Questa norma s’applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione d’un capitale o della dilazione d’un pagamento (interessi corrispettivi. Art. 1282 c.c.), sia interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori:. Art. 1224 c.c.).
Tale conclusione, afferma la Corte, è l’unica consentita da tutti e quattro i tradizionali criteri ermeneutici: interpretazione letterale, sistematica, finalistica e storica.
Gli interessi
Al punto 1.4.2 (pagg. 8,9) la Corte spiega molto bene che l’art. 644 c.p. non si riferisce esclusivamente agli interessi corrispettivi. Precisa che la corresponsione degli interessi di mora per il nostro ordinamento ha la funzione di tenere indenne il creditore della perduta possibilità di impiegare proficuamente il denaro dovutogli, mentre gli interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c. remunerano un capitale che il creditore ha volontariamente messo a disposizione dell’investitore. La Corte, spiega molto semplicemente che gli interessi moratori ex art. 1224 c.c. remunerano invece il capitale di cui il creditore è rimasto privo involontariamente: citando Pareto la Corte per entrambi le forme di interessi, alla fine si tratta di “fitto del capitale”. In definitiva, anche gli interessi moratori costituiscono remunerazione del capitale.
Prosegue la sentenza, nell’ultimo capoverso del punto 1.5 che tanto gli interessi compensativi, quanto quelli convenzionali moratori ristorano il differimento nel tempo del godimento d’un capitale, con due differenze: la fonte dell’interesse corrispettivo è il contratto, per gli interessi moratori la fonte è data dal contratto e dalla mora; sotto il profilo della decorrenza, i primi decorrono immediatamente, i secondi è differita ed eventuale: la funzione per entrambi gli interessi resta invariata.
L’impostazione appena affermata è corroborata dalla giurisprudenza formatasi sull’art. 1224 c.c. nonché dalla relazione al vigente codice civile e autorevole dottrina. Sia chiaro, che la lettura data dalla Corte non fa venir meno la natura risarcitoria da inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, ma tale danno si identifica nella perduta possibilità per il creditore di investire la somma dovutagli per trarne un lucro finanziario (punto 1.5.2) . Tale danno presunto juris et de iure nel suo ammontare minimo (saggio legale), non ha bisogno di essere provato (SSUU n. 19499 del 16.07.2008). La corte chiude il punto 1.5.2 affermando che gli interessi moratori, convenzionali o legali che siano, remunerano un capitale, né più, né meno, che gli interessi corrispettivi.
L’interpretazione data nella sentenza in commento, ribadisce la finalità della L. 108/1996, ovvero quello di introdurre un criterio oggettivo al duplice scopo di tutelare da un lato le vittime dell’usura, e dall’altro l superiore interesse pubblico all’orinato e corretto svolgimento delle attività economiche. Nell’ultimo capoverso del punto 1.6 la Corte chiarisce inequivocabilmente, ma era comunque una finalità che poteva essere ben chiara da tempo a tutte le corti di merito, che non avrebbe senso rendere il tasso di mora immune della disciplina antiusura poiché incoerente con la finalità della legge, oltre al fatto che condurrebbe ad una situazione paradossale, ovvero, che il creditore sarebbe avvantaggiato dall’inadempimento del debitore lucrando interessi fuori controllo, creando, in definitiva, specifica la Corte, pratiche fraudolente.
Il caso
La ricostruzione storico – ermeneutica ermeneutica data con il punto 1.7 rappresenta un barlume di civiltà di cui la Corte di Cassazione è custode: la lettura storica del diritto è imprescindibile se non volgiamo abbandonarci alla definizione del Porf. Bobbio per cui oggi ci troveremmo di fronte ad una nuova era caratterizzata dall’Homo videns.
La diversità ontologica tra interessi moratori e corrispettivi (ma anche compensativi) non giustifica in alcun modo una diversa disciplina sul piano dell’usura che contrasterebbe un una esperienza giuridica millenaria (punto 1.8.1)
Nessuna differenza emerge nella lettura dell’art. 2 L. 108/1996 tra le tipologie d interessi, assenza di distinzioni che è emersa anche dalla lettura dei lavori parlamentari (punto 1.4.1).
Corter, chiarisce che non ha alcun rilievo il fatto che il Ministero del Tesoro, nel rilevamento dei tassi medi praticati dagli operatori finanziari non prenda in considerazione gli interessi moratori. La citata norma stabilisce che la rilevazione dei tassi medi debba avvenire per “operazioni della stessa natura” , ovvero per tipologie contrattuali: gli interessi moratori non possono essere ricondotti al concetto di operazioni.
Al punto 1.8.3 la sentenza evidenzia l’assenza di un obbligo nella L. 108/1996 di rilevare il saggio di mora medio e per tale ragione conclude che il saggio di mora medio non deve essere rilevato, poiché la legge prevede un criterio di indagine fondato sulle tipologie contrattuali e non “per tipo di titolo giuridico”.
La corte ci ricorda, poi, che già la Banca d’Italia con Circolare del 3.7.2013 § 4 ammetteva che gli interessi di mora sono soggetti alla L.108/1996.
Anche in relazione all’art. 5 D LGS 9 ottobre 2002 n. 231, per le transazioni commerciali, la corte chiarisce che è facoltà delle parti derogarvi, ma resta pur sempre soggetto, qualunque sia la legge di riferimento alla disciplina antiusura.
Al punto 1.9 la Corte ci ricorda, quasi a confermare che la soluzione al dilemma degli interessi moratori non è mai esistito, che la questione era già stata oggetto di numerose sentenza sia della Corte Costituzionale (sent. 29 del 25.02.2002) che della Corte di Cassazione (l’ultimo capoverso del punto 1.9 ne cita parecchie).
La corte conclude per la nullità del patto che prevede interessi moratori eccedenti il tasso soglie e specifica che il tasso di mora va confrontato va confrontato puramente e semplicemente al tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto senza alcuna maggiorazione o incremento, in quanto tale maggiorazione non è prevista da alcuna norma di legge.
Secondo la Corte l’art. 1815 c. 2c.c. si riferisce agli interessi corrispettivi e non a quelli moratori, pertanto la nullità della clausola sugli interessi moratori comporterà l’applicazione del saggio legale quale saggio sostitutivo.
Da notare, che la Corte non si è espressa un punto fondamentale, ovvero, se la nullità del patto sugli interessi moratori colpisca anche quella sugli interessi corrispettivi: tale statuizione non ha formato oggetto di impugnazioni.
La ricostruzione storica dell’istituto dell’usura, potrebbe tuttavia portare alla conclusione, che l’applicazione dell’art. 1815 c. 2 c.c. si ha solamente in caso di superamento del tasso soglia da parte degli interessi corrispettivi, qualora, invece, a violare la legge sull’usura sia l’interessi di mora, la sanzione non sarà la non debenza degli interessi ma la mera applicazione degli interessi legali all’intero negozio.
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