“Nuova” disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni: vediamo come funziona

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Il decreto legislativo, 2 ottobre 2018, n. 121, pubblicato sulla g.u. il 26 ottobre del 2018, istituisce la disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 81, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103.
Orbene, vediamo come questa “nuova” disciplina normativa è stata regolamentata in questo atto avente forza di legge.

Quali sono le novità introdotte?

L’art. 1, rubricato “Regole e finalita’ dell’esecuzione”, prevede, per un verso, che, nel “procedimento per l’esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunita’ a carico di minorenni, nonche’ per l’applicazione di queste ultime, si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale, della legge 26 luglio 1975, n. 354, del relativo regolamento di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n.230, e del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, e relative norme di attuazione, di coordinamento e transitorie approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272” (comma primo), per altro verso, che l’“esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunita’ deve favorire percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato. Tende altresi’ a favorire la responsabilizzazione, l’educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minorenne, la preparazione alla vita libera, l’inclusione sociale e a prevenire la commissione di ulteriori reati, anche mediante il ricorso ai percorsi di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, e ad attivita’ di utilita’ sociale, culturali, sportive e di tempo libero” (secondo comma).
Tal che si stabilisce che, per quanto non previsto in questo decreto, si rimanda a quanto disposto dall’ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento di attuazione nonché dal c.p.p.m. e della relativa disciplina attuativa stabilendosi al contempo la finalità che deve connotare l’esecuzione penale minorile ossia, come appena visto, favorire sia percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato, che la responsabilizzazione, l’educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minorenne, la preparazione alla vita libera, l’inclusione sociale e a prevenire la commissione di ulteriori reati, anche mediante il ricorso ai percorsi di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, e ad attivita’ di utilita’ sociale, culturali, sportive e di tempo libero.
A sua volta l’art. 2, intitolato “Misure penali di comunita’”, introduce queste forme di misure da esperirsi dopo la condanna una volta divenuta definitiva.
In particolare è previsto che sono misure penali di condanna “l’affidamento in prova al servizio sociale, l’affidamento in prova con detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare, la semiliberta’, l’affidamento in prova in casi particolari” (art. 2, c. 1, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e che vengono disposte “quando risultano idonee a favorire l’evoluzione positiva della personalita’, un proficuo percorso educativo e di recupero, sempre che non vi sia il pericolo che il condannato si sottragga all’esecuzione o commetta altri reati” fermo restando che, da un lato, tutte “le misure devono prevedere un programma di intervento educativo” (art. 2, c. 2, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121), dall’altro, salvo quanto disposto dal primo comma dell’articolo 1, “ai fini della concessione delle misure penali di comunita’ e dei permessi premio e per l’assegnazione al lavoro esterno si applica l’articolo 4-bis, commi 1(1)e 1-bis , della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni”(2) (art. 2, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Quanto al modo attraverso il quale dette misure sono disposte (o meno), è sancito che il “tribunale di sorveglianza decide sulla base dei risultati dell’osservazione e della valutazione della personalita’ del minorenne, delle condizioni di salute psico-fisica, dell’eta’ e del grado di maturita’, del contesto di vita e di ogni altro elemento utile, tenuto conto della proposta di programma di intervento educativo redatta dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni e dei percorsi formativi in atto” (art. 2, c. 4, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e nella “scelta della misura si tiene conto dell’esigenza di garantire un rapido inserimento sociale con il minor sacrificio della liberta’ personale” (art. 2, c. 5, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che con “l’applicazione delle misure puo’ essere disposto il collocamento del minorenne in comunita’ pubbliche o del privato sociale” (art. 2, c. 8, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e per “favorire il percorso educativo del condannato, le comunita’ possono essere organizzate, in deroga a quanto previsto dall’articolo 10, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272 (3), anche in modo da ospitare solamente minorenni sottoposti a procedimento penale ovvero in esecuzione di pena” (art. 2, c. 8, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121)
E’ inoltre previsto che, ai “fini dell’applicazione delle misure penali di comunita’, l’osservazione e’ svolta dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni che acquisisce i dati giudiziari e penitenziari, sanitari, psicologici e sociali, coordinandosi con i servizi socio-sanitari territoriali di residenza del minorenne e, per i detenuti, anche con il gruppo di osservazione e trattamento dell’istituto di appartenenza” (art. 2, c. 9, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) mentre il Tribunale di sorveglianza, da un lato, “puo’ disporre approfondimenti sanitari anche avvalendosi dei servizi specialistici territoriali” (art. 2, c. 9, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121), dall’altro, “acquisisce informazioni sul contesto di vita familiare e ambientale, sui precedenti delle persone con cui il minorenne convive e sull’idoneita’ del domicilio indicato per l’esecuzione della misura” (art. 2, c. 10, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Dal canto suo, l’“ufficio di servizio sociale per i minorenni predispone gli interventi necessari ai fini della individuazione di un domicilio o di altra situazione abitativa, tale da consentire l’applicazione di una misura penale di comunita’” (art. 2, c. 11, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
A sua volta la “durata delle misure penali di comunita’ e’ corrispondente alla durata della pena da eseguire” (art. 2, c. 6, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) mentre l’“esecuzione delle misure penali di comunita’ avviene principalmente nel contesto di vita del minorenne e nel rispetto delle positive relazioni socio-familiari, salvo motivi contrari e, in ogni caso, purche’ non vi siano elementi tali da far ritenere collegamenti con la criminalita’ organizzata” (art. 2, c. 7, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ infine previsto che le “disposizioni sull’affidamento in prova al servizio sociale, sulla detenzione domiciliare e sulla semiliberta’ di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, nonche’ sull’affidamento in casi particolari previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applicano, in quanto compatibili, alle corrispondenti misure di comunita’ di cui al presente decreto” (art. 2, c. 12, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
L’art. 3, invece, regola le prescrizioni e le modalita’ esecutive delle misure penali di comunita’.
