La tutela aquiliana degli interessi legittimi; in particolare, gli interessi pretensivi.

Redazione 08/12/00
di Claudia Mazzone

In presenza di un atto amministrativo illegittimo della P.A., che sia stato posto in essere con dolo o colpa e che abbia causato un danno ingiusto- diretta conseguenza del provvedimento- il suo destinatario ha titolo al risarcimento dei danni; anche se titolare non di un diritto soggettivo, ma di un interesse giuridicamente rilevante.
Così recita la massima della sentenza delle Sezioni Unite civili della Cassazione n.500/99, la quale costituisce un’importante svolta nella controversa questione relativa alla risarcibilità degli interessi legittimi.
Questione della quale appare opportuno tracciare l’excursus storico- normativo.
Preliminarmente si può far notare che, in un ordinamento che attribuisce alla pubblica amministrazione speciali poteri di supremazia sui propri amministrati, l’interesse legittimo costituisce l’affermazione delle garanzie che, a fronte dell’esercizio dei suddetti poteri, sono riconosciute ai singoli.
In ciò la sua presenza caratterizza i sistemi”a diritto amministrativo”differenziandoli dallo Stato assoluto, nel quale i poteri autoritativi del sovrano e dei suoi funzionari non incontravano alcun limite.
Tuttavia, per molto tempo, il nostro ordinamento ha adottato una concezione meramente processuale dell’interesse legittimo quale avente ad oggetto esclusivamente la legalità dell’azione amministrativa.
Ciò in quanto non era immaginabile che, sul bene oggetto di un provvedimento autoritativo, potessero incidere altri interessi giuridicamente rilevanti; all’infuori dell’interesse pubblico.
Non è un caso, pertanto, se in tale fase non era riscontrabile una nozione ad hoc di interesse legittimo; tanto vero che quest’ultimo veniva configurato con il nomen di diritto affievolito, o di diritto in attesa di espansione; con ciò intendendo far rilevare che la sola posizione giuridica cui veniva riconosciuta una natura sostanziale era rappresentata dal diritto soggettivo.
Ben presto, però, la dottrina si è resa conto che l’interesse legittimo non poteva più essere inteso in un’accezione puramente processuale e che il medesimo non costituiva un minus rispetto al diritto soggettivo; poiché ad entrambi doveva essere attribuita natura sostanziale.
Di qui, la configurazione dell’interesse legittimo quale posizione di vantaggio riservata ad un individuo in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo.
Orbene, nella suddetta prospettiva, la legalità dell’azione amministrativa rappresenta un mezzo per realizzare l’interesse al bene medesimo; il quale può consistere nella conservazione di un diritto soggettivo preesistente ,ovvero nella costituzione di un diritto soggettivo.
Ne consegue altresì la diversa classificazione degli interessi legittimi nella cui denominazione scompare qualsiasi rinvio al concetto di diritto soggettivo.
Infatti vengono elaborate le nozioni di interessi oppositivi ,diretti alla conservazione di un diritto precedente; di interessi pretensivi finalizzati alla costituzione di un diritto.
Siffatta nozione rappresenta la prima apertura concettuale di rilievo sulla via della risarcibilità degli interessi legittimi; in tal senso, infatti, vanno intese le prime aperture della Giurisprudenza- fino ad allora restia, nonostante la diversa opinione della quasi univoca dottrina- in tema di risarcibilità degli interessi oppositivi.
Senonchè, a ben vedere, nei suddetti casi ciò che si va a risarcire è il diritto soggettivo degradato in forza dell’intervento di un atto amministrativo autoritativo; ma che si riespande retroattivamente( come se non fosse mai stato inciso).
Ciò, ad esempio, ricorre nel caso del proprietario di un terreno espropriato sulla base di un decreto di esproprio illegittimo, in quanto emanato in assenza della dichiarazione di pubblica utilità; dove ciò che viene leso e quindi risarcito è il diritto di proprietà di cui il privato è già titolare.
