppi simili alle sette integraliste, come gli Ortodossi radicali, gli ultra-tradizionalisti battezzati e persino gli Ebrei fedeli alla macellazione << pura >> prevista dal Levitico. A parere di chi scrive, ognimmodo, si tratta di elucubrazioni intellettualoidi ed ipertrofiche quasi indifferenti sotto il profilo sociale, prima ancora che giuridico. P.e., la Svizzera, pur avendo ratificato la Convenzione internazionale contro il razzismo del 1965, non applica, né potrebbe applicare, l’ Art. 261 bis StGB alle filosofie esotiche, buddiste, induiste ed alle convinzioni politiche eccentriche e marginali, ossia al limite del ridicolo. Nel 1995, il Tribunale Penale Federale ha giudicato irrilevante il presunto odio o dissenso contro il popolo tedesco reputato, da un quotidiano, come il responsabile del secondo conflitto bellico mondiale. Altrettanto non applicabile è l’ Art. 261 bis StGB per la protezione del non-gruppo dei comunisti e degli anarchici. Viceversa, in data 26/09/2000, il Tribunale Penale Federale ha valutato come punibile l’ attacco al Sionismo << se nel concetto di Sionismo rientra, secondo l’ imputato, la volontà di dominio del mondo da parte degli Ebrei. L’ insinuazione sulla volontà degli Ebrei di dominare il mondo costituisce uno stereotipo dell’ armamentario antisemita del Terzo Reich [ … ] è leso l’ oggetto protetto dall’ Art. 261 bis StGB >>
A parere di NIGGLI ( ibidem ), i lemmi razza, etnia e religione, nell’ Art. 261 bis StGB, <dovrebbero proteggere anche il concetto di “ nazione “ [ perché ] spesso gli atti discriminatori contro persone di una determinata nazione possono essere considerati atti discriminanti contro l’ etnia o la razza in questione >>. P.e., nel 1999, il Bundesgericht ha sanzionato un bar svizzero il cui gestore aveva rifiutato di consentire l’ ingresso a clienti albanesi reputati membri di una nazione poco affidabile ed incline alla criminalità. Del pari, nel 2003, è stato reputato discriminatorio l’ epiteto ingiurioso << voi siete israeliani ! >>, pur se, solitamente, il Tribunale Penale Federale distingue adeguatamente tra israeliti ed israeliani.

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2.4. Analisi dell’ avverbio << pubblicamente >>nell’ Art. 261 bis StGB

Ex commi 1, 2 e 4 Art. 261 bis StGB, la discriminazione razziale, nell’ Ordinamento giuridico svizzero, è perseguibile soltanto, esclusivamente e tassativamente se commessa in pubblico o per mezzo di strumenti comunicativi pubblici, come internet, le televisioni, la radio e la carta stampata. Qualsivoglia parere personale espresso in un luogo di privata dimora è un fatto non costituente reato, tranne nel caso in cui l’ ingiuria venga proferita in presenza della Parte Lesa. Più precisamente ed alla luce di BGE 123 IV 202 e di BGE 111 IV 151, TRECHSEL ( 1997 ) afferma che << un’ esternazione è considerata pubblica quando può essere sentita da molte persone o da un’ ampia cerchia di soggetti che non intrattengono relazioni interpersonali >>. Per il vero, comunque, BGE 123 IV 202 e BGE 111 IV 151 sono oggetto di numerose contestazioni e precisazioni afferenti alla multiforme interpretabilità dell’ avverbio << pubblicamente >> nell’ Art. 261 bis StGB.
Nel 2002, il Tribunale Penale Federale ha asserito che un asserto discriminatorio è pubblico quando all’ affermazione << è reso partecipe un pubblico indeterminato >>. In BGE 123 IV 202, la Rassendiskriminierung è pubblica se << le dimensioni della cerchia dei destinatari sono ampie>>. Nel 1999, il Bundesgericht ha applicato l’ Art. 261 bis StGB perché gli uditori non avevano tra di loro << un rapporto [ riservato ] di fiducia >> strettamente privato o familiare. Nel 1997, si è parlato anche di << mancato auto-controllo >> delle frasi pronunciate. Oppure ancora, nel 2002, la Magistratura federale elvetica ha censurato la << percettibilità pubblica dell’ atto discriminatorio commesso >>. Infine, nel 2004, lo splendido e dettagliato BGE 130 IV 111 ha statuito che << è pubblico tutto ciò che viene espresso al di fuori dell’ ambito privato … fa parte dell’ ambito privato tutto ciò che viene espresso in seno ad una cerchia familiare, ad un gruppo di amici o altrimenti in un ambiente caratterizzato da relazioni personali o da relazioni di particolare confidenza >>. Tuttavia, BGE 130 IV 111 riconosce, nelle Motivazioni, che << molto dipende dalle circostanze concrete >>, il che apre la strada, come prevedibile, ad una forte discrezione qualificatoria di matrice giurisprudenziale.