E’ previsto in particolare che il “tribunale di sorveglianza, nel disporre una misura penale di comunita’, prescrive lo svolgimento di attivita’ di utilita’ sociale, anche a titolo gratuito, o di volontariato” (art. 3, c. 1, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che queste attività “sono svolte compatibilmente con i percorsi di istruzione, formazione professionale, istruzione e formazione professionale, le esigenze di studio, di lavoro, di famiglia e di salute del minorenne e non devono mai compromettere i percorsi educativi in atto” (art. 3, c. 2, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Da ultimo è disposto che con “il provvedimento che applica una misura penale di comunita’ sono indicate le modalita’ con le quali il nucleo familiare del minorenne e’ coinvolto nel progetto di intervento educativo” (art. 3, c. 3, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e ai “fini dell’attuazione del progetto puo’ farsi applicazione dell’articolo 32, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448” (art. 3, c. 3, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) il quale, come è noto, prevede quanto segue: “In caso di urgente necessità, il giudice, con separato decreto, può adottare provvedimenti civili temporanei a protezione del minorenne. Tali provvedimenti sono immediatamente esecutivi e cessano di avere effetto entro trenta giorni dalla loro emissione”.
L’art. 4 disciplina l’affidamento in prova al servizio sociale.
Si prevede prima di tutto che se “la pena detentiva da eseguire non supera i quattro anni il condannato puo’ essere affidato all’ufficio di servizio sociale per i minorenni, per lo svolgimento del programma di intervento educativo” (art. 4, c. 1, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e con “lo stesso provvedimento il tribunale di sorveglianza puo’ disporre prescrizioni riguardanti l’adempimento degli obblighi di assistenza familiare e ogni altra prescrizione utile per l’educazione e il positivo inserimento sociale del minorenne, compreso, quando opportuno, il collocamento in comunita’” (art. 4, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Dal canto suo, il programma in questione, “predisposto in collaborazione con i servizi socio-sanitari territoriali, contiene gli impegni in ordine: a) alle attivita’ di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, di lavoro o comunque utili per l’educazione e l’inclusione sociale; b) alle prescrizioni riguardanti la dimora, la liberta’ di movimento e il divieto di frequentare determinati luoghi; c) alle prescrizioni dirette ad impedire lo svolgimento di attivita’ ovvero relazioni personali che possono indurre alla commissione di ulteriori reati” (art. 4, c. 2, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) mentre l’“ordinanza che dispone l’affidamento in prova indica altresi’: a) il ruolo del servizio sociale per i minorenni e dei servizi socio-sanitari territoriali nell’esecuzione del programma; b) le modalita’ di svolgimento delle attivita’ di utilita’ sociale” (art. 4, c. 4, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Dopo che è stato disposto l’affidamento in prova, è altresì previsto che nel “corso dell’affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza sulla base delle indicazioni fornite dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni” (art. 4, c. 5, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e le “deroghe temporanee alle prescrizioni sono autorizzate, per motivi di urgenza, dal direttore dell’ufficio di servizio sociale per i minorenni, il quale ne da’ immediata comunicazione al magistrato di sorveglianza” (art. 4, c. 5, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ infine contemplato che l’“ufficio di servizio sociale per i minorenni incontra l’affidato e lo assiste nel percorso di reinserimento sociale, anche mettendosi in relazione con la famiglia e con gli altri ambienti di vita del condannato” (art. 4, c. 6, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
L’art. 5, a sua volta, norma l’affidamento in prova con detenzione domiciliare statuendo, da un lato, che, fermo “quanto previsto dall’articolo 4, il tribunale di sorveglianza puo’ applicare l’affidamento in prova al servizio sociale con detenzione domiciliare in giorni determinati della settimana presso l’abitazione dell’affidato, altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, o presso comunita’” (primo comma), dall’altro, che la “detenzione domiciliare si esegue nelle forme di cui all’articolo 6” (secondo comma) (che vedremo da qui a poco).
Per quel che riguarda la detenzione domiciliare, l’art. 6 dispone al primo comma che, fermo “quanto previsto dagli articoli 47-ter, comma 1(4) , 47-quater (5)e 47-quinquies 86)della legge 26 luglio 1975, n. 354, il condannato puo’ espiare la pena detentiva da eseguire in misura non superiore a tre anni nella propria abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza o presso comunita’, quando non vi sono le condizioni per l’affidamento in prova al servizio sociale e per l’affidamento in prova al servizio sociale con detenzione domiciliare”.
A sua volta il “tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalita’(7) secondo quanto stabilito dall’articolo 284 del codice di procedura penale , tenendo conto del programma di intervento educativo predisposto dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni” (art. 6, c. 2, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che tali prescrizioni, per un verso, “possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si esegue la misura”(art. 6, c. 2, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121), per altro verso, “favoriscono lo svolgimento di attivita’ esterne, in particolare di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, ovvero di lavoro, o culturali, o sportive, comunque utili al successo formativo e all’inclusione sociale” (art. 6, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ infine stabilito che al “soggetto sottoposto alla detenzione domiciliare e’ fatto divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura senza l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza” (art. 6, c. 4, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) prevedendosi al contempo, da una parte, che il “soggetto che si allontana senza la prescritta autorizzazione e’ punito ai sensi dell’articolo 385 del codice penale ”(8) (art. 6, c. 4, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121), dall’altra, che si “applica la disposizione del quarto comma dello stesso articolo” (art. 6, c. 4, terzo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
L’art. 7, dal canto suo, regolamenta la semilibertà nel seguente modo.
Al primo comma è previsto che il “condannato puo’ essere ammesso alla semiliberta’, e cosi’ trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto per partecipare ad attivita’ di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e di formazione professionale, di lavoro, di utilita’ sociale o comunque funzionali all’inclusione sociale, quando ha espiato almeno un terzo della pena” (primo capoverso) e, “se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, si tiene conto, altresi’, del significativo rapporto tra la pena espiata e la pena residua” (secondo capoverso).