La Giurisprudenza, invece, ha sempre escluso dalla tutela piena, di annullamento in sede amministrativa e risarcitoria in sede ordinaria, gli interessi legittimi pretensivi la cui lesione è configurabile in caso di illegittimo diniego di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato.
In tal caso, la posizione giuridica sostanziale non preesiste all’atto,bensì sorge in seguito all’emanazione del medesimo.
Pertanto, appare evidente che, non essendovi in tal caso alcuna correlazione con una preesistente posizione soggettiva sostanziale; tutta la tematica fin qui delineata deve essere interpretata,in sostanza, nella prospettiva di consentire l’accesso alla tutela risarcitoria, agli interessi da ultimo citati.
In tal senso appare decisiva l’interpretazione del concetto di danno ingiusto di cui all’ art.2043 c.c.; poiché è su tale piano che si è concretizzata la svolta giurisprudenziale introdotta dalla sentenza 500/99.
Su tale punto, le Sezioni Unite rilevano come fosse stata la stessa giurisprudenza della Cassazione ad ampliare progressivamente la nozione di danno risarcibile ex art.2043 c.c.; ponendo le premesse ai fini della consacrazione della risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi.
Basti ricordare la famosa sentenza relativa al caso “Meroni”con cui la giurisprudenza ha aperto la strada alla tutela aquiliana del credito; il riconoscimento della risarcibilità delle aspettative di fatto e di diritto (es. l’aspettativa di diventare proprietario di un bene che si è posseduto ad usucapionem); dei diritti fondamentali; del danno biologico.
Ma, senza dubbio, la fattispecie che, meglio delle altre, ha spianato la strada alla sentenza in oggetto è quella relativa alla tutela aquiliana delle chances; cioè di aspettative meramente economiche.
In relazione a quest’ultima, infatti, non essendovi un rapporto diretto tra la lesione e la situazione giuridica soggettiva, si è affermata la tesi del cosiddetto “diritto all’integrità patrimoniale”.
La suddetta formula merita di essere ricordata, poiché ha assunto un notevole valore ideologico e sistematico; posto che viene ad assumere rilevanza non tanto il danno giuridico connesso alla lesione della situazione soggettiva; quanto, piuttosto, il danno economico e la conseguente necessità di ripristinare l’equilibrio violato.
Siffatte aperture giurisprudenziali hanno condotto, da ultimo, alla più volte citata sentenza 500/99 con la quale la Suprema Corte si è spinta oltre, pervenendo all’ affermazione della risarcibilità degli interessi pretensivi ai sensi dell’art.2043 c.c.; sovvertendo l’ormai anacronistico dogma della irrisarcibilità da essa stessa strenuamente difeso a lungo, in aperto contrasto con la dottrina.
Fondamentale, a tale riguardo, risulta, come si è in precedenza affermato, la nozione di “danno ingiusto”che le Sezioni Unite fanno propria.
Di contro all’opinione tradizionale secondo la quale la tutela aquiliana postula che il danno arrecato sia, al contempo, contra ius, cioè lesivo di un diritto soggettivo e non iure, cioè non giustificato da alcuna norma; le Sezioni Unite rilevano come, in realtà, ciò che conta,al fine di affermare la responsabilità ex art.2043 c.c., è che il danno sia lesivo di un interesse giuridicamente rilevante.
Viene così a perdere importanza la qualificazione della posizione giuridica vantata; pertanto non appare più sostenibile la tesi in base alla quale per danno risarcibile, nei termini della presente trattazione, bisogna intendere soltanto quello derivante dalla lesione di una posizione giuridica assoluta, di carattere patrimoniale (cioè i diritti reali), come ha del resto confermato la Giurisprudenza nel corso dell’evoluzione di cui si è discusso.