2.5. Analisi dei lemmi contenuti nel comma 1 Art. 261 bis StGB

Nei Lavori Preparatori del 1992 e, soprattutto, in BGE 123 IV 202, il verbo << incitare >> all’ odio o alla discriminazione è paragonato al contenuto semantico di << eccitare, istigare, fomentare emozioni, il che può suscitare, anche senza un carattere incitativo esplicito, l’ odio e la discriminazione >>. Il Tribunale Penale Federale, nel 1997, ha asserito che l’ istigazione illecita ex comma 1 Art. 261 bis StGB prende corpo << quando una persona si adopera, in modo continuo ed insistente, per creare o rafforzare un atteggiamento di fondo ostile nei confronti di determinate persone o gruppi, oppure quando [ tale soggetto ] crea l’ impressione che tali persone o gruppi siano inferiori e, come tali, non abbiano gli stessi diritti fondamentali >> tutelati dalla CEDU.
Altrettanto importante è sottrarre il lemma << odio >> alla retorica ed alla consistenza emotiva, nel senso che l’ odio di cui parla il comma 1 Art. 261 bis StGB dev’ essere sistematico e metodicamente coltivato. Esso, nella Giurisprudenza federale degli Anni Novanta del Novecento, << è un sentimento molto più forte della mera antipatia, avversione o rifiuto … è più forte dell’ ira e della rabbia >> e, quindi, non coincide con l’ ingiuria bagatellare uscita durante un episodio litigioso ed imputabile ad un banale malumore estemporaneo durato pochi minuti o secondi.
Egualmente, il lemma << discriminazione >> non va confuso con una resistenza o un rifiuto cagionato da più che legittimi motivi, come una molestia verbale, un’ aggressione, un reato altrui ostacolato con una legittima difesa o una reazione proporzionata come quella di cui al mirabile Art. 54 del CP italiano . Opportunamente, NIGGLI ( ibidem ) precisa che la discriminazione, nel comma 1 Art. 261 bis StGB, è << una disparità di trattamento non fondata su ragioni oggettive [ come lo stato di necessità ] , ma [ fondata ] sulla base di criteri quali la razza, l’ etnia o la religione. Una simile disparità dev’ essere intenzionale o avere l’ effetto di limitare o ostacolare ai diretti interessati l’ esercizio dei diritti umani di cui tutti siamo titolari >>. Di nuovo, la fattispecie della discriminazione razziale o religiosa non può essere commessa con una volizione dolosa consumata in breve tempo e senza pieno consenso e deliberata avvertenza. Il comma 1 Art. 261 bis StGB richiede sempre, tanto in Dottrina quanto in Giurisprudenza, una condotta voluta e, anzi, preparata, preventivata e caratterizzata da un dolo eventuale non circoscritto alla “arrabbiatura” episodica o infantile e senz’ altro rimediabile in pochi istanti. Non si tratta nemmeno di una scortesia momentanea o di uno scatto imputabile all’ umore nero di una giornata malsortita. A tal proposito, è memorabile, in Svizzera, un Precedente emesso dal Bundesgericht nel 2001 per condannare un incitamento pubblico all’ odio contro gli Ebrei svizzeri, accusati di comandare il mondo alla stregua dei tiranni sconfitti nella saga di Guglielmo Tell nella celebre lotta con Gessler. Similmente, nel 2002, il comma 1 Art. 261 bis StGB è stato applicato ad un Blog che esortava a <<bruciare ed eliminare tutti gli Albanesi >>. Oppure ancora, nel 1997, è stata condannata una setta pseudo-religiosa i cui sacerdoti raccomandavano l’ anti-semitismo, ma, in ogni caso, non con battute ironiche ed estemporanee, bensì attraverso un meticoloso e preordinato lavorio di lungo periodo ed alimentato da un dolo intenso non relegato ad un semplice impeto rabbioso. A parere di chi redige, il Tribunale Penale Federale, troppo laicista e politicamente corretto, ha ingiustamente ed inopportunamente escluso dalla precettività del comma 1 Art. 261 bis StGB l’ odio sistematico contro i cc.dd. << preti [ tutti ] pedofili >> di Credo Cattolico. In un BGE disgustoso del 2003, la Magistratura elvetica federale ha equiparato i lemmi << preti pedofili >> ai lemmi << preti Cattolici >> senza difendere la maggioranza onesta dei Sacerdoti di Credo Romano, volgarmente e calunniosamente accusati di parafilie anti-normative che sarebbero state consumate durante normali e legittime lezioni di Catechismo. La calunnia anti-cattolica ed anti-cristiana, purtroppo, abbonda su Internet e nelle televisioni semi-pornografiche.