E’ inoltre previsto che nel “programma di intervento educativo sono indicate le prescrizioni da osservare all’esterno con riferimento ai rapporti con la famiglia e con l’ufficio di servizio sociale per i minorenni, nonche’ gli orari di rientro in istituto” (art. 7, c. 2, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) così come è disposto che il “soggetto ammesso alla semiliberta’ e’ assegnato preferibilmente ad appositi istituti o sezioni e puo’ essere trasferito in altro istituto che agevoli l’organizzazione e lo svolgimento delle attivita’ esterne, nonche’ il consolidamento delle relazioni socio-familiari utili per il suo inserimento sociale” (art. 7, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ infine sancito che il “condannato che, senza giustificato motivo, non rientra in istituto o rimane assente per un tempo superiore alle dodici ore e’ punibile a norma del primo comma dell’articolo 385 del codice penale ed e’ applicabile la disposizione del quarto comma dello stesso articolo” (art. 7, c. 4, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) precisandosi altresì che “il condannato rimane assente dall’istituto, senza giustificato motivo, per non piu’ di dodici ore, e’ punito in via disciplinare. In tali casi la semiliberta’ puo’ essere revocata” (art. 7, c. 4, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Per quanto invece riguarda le tematiche afferenti l’adozione, la sostituzione e la revoca delle misure penali di comunita’, è disposto che la “competenza a decidere sulla adozione, sostituzione e revoca delle misure penali di comunita’ spetta al tribunale di sorveglianza per i minorenni” (art. 8, c. 1, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che: a) l’“adozione della misura penale di comunita’ puo’ essere disposta su richiesta dell’interessato, se maggiorenne, o del suo difensore; non puo’ essere disposta d’ufficio” (art. 8, c. 1, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) ma “puo’ essere proposta dal pubblico ministero o dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni” (art. 8, c. 1, quarto capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121); b) nel “caso in cui il condannato non abbia compiuto la maggiore eta’, la richiesta e’ presentata dal difensore o dall’esercente la responsabilita’ genitoriale” (art. 8, c. 1, terzo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
A sua volta il magistrato di sorveglianza: I) “puo’ disporre l’applicazione in via provvisoria delle misure penali di comunita’, con le modalità di cui articolo 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, quando lo stato di detenzione determina un grave pregiudizio al percorso di inserimento sociale” (art. 8, c. 2, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e quindi, nel qual caso, è applicabile questo comma che così dispone: “L’istanza di affidamento in prova al servizio sociale e’ proposta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione. Quando sussiste un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza puo’ essere proposta al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione. Il magistrato di sorveglianza, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga, dispone la liberazione del condannato e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova con ordinanza. L’ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti, che decide entro sessanta giorni”; II) “puo’ disporre in via provvisoria la sospensione della misura” (art. 8, c. 4, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e la “misura sospesa puo’ essere sostituita con altra” (art. 8, c. 4, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) ma, nel far ciò, deve trasmettere “immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza” (art. 8, c. 4, terzo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che il “provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti” (art. 8, c. 4, quarto capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ inoltre stabilito che le “misure penali di comunita’ sono sostituite o revocate, oltre che nei casi espressamente previsti, qualora il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni impartite, appaia incompatibile con la prosecuzione della misura” (art. 8, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e in “caso di revoca, il periodo trascorso in detenzione domiciliare o in semiliberta’ e’ scomputato dalla pena o misura ancora da espiare” (art. 8, c. 5, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) mentre, in “caso di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale e dell’affidamento in prova con detenzione domiciliare, il tribunale di sorveglianza determina la pena da espiare, tenuto conto della durata della misura concessa, delle limitazioni imposte al condannato e del suo comportamento durante il periodo trascorso” art. 8, c. 5, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Proseguendo la disamina delle norme in oggetto, se l’art. 9 prevede la modifica dell’art. 24, c. 1, decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272 nei seguenti termini: “le parole: «le misure alternative» sono sostituite dalle seguenti: «le misure penali di comunita’, le altre misure alternative»; le parole «per quanti abbiano gia’ compiuto il ventunesimo anno, » sono soppresse e dopo le parole «finalita’ rieducative» sono aggiunte le seguenti: «ovvero quando le predette finalita’ non risultano in alcun modo perseguibili a causa della mancata adesione al trattamento in atto»”, il successivo art. 10 dispone che, quando “nel corso dell’esecuzione di una condanna per reati commessi da minorenne sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva per reati commessi da maggiorenne, il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione, lo sospende secondo quanto previsto dall’articolo 656 del codice di procedura penale e trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza per i minorenni” (primo comma, primo capoverso) e se “questi ritiene che vi siano le condizioni per la prosecuzione dell’esecuzione secondo le norme e con le modalita’ previste per i minorenni, tenuto conto del percorso educativo in atto e della gravita’ dei fatti oggetto di cumulo, ne dispone con ordinanza l’estensione al nuovo titolo, altrimenti dispone la cessazione della sospensione e restituisce gli atti al pubblico ministero per l’ulteriore corso dell’esecuzione” (primo comma, secondo capoverso) fermo restando che si “tiene altresi’ conto delle ragioni di cui all’articolo 24 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272 ”(9)(primo comma, terzo capoverso).
Oltre a ciò è disposto che avverso “la decisione del magistrato di sorveglianza e’ ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni ”(10) (art. 10, c. 2, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e si “applica, in quanto compatibile, l’articolo 98 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 ” (art. 10, c. 2, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Posto ciò, l’“esecuzione della pena nei confronti di chi ha commesso il reato da minorenne e’ affidata al personale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia”(11) (art. 10, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e, quando “l’ordine di esecuzione per il reato commesso da maggiorenne non puo’ essere sospeso, il magistrato di sorveglianza per i minorenni trasmette gli atti al pubblico ministero che ha emesso l’ordine per l’ulteriore corso dell’esecuzione secondo le norme e con le modalita’ previste per i maggiorenni” (art. 10, c. 4, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ infine sancito che “il condannato per reati commessi da minorenne abbia fatto ingresso in un istituto per adulti in custodia cautelare o in espiazione di pena, per reati commessi dopo il compimento del diciottesimo anno di eta’, non si fa luogo all’esecuzione secondo le norme e con le modalita’ previste per i minorenni” (art. 10, c. 5, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).