La difficoltà dell’interprete, allora, si sposta sul piano dell’individuazione degli interessi meritevoli di tutela, la cui lesione, a causa di un danno giusto, importa il diritto al risarcimento ai sensi dell’art.2043 c.c.
E’cioè compito del giudice riconoscere se, in base al diritto positivo, si è in presenza di un interesse rilevante per l’ordinamento; ovvero di una mera aspettativa.
Nella prospettiva sopra delineata, la lesione di un interesse legittimo rientra a pieno titolo nell’ambito della fattispecie della responsabilità aquiliana, ai fini della qualificazione del danno come ingiusto; con ciò segnando il definitivo superamento del dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi pretensivi, legato ad un’oramai anacronistica lettura dell’art.2043 c.c.
La sentenza in esame si preoccupa altresì di delineare le condizioni in presenza delle quali la lesione di un interesse pretensivo può legittimare l’individuo danneggiato dal provvedimento illegittimo della P.A. ad usufruire della tutela aquiliana.
In primo luogo occorre accertare l’elemento soggettivo, che deve consistere in un comportamento doloso, o colposo dei pubblici poteri; in secondo luogo è richiesta la sussistenza del nesso di causalità tra l’atto amministrativo e la lesione dell’interesse pretensivo.
A tal fine occorre effettuare un giudizio prognostico diretto ad accertare che un provvedimento amministrativo emanato in conformità della legge, avrebbe consentito l’espansione della posizione giuridica soggettiva dell’individuo interessato.
Orbene, qualora sussistano le suddette condizioni, proseguendo nell’iter argomentativo portato avanti dalla Corte, si deve ritenere che il giudice ordinario possa incidentalmente conoscere della legittimità dell’atto amministrativo, ai fini della qualificazione del danno come ingiusto; per cui non sussisterebbe la pregiudizialità.
Ciò, ovviamente, può fare insorgere problemi dovuti ad un eventuale contrasto di pronunce giurisdizionali; nel caso in cui, ad esempio, il g.o. accerti il diritto al risarcimento del danno ed il g.a. accerti la legittimità del medesimo provvedimento che si reputi lesivo di un interesse meritevole di tutela.
Ci si domanda, inoltre, cosa possa accadere ove l’atto amministrativo, asseritamente lesivo di un’interesse legittimo, non venga impugnato nei termini di decadenza, con conseguente consolidamento dei suoi effetti; e venga successivamente esperita l’azione per il risarcimento del danno, con annessa la richiesta al g.o. di accertare direttamente l’illegittimità di quel medesimo provvedimento.
In effetti, come affermano le stesse Sezioni Unite, la questione è estremamente complessa e necessita di ulteriori approfondimenti; per cui appare prematuro volerne trarre già delle conclusioni.
La verità è che, ormai, il sistema della giustizia amministrativa esige, per poter funzionare correttamente, che il riparto delle competenze tra giudice ordinario ed amministrativo venga effettuato per blocchi di materie; in modo tale da concentrare in un solo giudice tutte le questioni attinenti ad una determinata materia, cercando così di scongiurare i rischi di cui sopra.
Ovviamente una siffatta operazione dovrebbe prendere l’avvio dalla modifica dell’art.113 Cost. che ha consacrato il giudice ordinario a tutela dei diritti soggettivi ed il giudice amministrativo a tutela degli interessi legittimi.
A dire il vero un tentativo in tale direzione è stato portato avanti dalla Commissione Bicamerale nel progetto di legge da questa presentato, artt.4 e 5; ma, come è noto, la Bicamerale è fallita.
Allora, la maggioranza ha cercato, mediante legge ordinaria, di realizzare quello che si sarebbe dovuto attuare con una legge costituzionale .
Da ultimo va annoverata, in tal senso, la L.205/2000 con la quale si è inteso cambiare radicalmente il volto alla giustizia amministrativa; a tal punto da configurare un processo ispirato sempre più a quello civile, a maggiore tutela dei diritti soggettivi.

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