2.6. Analisi dei lemmi contenuti nel comma 2 Art. 261 StGB

Il lemma << ideologia >> discriminatoria ex comma 2 Art. 261 bis StGB non va inteso nel senso comune a-tecnico ed approssimativo. Molti Dottrinari penalisti svizzeri interpretavano, almeno inizialmente, il sostantivo ideologia alla stregua di una fede o una corrente di pensiero organizzata per discreditare e calunniare, mentre altri Autori consideravano punibile anche l’ espressione isolata di idee non coerentemente ragionate o approfondite. Nel 2000, il Tribunale Penale Federale ha scelto la Dottrina che considera perseguibile un’ ideologia ben strutturata, non semplicemente e vagamente astratta e, soprattutto, << accompagnata poi da un’ azione programmata e mirata >> e non frutto di una bambinesca battuta sarcastica di pessimo gusto, ma priva di conseguenze empiriche. In un BGE del 1997, infatti, l’ ideologia ex comma 2 Art. 261 bis StGB è appellata << propagazione di ideologie >>. Il propagatore di siffatta ideologia è tale se sussiste una volizione dolosa pienamente consapevole della violenza verbale, fisica o simbolica scatenata in danno di una minoranza etnica o religiosa. Ancora una volta, l’ Art. 261 bis StGB va adempiuto con un dolo integrale e grave e non con una cialtroneria da bar di paese isolata e trascurabile.
In Dottrina si discute aspramente con afferenza all’ applicabilità o meno del comma 2 art. 261 bis StGB agli asserti scritti o verbali che difendono il Nazismo negando la Shoà di 6 milioni di Ebrei nei campi di concentramento durante la II Guerra Mondiale. Anche il Bundesgericht elvetico oscilla tra la non perseguibilità o la perseguibilità parziale, a seconda delle singole circostanze concrete. In una Sentenza del Tribunale Penale Federale del 22/03/2000, è stata ritenuta discriminatoria << la tesi di un complotto ebraico o sionista contro l’ Occidente cristiano [ giacché ] è punibile la presunta invenzione dell’ Olocausto e delle camere a gas … si tratta di un’ ideologia punibile ai sensi dell’ Art. 261 bis StGB comma 2. Questa tesi, infatti, mira a discreditare e calunniare sistematicamente [ e non episodicamente, ndr ] gli Ebrei >>. In generale, il lemma ideologia, nella Giurisprudenza del Tribunale Penale Federale svizzero, indica e punisce, anzitutto e soprattutto, il neo-nazismo ed relativi simboli. Ex Art. 261 bis comma 2 StGB è reato fare apologia del Negazionismo, approvare il Mein Kampf di Hitler, appendere al muro in un luogo pubblico o aperto al pubblico la svastica o altre immagini naziste, salutare con il braccio destro teso e graffitare i muri negli spazi aperti con frasi o immagini nazional-socialiste.
Per equità e nell’ ottica ordinamentale democratica del BV, il Tribunale Penale Federale, in un BGE del 1997, ha dichiarato punibili ex comma 2 Art. 261 bis StGB, le discriminazioni pubbliche e continue nei confronti di soggetti che non hanno la pelle bianca.