Volume consigliato

Per quanto attiene l’esecuzione delle pene detentive, è disposto che, quando “deve essere eseguita nei confronti di persona che non abbia compiuto i venticinque anni di eta’ una condanna a pena detentiva per reati commessi da minorenne, il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non e’ superiore a quattro anni, salvo, per l’affidamento in prova in casi particolari, quanto previsto dall’articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309(12) , e contestualmente ne dispone la sospensione salvo il caso in cui il condannato si trovi per il fatto oggetto della condanna in stato di custodia cautelare ovvero sia detenuto in carcere o in istituto penitenziario minorile per altro titolo definitivo” (art. 11, c. 1, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
A loro volta l’“ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato, al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che ha operato nella fase del giudizio, e, in caso di persona minore degli anni diciotto, agli esercenti la responsabilita’ genitoriale, con l’avviso che nel termine di trenta giorni puo’ essere presentata richiesta, corredata di dichiarazione o elezione di domicilio, al tribunale di sorveglianza per l’applicazione di una misura di comunita’, mediante deposito presso l’ufficio del pubblico ministero, il quale ne cura l’immediata trasmissione al tribunale di sorveglianza unitamente agli atti”(13) (art. 11, c. 2, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che se in questo termine (ossia trenta giorni dalla notifica dell’avviso suddetto) “non sono presentate richieste il pubblico ministero revoca la sospensione dell’ordine di esecuzione” (art. 11, c. 4, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Dal canto suo il “decreto di sospensione contiene altresi’ l’invito al condannato a prendere contatti con l’ufficio del servizio sociale minorile dell’amministrazione della giustizia” (art. 11, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) mentre da parte sua il “tribunale di sorveglianza, ricevuta l’istanza di cui al comma 2, entro il termine di quarantacinque giorni fissa l’udienza a norma dell’articolo 666, comma 3, del codice di procedura penale e ne fa dare avviso al condannato, agli esercenti la responsabilita’ genitoriale nel caso di persone minori degli anni diciotto, al pubblico ministero, al difensore e ai servizi sociali minorili dell’amministrazione della giustizia” (art. 11, c. 5, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che con detto avviso “le parti sono altresi’ invitate a depositare, almeno cinque giorni prima della data fissata per l’udienza, memorie e documenti utili per l’applicazione della misura” (art. 11, c. 6, primo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
A loro volta i “servizi sociali minorili dell’amministrazione della giustizia presentano, anche in udienza, la relazione personologica e sociale svolta sul minorenne, nonche’ il progetto di intervento redatto sulla base delle specifiche esigenze del condannato” (art. 11, c. 6, secondo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) ma che resta “salva, in ogni caso, la facolta’ del tribunale di sorveglianza di procedere anche d’ufficio all’acquisizione di documenti o di informazioni, o all’assunzione di prove a norma dell’articolo 666, comma 5, del codice di procedura penale ”(14) (art. 11, c. 6, terzo capoverso, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
Per quel che riguarda invece l’esecuzione delle misure penali di comunita’, è stabilito che questa esecuzione “e’ affidata al magistrato di sorveglianza del luogo dove la misura deve essere eseguita” (art. 12, c. 1, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) e costui, “se ne ravvisa l’opportunita’ per elementi sopravvenuti, provvede alla modifica delle prescrizioni con decreto motivato, dandone notizia all’ufficio di servizio sociale per i minorenni” (art. 12, c. 2, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121) fermo restando che al “compimento del venticinquesimo anno di eta’, se e’ in corso l’esecuzione di una misura penale di comunita’, il magistrato di sorveglianza per i minorenni trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza ordinario per la prosecuzione della misura, ove ne ricorrano le condizioni, con le modalita’ previste dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni” (art. 12, c. 5, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
E’ infine stabilito, da un lato, che il “minorenne sottoposto a misura penale di comunita’ e’ affidato all’ufficio di servizio sociale per i minorenni, il quale, in collaborazione con i servizi socio-sanitari territoriali, svolge attivita’ di controllo, assistenza e sostegno per tutta la durata dell’esecuzione” (art. 12, c. 3, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121), dall’altro, che, per “garantire la continuita’ dell’intervento educativo e l’inserimento sociale, terminata l’esecuzione della misura, i servizi socio-sanitari territoriali prendono in carico il minorenne per la prosecuzione delle attivita’ di assistenza e sostegno anche curando, ove necessario, i contatti con i familiari e con le altre figure di riferimento” (art. 12, c. 4, d.lgs., 2 ottobre 2018, n. 121).
A sua volta il legislatore delegato, con l’art. 13, ha affrontato il caso in cui vi siano nuovi titoli di privazione della libertà per fatti commessi da minorenne stabilendo, per un verso, che, quando “durante l’esecuzione di una misura penale di comunita’, sopravviene un titolo esecutivo di altra pena detentiva per fatti commessi da minorenne, il pubblico ministero sospende l’ordine di esecuzione se ricorrono le condizioni di cui all’articolo 11, comma 1, e trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza, il quale, se ritiene che permangono le condizioni per la prosecuzione della misura, la dispone con ordinanza. In caso contrario dispone la cessazione dell’esecuzione della misura” (primo comma), per altro verso, che avverso “l’ordinanza e’ ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni” (secondo comma).
Chiarite quali sono state le modifiche afferenti i profili più prettamente procedurali di questa riforma, le successive disposizioni legislative, invece, afferiscono l’intervento educativo e l’organizzazione degli istituti penali per minorenni; in particolare: a) l’art. 14 disciplina il progetto di intervento educativo nei seguenti termini: “1. La permanenza negli istituti penali per minorenni si svolge in conformita’ a un progetto educativo predisposto entro tre mesi dall’inizio dell’esecuzione. Il progetto, elaborato secondo i principi della personalizzazione delle prescrizioni e la flessibilita’ esecutiva, previo ascolto del condannato, tiene conto delle attitudini e delle caratteristiche della sua personalita’. Il progetto contiene indicazioni sulle modalita’ con cui coltivare le relazioni con il mondo esterno e attuare la vita di gruppo e la cittadinanza responsabile, anche nel rispetto della diversita’ di genere, e sulla personalizzazione delle attivita’ di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, nonche’ sulle attivita’ di lavoro, di utilita’ sociale, culturali, sportive e di tempo libero utili al recupero sociale e alla prevenzione del rischio di commissione di ulteriori reati. 2. All’ingresso in istituto, e’ garantito un supporto psicologico da parte di personale specializzato, utile anche per la predisposizione del progetto educativo e per la prevenzione del rischio di atti di autolesionismo e di suicidio. 3. Il progetto educativo e’ illustrato al condannato con linguaggio comprensibile ed e’ costantemente aggiornato, considerati il grado di adesione alle opportunita’ offerte, l’evoluzione psico-fisica e il percorso di maturazione e di responsabilizzazione. 4. Il progetto di intervento educativo assicura la graduale restituzione di spazi di liberta’ in funzione dei progressi raggiunti nel percorso di recupero”; b) l’art. 15 norma l’assegnazione dei detenuti nel seguente modo: “Nella assegnazione dei detenuti e’ assicurata la separazione dei minorenni dai giovani al di sotto dei venticinque anni e degli imputati dai condannati. Le donne sono ospitate in istituti o sezioni apposite”; c) l’art. 16 regolamenta le camere di pernottamento nella seguente maniera: “1. Le camere di pernottamento devono essere adattate alle esigenze di vita individuale dei detenuti e possono ospitare sino ad un massimo di quattro persone. 2. Per le finalita’ di cui al presente articolo e’ autorizzata la spesa di 80.000 euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019”; d) l’art. 17 disciplina la permanenza all’aperto in tal modo: “1. Ai detenuti e’ consentito di permanere all’aria aperta per un tempo non inferiore alle quattro ore al giorno. Tale periodo puo’ essere ridotto per specifici motivi. 2. La permanenza all’aperto avviene in modo organizzato e con la presenza degli operatori penitenziari e dei volontari, in spazi attrezzati per lo svolgimento di attivita’ fisica e ricreativa. 3. Per le finalita’ di cui al presente articolo e’ autorizzata la spesa di 100.000 euro per l’anno 2018”; e) l’art. 18 regolamenta l’istruzione e la formazione professionale all’esterno in siffatti termini: “1. I detenuti sono ammessi a frequentare i corsi di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale all’esterno dell’istituto, previa intesa con istituzioni, imprese, cooperative o associazioni, quando si ritiene che la frequenza esterna faciliti il percorso educativo e contribuisca alla valorizzazione delle potenzialita’ individuali e all’acquisizione di competenze certificate e al recupero sociale. (15) 2. Si applica la disciplina di cui all’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni ”; f) l’art. 19 norma i colloqui e tutela dell’affettivita’ in questo modo: “1. Il detenuto ha diritto ad otto colloqui mensili, di cui almeno uno da svolgersi in un giorno festivo o prefestivo, con i congiunti e con le persone con cui sussiste un significativo legame affettivo. Ogni colloquio ha una durata non inferiore a sessanta minuti e non superiore a novanta. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica mediante dispositivi, anche mobili, in dotazione dell’istituto, e’ di venti minuti. Salvo che ricorrano specifici motivi, il detenuto puo’ usufruire di un numero di conversazioni telefoniche non inferiore a due e non superiore a tre a settimana. L’autorita’ giudiziaria puo’ disporre che le conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate per mezzo di idonee apparecchiature. E’ sempre disposta la registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. 2. Per i detenuti privi di riferimenti socio-familiari sono favoriti colloqui con volontari autorizzati ad operare negli istituti penali per minorenni ed e’ assicurato un costante supporto psicologico. 3. Al fine di favorire le relazioni affettive, il detenuto puo’ usufruire ogni mese di quattro visite prolungate della durata non inferiore a quattro ore e non superiore a sei ore, con una o piu’ delle persone di cui al comma 1. 4. Le visite prolungate si svolgono in unita’ abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico. 5. Il direttore dell’istituto verifica la sussistenza di eventuali divieti dell’autorita’ giudiziaria che impediscono i contatti con le persone indicate ai commi precedenti. Verifica altresi’ la sussistenza del legame affettivo, acquisendo le informazioni necessarie tramite l’ufficio del servizio sociale per i minorenni e dei servizi socio-sanitari territoriali. 6. Sono favorite le visite prolungate per i detenuti che non usufruiscono di permessi premio”; g) l’art. 20 prescrive le seguenti regole di comportamento: “1. Il regolamento che disciplina la vita nell’istituto e’ portato a conoscenza dei detenuti al loro ingresso con linguaggio comprensibile. 2. Ai fini della verifica dell’adesione ai programmi di intervento educativo, con conseguente progressione e concessione di benefici, e’ valutato anche il rispetto delle seguenti regole di comportamento all’interno dell’istituto: a) osservanza degli orari, cura dell’igiene personale, pulizia e ordine della camera di pernottamento; b) partecipazione alle attivita’ di istruzione, formazione professionale, istruzione e formazione professionale, lavoro, culturali e sportive; la permanenza nelle camere di pernottamento nel corso dello svolgimento di tali attivita’ e’ consentita soltanto in casi eccezionali, o per motivi di salute accertati dall’area sanitaria; c) consumazione dei pasti nelle aree specificamente dedicate e non all’interno delle camere di pernottamento, salvo specifica indicazione in tal senso da parte dell’area sanitaria; d) relazioni con gli operatori e con gli altri detenuti improntate al reciproco rispetto”; h) l’art. 21 norma la custodia attenuata così statuendo: “1. Possono essere organizzate sezioni a custodia attenuata per ospitare detenuti che non presentano rilevanti profili di pericolosita’ o che sono prossimi alle dimissioni e ammessi allo svolgimento di attivita’ all’esterno. L’organizzazione di tali strutture deve prevedere spazi di autonomia nella gestione della vita personale e comunitaria”; i) l’art. 22 delimita la territorialità dell’esecuzione in siffatto modo: “1. Salvo specifici motivi ostativi, anche dovuti a collegamenti con ambienti criminali, la pena deve essere eseguita in istituti prossimi alla residenza o alla abituale dimora del detenuto e delle famiglie, in modo da mantenere le relazioni personali e socio-familiari educativamente e socialmente significative. 2. L’assegnazione a un istituto penale per minorenni e’ comunicata all’autorita’ giudiziaria procedente. L’assegnazione a un istituto diverso da quello piu’ vicino al luogo di residenza o di abituale dimora e’ disposta con provvedimento motivato, previo nulla osta dell’autorita’ giudiziaria. 3. Ai trasferimenti si applicano i criteri di cui al comma 1 e sono disposti con provvedimento motivato, previo nulla osta dell’autorita’ giudiziaria. Nei casi di urgenza sono eseguiti dalla competente amministrazione per la giustizia minorile e comunicati senza ritardo all’autorita’ giudiziaria”; l) l’art. 23 individua le seguenti sanzioni disciplinari: “1. Fermo quanto previsto dall’articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, e successive modificazioni (16), sulle infrazioni disciplinari, possono essere applicate le seguenti sanzioni: a) rimprovero verbale e scritto del direttore dell’istituto; b) attivita’ dirette a rimediare al danno cagionato; c) esclusione dalle attivita’ ricreative per non piu’ di dieci giorni; d) esclusione dalle attivita’ in comune per non piu’ di dieci giorni. 