NIGGLI ( ibidem ), nel proprio Commentario sul comma 2 Art. 261 bis StGB, distingue tra la << propagazione >> di una dottrina discriminatoria e la << pubblicità >> non penalmente rilevante di una tale ideologia. P.e., disegnare col lo spray una svastica su un muro esposto al pubblico diventa << propagazione / propaganda >> allorquando il disegno, di per sé infantile e sciocco, è accompagnato da una scritta discriminatoria o è graffitato sulla parete di un edificio destinato al culto o al ritrovo abituale di una minoranza etnico-religiosa. A tal proposito, nei Lavori Preparatori, si è molto dibattuto il problema dell’ uso pubblico di gesti e simboli nazisti, giacché <<la distinzione tra professione di un credo politico e propaganda è labile. Più esplicita è la professione di un credo politico, maggiori sono le possibilità che sia considerata come propaganda o propagazione … [ occorre ] dimostrare un intento propagandistico >>. Questo sottile confine ermeneutico tra la pubblicità lecita e la propaganda / propagazione illecita è stato oggetto di disamina, nel 2004, da parte del Bundesgericht, ma, a tutt’ oggi, le varie interpretazioni non sono per nulla pacifiche. P.e., in Dottrina, NIGGLI ( ibidem ) considera lecito salutarsi in pubblico con il braccio destro teso tra camerati neo-nazisti, mentre è, o sarebbe, tendenzialmente illecito rivolgere il saluto nazional-socialista o romano tra persone estranee non appartenenti alle medesime consorterie di estrema destra.
Il lemma << calunnia >>, nel comma 2 Art. 261 bis StGB, richiede l’ attribuzione di un reato grave a carico di un’ etnia o una minoranza << protetta >>, come gli Zingari e gli Ebrei. Tuttavia, calunniare per odio etnico, ex comma 2 Art. 261 bis StGB, richiede soltanto un’ accusa generica, probabilmente non preventivata, mentre la calunnia ordinaria, ex Art. 174 StGB , esige che il reo sappia, con dolo pieno, di << dire una cosa non vera [ … ] col proposito deliberato di rovinare la reputazione di una persona >>. Ovverosia, la volizione dolosa, ex Art. 174 StGB, è più intensa di quella richiesta dalla fattispecie ex comma 2 Art. 261 bis StGB. Anche il verbo <<discreditare >>, nel comma 2 Art. 261 bis StGB, si presta a più di un’ interpretazione. Solitamente, il Tribunale Penale Federale concepisce il discredito come l’ affermazione dell’ inferiorità giuridica e/o psico-fisica di un individuo o di un gruppo di individui purché tale asserto sia sistematico, pubblico e continuativo nel tempo. Ciononostante, sempre nel comma 2 Art. 261 bis StGB, il fatto di calunniare o di discreditare << sistematicamente >> implica, per la Dottrina giuridica svizzera, un << contesto ben strutturato >>, una filosofia, un credo, una dottrina, una fede coerente e storicamente avvalorata, mentre, secondo il Tribunale Penale Federale, l’ avverbio << sistematicamente >> non impone il possesso necessario di una cultura o di una pseudo-cultura ben articolata, ragionata e quasi scientifica, seppur esecrabile e ripugnante.