2. Le sanzioni del rimprovero verbale e scritto sono deliberate dal direttore dell’istituto, mentre per le altre e’ competente il consiglio di disciplina composto dal direttore dell’istituto o, in caso di legittimo impedimento, dall’impiegato piu’ alto in grado con funzioni di presidente, da uno dei magistrati onorari addetti al tribunale per i minorenni designato dal presidente, e da un educatore”; m) l’art. 24 regolamenta la dimissione in questo modo: “1. Nei sei mesi precedenti, l’ufficio di servizio sociale per i minorenni, in collaborazione con l’area trattamentale, prepara e cura la dimissione: a) elaborando, per i condannati cui non siano state applicate misure penali di comunita’, programmi educativi, di formazione professionale, di lavoro e di sostegno all’esterno; b) curando i contatti con i familiari di riferimento e con i servizi socio-sanitari territoriali, ai fini di quanto previsto nell’articolo 12, comma 4; c) rafforzando, in assenza di riferimenti familiari, i rapporti con i servizi socio-sanitari territoriali e con le organizzazioni di volontariato, per la presa in carico del soggetto; d) attivando sul territorio le risorse educative, di formazione, di lavoro e di sostegno, in particolare per i condannati privi di legami familiari sul territorio nazionale, ovvero la cui famiglia sia irreperibile o inadeguata, e individuando le figure educative o la comunita’ di riferimento proposte dai servizi sociali per i minorenni o dai servizi socio-sanitari territoriali”.
Queste sono dunque le novità introdotte da questo decreto legislativo.
Non resta dunque che vedere come queste disposizioni legislative verranno applicate e quindi interpretate in sede giudiziale.

NOTE

(1)Per il quale: “1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge: delitti commessi per finalita` di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale , delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita` delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600 , 600- bis, primo comma , 600-ter , primo e secondo comma, 601 , 602 , 609-octies [, qualora ricorra anche la condizione di cui al comma 1-quater del presente articolo,] e 630 del codice penale, all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’ articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’ articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 , e successive modificazioni”.
(2)Secondo cui: “I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purche` siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualita` di collegamenti con la criminalita` organizzata, terroristica o eversiva, altres ` nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita`, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonche` nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’ articolo 114 ovvero dall’ articolo 116 , secondo comma, del codice penale”.
(3)Ai sensi del quale: “L’organizzazione e la gestione delle comunità deve rispondere ai seguenti criteri: a) organizzazione di tipo familiare, che preveda anche la presenza di minorenni non sottoposti a procedimento penale e capienza non superiore alle dieci unità, tale da garantire, anche attraverso progetti personalizzati, una conduzione e un clima educativamente significativi”.

(4)Secondo cui: “La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonche’ la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza ovvero, nell’ipotesi di cui alla lettera a), in case famiglia protette, quando trattasi di: a) donna incinta o madre di prole di eta’ inferiore ad anni dieci con lei convivente; b) padre, esercente la potesta’, di prole di eta’ inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; d) persona di eta’ superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente; e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia”.
(5)Alla stregua del quale: “1. Le misure previste dagli articoli 47 e 47-ter possono essere applicate, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, su istanza dell’interessato o del suo difensore, nei confronti di coloro che sono affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale e che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di AIDS. 2. L’istanza di cui al comma 1 deve essere corredata da certificazione del servizio sanitario pubblico competente o del servizio sanitario penitenziario, che attesti la sussistenza delle condizioni di salute ivi indicate e la concreta attuabilità del programma di cura e assistenza, in corso o da effettuare, presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell’assistenza ai casi di AIDS. 3. Le prescrizioni da impartire per l’esecuzione della misura alternativa devono contenere anche quelle relative alle modalità di esecuzione del programma. 4. In caso di applicazione della misura della detenzione domiciliare, i centri di servizio sociale per adulti svolgono l’attività di sostegno e controllo circa l’attuazione del programma. 5. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice può non applicare la misura alternativa qualora l’interessato abbia già fruito di analoga misura e questa sia stata revocata da meno di un anno. 6. Il giudice può revocare la misura alternativa disposta ai sensi del comma 1 qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto a misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, relativamente a fatti commessi successivamente alla concessione del beneficio. 7. Il giudice, quando non applica o quando revoca la misura alternativa per uno dei motivi di cui ai commi 5 e 6, ordina che il soggetto sia detenuto presso un istituto carcerario dotato di reparto attrezzato per la cura e l’assistenza necessarie. 8. Per quanto non diversamente stabilito dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 47-ter. 9. Ai fini del presente articolo non si applica il divieto di concessione dei benefici previsto dall’articolo 4-bis, fermi restando gli accertamenti previsti dai commi 2, 2-bis e 3 dello stesso articolo. 10. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle persone internate”.
(6)Per cui: “1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo, secondo le modalita’ di cui al comma 1-bis. 1-bis. Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis, l’espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, puo’ avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. In caso di impossibilita’ di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa puo’ essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite. 2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale. 3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l’articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale. 4. All’atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale. 5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto. 6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura. 7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre. 8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può: a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5; b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua”.
(7)In virtù del quale: “1. Con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta. 1-bis. Il giudice stabilisce il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. 2. Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono. 3. Se l’imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa. 4. Il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, anche di propria iniziativa, possono controllare in ogni momento l’osservanza delle prescrizioni imposte all’imputato. 5. L’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare. 5-bis. Non possono essere, comunque, concessi gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, salvo che il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con tale misura. A tale fine il giudice assume nelle forme più rapide le relative notizie”.
(8)Secondo cui: “1. Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni. 2. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite. 3. Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale. 4. Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita”.
(9)Ai sensi del quale: “1. Le misure cautelari, le misure penali di comunita’, le altre misure alternative, le sanzioni sostitutive, le pene detentive e le misure di sicurezza si eseguono secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni anche nei confronti di coloro che nel corso dell’esecuzione abbiano compiuto il diciottesimo ma non il venticinquesimo anno di eta’, sempre che, non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice competente, tenuto conto altresi’ delle finalita’ rieducative ovvero quando le predette finalita’ non risultano in alcun modo perseguibili a causa della mancata adesione al trattamento in atto. L’esecuzione rimane affidata al personale dei servizi minorili. 2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche quando l’esecuzione ha inizio dopo il compimento del diciottesimo anno di età”.
(10)Per cui: “1. Sull’istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti, che è comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell’articolo 127 del codice di procedura penale. 2. Il magistrato di sorveglianza decide non prima di quindici giorni dalla richiesta del parere al pubblico ministero e anche in assenza di esso. 3. Avverso l’ordinanza di cui al comma 1 il difensore, l’interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio. 4. Il tribunale di sorveglianza decide ai sensi dell’articolo 678 del codice di procedura penale. Si applicano le disposizioni del quinto e del sesto comma dell’articolo 30-bis”.
(11)Secondo il quale: “1. Se sopravvengono nuovi titoli di esecuzione di pena detentiva, il magistrato di sorveglianza, comunque informato, provvede a norma dell’art. 51- bis della legge. Il provvedimento di prosecuzione provvisoria, che contiene la indicazione dei dati indicati nella lettera a ) del comma 4 dell’art. 96, se già disponibili, è comunicato al centro servizio sociale che segue l’affidamento. Il provvedimento di sospensione provvisoria, oltre agli stessi dati suindicati, relativi alla nuova pena da eseguire, contiene l’ordine agli organi di polizia di provvedere all’accompagnamento dell’affidato nell’istituto penitenziario più vicino o in quello che, comunque, sarà indicato nel provvedimento stesso, che è direttamente ed immediatamente eseguibile. 2. Il magistrato di sorveglianza, in entrambi i casi, trasmette gli atti e il provvedimento adottato al tribunale di sorveglianza per i definitivi provvedimenti dello stesso. Il provvedimento, adottato in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza, conserva i suoi effetti fino alla decisione definitiva del tribunale di sorveglianza se questo esamina il caso in udienza entro il termine stabilito dall’art. 51- bis della legge, anche se la decisione intervenga in una udienza successiva, ove occorrano ulteriori accertamenti. 3. Se il tribunale di sorveglianza estende l’affidamento in prova alla nuova pena da eseguire, nella ordinanza vengono annotati i dati di cui alle lettere a) e b) del comma 4 dell’art. 96. L’ordinanza è notificata e comunicata, come previsto dal comma 1 dell’art. 97, in quanto applicabile. L’organo del pubblico ministero, competente, ai sensi del comma 2 dell’art. 663 del codice di procedura penale, emette provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, indicando la nuova data di conclusione della esecuzione del periodo di prova, dandone notifica all’interessato e comunicazione agli uffici competenti. Il direttore del centro di servizio sociale che segue la prova, o suo sostituto, redige apposito verbale con cui l’affidato si impegna al rispetto delle prescrizioni precedentemente determinate anche per il periodo di prosecuzione della misura alternativa, dandone comunicazione al tribunale di sorveglianza e all’ufficio di sorveglianza. 4. Se il tribunale di sorveglianza, invece, prende atto del venire meno delle condizioni di ammissibilità alla misura alternativa, ne dichiara la inefficacia e dispone che la esecuzione della pena complessiva prosegua in regime detentivo. Nella ordinanza si menzionano i dati essenziali della pena stessa, come indicati alle lettere a ) e b ) del comma 4 dell’art. 96, specificando la pena residua ancora da espiare e deducendo il periodo di esecuzione della pena in regime di affidamento in prova, che resta utilmente espiato. L’ordinanza è comunicata e notificata, come previsto dal comma 1 dell’art. 97. L’organo del pubblico ministero competente, ai sensi del comma 2 dell’art. 663 del codice di procedura penale, provvede come indicato al comma 3 del presente articolo. 5. Qualora il magistrato di sorveglianza ritenga, direttamente o in base ad informazioni acquisite, che si debba verificare se ricorrono le condizioni per la revoca dell’affidamento in prova, investe il tribunale di sorveglianza della decisione. Se lo ritiene necessario, provvede anche alla sospensione provvisoria della misura alternativa, ai sensi dell’art. 51- ter della legge, indicando l’organo di polizia competente al riaccompagnamento in istituto, al quale viene direttamente trasmessa copia del provvedimento per la esecuzione. 6. Al tribunale di sorveglianza sono trasmessi gli atti e, se emesso, anche il provvedimento di sospensione provvisoria della misura alternativa. 7. Il tribunale di sorveglianza adotta la decisione definitiva, previ ulteriori accertamenti, se li ritenga necessari. Se il tribunale di sorveglianza revoca la misura alternativa, nella ordinanza vengono annotati i dati di cui alle lettere a ) e b ), del comma 4 dell’art. 96 e determinata la pena detentiva residua da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il periodo trascorso in affidamento in prova. Nel caso in cui vi sia stata sospensione della esecuzione della misura alternativa e riaccompagnamento in carcere, la data di questo viene indicata come data di decorrenza della pena detentiva residua da espiare. L’ordinanza è comunicata e notificata come previsto dal comma 1 dell’art. 97, in quanto applicabile. L’organo del pubblico ministero competente alla esecuzione della pena emette nuovo ordine di esecuzione della stessa; si applica l’ultima parte del comma 3 dell’art. 97. 8. Nel caso di annullamento da parte della Corte di cassazione della ordinanza di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, cessa la esecuzione della misura alternativa. La sentenza di annullamento deve essere comunicata al pubblico ministero competente alla esecuzione. Il pubblico ministero, quando debba emettere nuovo ordine di esecuzione della pena detentiva, deduce il periodo di esecuzione della stessa in regime di affidamento in prova, che resta utilmente espiato”.