2.7. Analisi dei lemmi contenuti nel comma 3 Art. 261 bis StGB

I lemmi << azione di propaganda >>, nel comma 3 Art. 261 bis StGB, indicano, nei Lavori Preparatori del 1992, un << comportamento comunicativo >> come fare un comizio, distribuire libri o volantini, anche on-line, divulgare fotografie o files jpg, esporre simboli o compiere il saluto nazi-fascista. Inoltre, << organizzare, incoraggiare, partecipare >> alle predette azioni di propaganda, sempre nel comma 3 Art. 261 bis StGB, significa << agevolare, partecipando [ attivamente ] , la realizzazione di azioni propagandistiche >> ( NIGGLI, ibidem – v. pure i Lavori Preparatori ). In terzo luogo, nel comma 3 Art. 261 bis StGB, l’ inciso << nel medesimo intento >> costituisce un rinvio espresso ai commi 1 e 2 Art. 261 bis StGB, che prevedono e puniscono l’ incitamento all’ odio razziale o religioso, il discredito, la calunnia e la propagazione pubblica e sistematica di pregiudizi contro un’ etnia o una minoranza. A parere di STRATENWERTH ( 2000 ), << la peculiarità del comma 3 risiede principalmente nel fatto che la complicità [ … ] alla realizzazione dei commi 1 e 2 dell’ Art. 261 bis StGB assurge a reato autonomo [ … ] i complici sono equiparati agli autori [ … ] è un crimine punibile dalla legge ogni incitamento ( compreso il finanziamento ) alla discriminazione razziale >>. Sino ad ora, il comma 3 Art. 261 bis StGB, ovverosia il crimine di complicità nella discriminazione, è stato impiegato soltanto per condannare, in BGE 130 IV 111, gli associati per delinquere di una banda di naziskin svizzeri riunitasi pubblicamente nel 2004 per << organizzare ed incoraggiare azioni di propaganda>> nel contesto della grave << partecipazione attiva >> sanzionata dal comma 3 Art. 261 bis StGB. A parere di chi scrive, è eccessivamente a-tipico equiparare i rei principali ai correi senza una normale attenuazione per chi partecipa attivamente ancorché parzialmente ad una propaganda discriminatoria. Le punizioni retoriche ed esemplari non debbono inficiare la tecnica giuridica e la ratio della proporzionalità giuspenalistica. Il Tribunale Penale Federale considera <<azioni di propaganda >> pure aiutare i circoli neo-nazisti a distribuire bandiere, adesivi, poster e CD, fatta eccezione per i raduni in luoghi chiusi non accessibili a terzi estranei.

2.8. Analisi dei lemmi contenuti nel cpv. 1 comma 4 art. 261 bis StGB

I lemmi << in modo lesivo della dignità umana >>, nel comma 4 cpv. 1 Art. 261 bis StGB, indicano un tipo di ingiuria << aggravata >>, ovverosia << un ‘ azione che nega alla vittima la qualità di essere umano >>, come ben precisato nei Lavori Preparatori del 1992, la lesione della dignità umana, nella fattispecie normativa qui in esame, raggiunge un livello specifico che si spinge ben oltre l’ ipotesi dell’ ingiuria bagatellare e bambinesca. Nel caso ora in parola, infatti, << viene negata la dignità umana >> ( NIGGLI, ibidem ) e, dunque, non si tratta soltanto di una parola o di una serie di parole sconvenienti e maleducate. Questo << discredito o discriminazione >> razziale, nell’ 85 % dei casi, si sostanzia, a livello empirico, in insulti verbali. Tra il 2001 ed il 2003, il Tribunale Penale Federale ha qualificato come discriminatori, alla luce del cpv. 1 comma 4 Art. 261 bis StGB, epiteti quali << maiale d’ un Serbo … Ebreo … fuori gli Slavi … fuori gli Albanesi … fuori tutti gli stranieri … via i Negri … sporco Yugoslavo … tu non sei un uomo … polacco di merda … Albanesi via … andatevene col vostro allah e il vostro maometto >> . In un BGE del 26/09/2000, il Bundesgericht ha condannato un soggetto, ex cpv. 1 comma 4 Art. 261 bis StGB, per aver insultato, in modo eccessivamente pesante, gli Ebrei svizzeri osservanti che mangiano solo carne ottenuta da una particolare modalità di macellazione rituale. Viceversa, l’ offesa non razziale e non religiosa ad uno straniero è considerata, a livello giurisprudenziale, come un’ ingiuria << non aggravata >> e non sussumibile entro lo specifico campo precettivo del cpv. 1 comma 4 Art. 261 bis StGB. Egualmente, BGE 131 IV 23 specifica che non è discriminatorio invitare al rimpatrio collettivo gli Asilanten e sostenere che essi provocano, dal punto di vista statistico, un aumento numerico nella percentuale riscontrabile della micro-criminalità in Svizzera. Parimenti, la minaccia di voler agire in modo discriminatorio deve successivamente essere accompagnata da parole o gesti concreti. Il Tribunale Penale Federale, negli Anni Duemila, ha reputato non penalmente rilevanti le dichiarazioni d’ intenti astratte o derivate da una pseudo-criminologia populista stupida eppur innocua, in tanto in quanto limitata a battute eccentriche da osteria le quali suscitano soltanto il sorriso.