(12)Per cui: “1. Se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, l’interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con un’azienda unità sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116. L’affidamento in prova in casi particolari può essere concesso solo quando deve essere espiata una pena detentiva, anche residua e congiunta a pena pecuniaria, non superiore a sei anni od a quattro anni se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. Alla domanda è allegata, a pena di inammissibilità, certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata per l’attività di diagnosi prevista dal comma 2, lettera d), dell’articolo 116 attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l’andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità, ai fini del recupero del condannato. Affinché il trattamento sia eseguito a carico del Servizio sanitario nazionale, la struttura interessata deve essere in possesso dell’accreditamento istituzionale di cui all’articolo 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, ed aver stipulato gli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies del citato decreto legislativo. 2. Se l’ordine di carcerazione è stato eseguito, la domanda è presentata al magistrato di sorveglianza il quale, se l’istanza è ammissibile, se sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda ed al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, qualora non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza del pericolo di fuga, può disporre l’applicazione provvisoria della misura alternativa. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al comma 4. Sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il magistrato di sorveglianza è competente all’adozione degli ulteriori provvedimenti di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. 3. Ai fini della decisione, il tribunale di sorveglianza può anche acquisire copia degli atti del procedimento e disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico concordato; deve altresì accertare che lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza o l’esecuzione del programma di recupero non siano preordinati al conseguimento del beneficio. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 92, commi 1 e 3. 4. Il tribunale accoglie l’istanza se ritiene che il programma di recupero, anche attraverso le altre prescrizioni di cui all’articolo 47, comma 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, contribuisce al recupero del condannato ed assicura la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. Se il tribunale di sorveglianza dispone l’affidamento, tra le prescrizioni impartite devono essere comprese quelle che determinano le modalità di esecuzione del programma. Sono altresí stabilite le prescrizioni e le forme di controllo per accertare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente inizi immediatamente o prosegua il programma di recupero. L’esecuzione della pena si considera iniziata dalla data del verbale di affidamento, tuttavia qualora il programma terapeutico al momento della decisione risulti già positivamente in corso, il tribunale, tenuto conto della durata delle limitazioni alle quali l’interessato si è spontaneamente sottoposto e del suo comportamento, può determinare una diversa, più favorevole data di decorrenza dell’esecuzione. 6. Si applica, per quanto non diversamente stabilito, la disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dalla legge 10 giugno 1986, n. 663. 6-bis. Qualora nel corso dell’affidamento disposto ai sensi del presente articolo l’interessato abbia positivamente terminato la parte terapeutica del programma, il magistrato di sorveglianza, previa rideterminazione delle prescrizioni, può disporne la prosecuzione ai fini del reinserimento sociale anche qualora la pena residua superi quella prevista per l’affidamento ordinario di cui all’articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354. 6-ter. Il responsabile della struttura presso cui si svolge il programma terapeutico di recupero e socio-riabilitativo è tenuto a segnalare all’autorità giudiziaria le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma. Qualora tali violazioni integrino un reato, in caso di omissione, l’autorità giudiziaria ne dà comunicazione alle autorità competenti per la sospensione o revoca dell’autorizzazione di cui all’articolo 116 e dell’accreditamento di cui all’articolo 117, ferma restando l’adozione di misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento presso la struttura”.
(13)In virtù del quale: “Salvo quanto previsto dal comma 2, il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere depositate memorie in cancelleria”.
(14)Secondo cui: “Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio”.
(15)Alla stregua del quale: “1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all’esterno in condizioni idonee a garantire l’attuazione positiva degli scopi previsti dall’art. 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1quater , l’assegnazione al lavoro all’esterno può essere diposta dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all’ergastolo l’assegnazione può avvenire dopo l’espiazione di almeno dieci anni. 2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all’esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all’esterno previa autorizzazione della competente autorita’ giudiziaria. 3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell’istituto a cui il detenuto o l’internato e’ assegnato, la quale puo’ avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale. 4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno diviene esecutivo dopo l’approvazione del magistrato di sorveglianza. 4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione di cui al secondo periodo del comma 13 dell’articolo 20 si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale all’esterno degli istituti penitenziari. 4-ter. I detenuti e gli internati possono essere [inoltre] assegnati a prestare la propria attivita’ a titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi. L’attivita’ e’ in ogni caso svolta con modalita’ che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei detenuti e degli internati. Sono esclusi dalle previsioni del presente comma i detenuti e gli internati per il delitto di cui all’articolo 416-bis del codice penale e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste. Si applicano, in quanto compatibili, le modalita’ previste nell’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274”.
(16)Per cui: “1. Le sanzioni disciplinari sono inflitte ai detenuti e agli internati che si siano resi responsabili di: 1) negligenza nella pulizia e nell’ordine della persona o della camera; 2) abbandono ingiustificato del posto assegnato; 3) volontario inadempimento di obblighi lavorativi; 4) atteggiamenti e comportamenti molesti nei confronti della comunità; 5) giochi o altre attività non consentite dal regolamento interno; 6) simulazione di malattia; 7) traffico di beni di cui è consentito il possesso; 8) possesso o traffico di oggetti non consentiti o di denaro; 9) comunicazioni fraudolente con l’esterno o all’interno, nei casi indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma dell’art. 33 della legge; 10) atti osceni o contrari alla pubblica decenza; 11) intimidazione di compagni o sopraffazioni nei confronti dei medesimi; 12) falsificazione di documenti provenienti dall’amministrazione affidati alla custodia del detenuto o dell’internato; 13) appropriazione o danneggiamento di beni dell’amministrazione; 14) possesso o traffico di strumenti atti ad offendere; 15) atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell’istituto per ragioni del loro ufficio o per visita; 16) inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo nell’esecuzione di essi; 17) ritardi ingiustificati nel rientro previsti dagli articoli 30, 30- ter , 51, 52 e 53 della legge; 18) partecipazione a disordini o a sommosse; 19) promozione di disordini o di sommosse; 20) evasione; 21) fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori. 2. Le sanzioni disciplinari sono inflitte anche nell’ipotesi di tentativo delle infrazioni sopra elencate. 3. La sanzione dell’esclusione dalle attività in comune non può essere inflitta per le infrazioni previste nei numeri da 1) a 8) del comma 1, salvo che l’infrazione sia stata commessa nel termine di tre mesi dalla commissione di una precedente infrazione della stessa natura. 4. Delle sanzioni inflitte all’imputato è data notizia all’autorità giudiziaria che procede”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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