2.9. Analisi dei lemmi contenuti nel cpv. 2 comma 4 Art. 261 bis StGB

BGE 126 IV 20 definisce come punibile il disconoscimento o la minimizzazione << di tutti gli atti che possono essere qualificati come genocidio conformemente alla Convenzione del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio [ ratificata dalla Confederazione in data 07/09/2000 ] >>. Il cpv. 2 comma 4 Art. 261 bis StGB ha rinvenuto applicazione, nel Diritto svizzero, soprattutto con attinenza alla recente guerra civile nella ex Yugoslavia e, più in generale, con attinenza ai reati di sterminio, deportazione, epurazione etnica e tortura commessi in danno di civili inermi nel corso di regolari conflitti bellici. I lemmi <<minimizzare grossolanamente … cercare di giustificare >> indicano una sottovalutazione delle sofferenze patite dalla popolazione civile. Tuttavia, non è perseguibile la negazione pseudo-scientifica di uno sterminio di massa, bensì la negazione o la giustificazione in tanto in quanto e se fondata su considerazioni razziali, etniche o religiose, quindi non limitate a questioni politiche o di tattica militare. Aspramente dibattuta, in Svizzera, è la sussistenza o meno del genocidio armeno da parte dei Turchi, mentre non sussistono dubbi, né storici né giuridici, sulla shoà degli Ebrei durante la II Guerra Mondiale.

2.10. Analisi dei lemmi contenuti nel comma 5 Art. 261 bis StGB

Nel comma 5 Art. 261 bis StGB, è p. e p. l’ apartheid così come era strutturato nel Sud Africa e negli USA durante il XX Secolo. E’ << servizio destinato al pubblico >> ogni commercio ad incertam personam di alimentari, merci e trasporti, purché il rifiuto di accesso sia fondato su motivi razziali o religiosi. Non è reato riservare un contratto di affitto di immobili << a soli Svizzeri >> per opportunità economica o geografica. P.e., in un quartiere altamente criminogeno, è lecito far uscire uno Slavo in stato di ebbrezza durante le ore notturne. Molto dipende, infatti, dal singolo contesto specifico.

B I B L I O G R A F I A

NIGGLI, Rassendiskriminierung: ein Kommentar zu Art. 261 bis StGB und Art. 171c MstG: mit
Rücksicht auf das << Übereinkommen vom 21 Dezember 1965 zur Beseitigung
jeder Form von Rassendiskriminierung >> und die entsprechende Regelungen
anderer Unterzeichnerstaaten, Schulthess Verlag, Zürich, 1996
RIEDER, Rassendiskriminierung und Strafrecht: Wie bewährt sich Art. 261 bis StGB, in
Rassendiskriminierung: Gerichtspraxis zu Art. 261 bis StGB – Analysen, Gutachten
und Dokumentation der Gerichtspraxis zu Art. 261 bis StGB 1995 – 1998,
Schulthess, Zürich, 1999
RIKLIN, Die neue Strafbestimmung der Rassendiskriminierung, Medialex 1/96, 1996
SCHLEIMINGER, Art. 261 bis StGB, Basler Kommentar Vol. II, Helbing & Lichtenhahn, Basel,
2003
STRATENWERTH, Straftaten gegen Gemeininteressen, Stämpfli, Bern, 2000
TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Kurzkommentar, Schulthess, Zürich, 1997

Dott. Andrea Baiguera Altieri

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