SOMMARIO: 1. Generalità . 2. Natura dell’assegno. 3. Presupposti del diritto. Stato di bisogno. 4. Quantificazione dell’assegno. 5. Soggetti obbligati.
1. Generalità
Il divorzio fa venir meno lo status di coniuge, cessando conseguentemente tutti i diritti che la legge riconnette allo stesso. Il divorziato quindi non è erede, né partecipa alla chiamata ereditaria, se non in forza di un diritto autonomo derivante dal testamento.
L’unico modo che ha il divorziato di partecipare alla successione, in relazione alla pregressa qualità di coniuge è quello indicato dall’ art. 9 bis della legge n. 898 sul divorzio (introdotto nel testo originario dalla legge n. 436 del 1/8/78 e non modificato dalla novella del 1987), che prevede che il beneficiario di somme periodiche di denaro corrisposte a norma dell’ art. 5 della l. 898 citata, possa ricevere, in caso di morte dell’obbligato, qualora versi in stato di bisogno, un assegno a carico dell’eredità.
Trattasi di un diritto nuovo ed autonomo che si giustifica a motivo della cessata corresponsione dell’assegno di divorzio per morte dell’obbligato, permanendo lo stato di bisogno del percettore, diritto che nasce sulla base di presupposti e condizioni diverse da quelle su cui si fonda l’assegno divorzile. Si pensi ad esempio che esso va corrisposto in relazione alle sostanze ereditarie, mentre per la concessione dell’assegno post-matrimoniale occorre prendere in considerazione i redditi dell’obbligato.
Non si attua quindi alcun trasferimento a carico degli eredi dell’obbligo imposto al de cuius di corrispondere l’assegno all’ex coniuge, stante il carattere strettamente personale dell’obbligazione stessa, che si estingue con la morte del debitore.
I pochi precedenti giurisprudenziali sull’argomento ( Cass. 17 giugno 1992, n. 8687, in Foro it. 1993, I, 790; Cass. 14 novembre 1981, n. 6045, in Giust. Civ. 1982,I,412; Trib. Pavia 13 maggio 1993, in Giust. Civ. 1993, I, 3111; C. App. Milano 28 marzo 1988, in Riv. dir. proc. 1990, 332 ) provano la scarsa attuazione pratica dell’istituto.
2. Natura dell’assegno.
Non vi è accordo in dottrina sulla qualificazione giuridica dell’assegno di cui si tratta e la diversità di opinioni influisce concretamente sull’interpretazione della norma e sulla sua portata.
Alcuni considerano l’assegno a carico dell’eredità un diritto di natura successoria, qualificando lo stesso come legato ex lege ( in tal senso, CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, Trattato Rescigno, 1982, 427; MEZZANOTTE, La successione anomala del coniuge, 1989, 101; BRUSCAGLIA-GIUSTI, Commentario alla riforma del divorzio, 1987, 127; PALAZZO, Le successioni, 2000, 467 ), altri ritengono il medesimo un diritto di credito a carico dei beneficiari dell’eredità (Cfr. BARBIERA, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, Commentario Scialoja-Branca, sub art. 9 bis, 1979, 415; DOGLIOTTI, Separazione e divorzio, 1988, 268).
La prima opinione ci sembra preferibile alla luce del contesto dell’art. 9 bis . Diversi infatti sono gli indici normativi tipici delle attribuzioni mortis causa: l’assegno è posto a carico dell’eredità, il suo ammontare è correlato all’entità delle sostanze ereditarie , la sua determinazione va fatta in relazione al numero ed alla qualità degli eredi.
La natura successoria dell’assegno importa che lo stesso sarà dovuto, ove sussisteva lo stato di bisogno, dal momento di apertura della successione. La sentenza che accerta il diritto assume quindi natura dichiarativa, producendo effetti ex tunc.
Chi attribuisce all’assegno natura di diritto di credito, fonda tra l’altro la sua opinione sulla stessa lettera dell’art. 9 bis , quando si afferma che -” il tribunale (…) può attribuire un assegno periodico a carico dell’eredità….” – . La norma conferirebbe al giudice il potere discrezionale di valutare se concedere o meno l’assegno e conseguentemente, la sentenza che riconosce il diritto avrebbe effetto costitutivo.
La locuzione “stato di bisogno”, contenuta nell’art. 9 bis depone poi per la funzione alimentare del diritto ( Cfr. M. FINOCCHIARO, in A. e M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, vol. 3, Il divorzio, 1988, 645).
Dalla natura alimentare dell’assegno, derivano alcune conseguenze, quali l’indisponibilità dello stesso (art. 447 c.c.) e la sua imprescrittibilità; la possibilità della corresponsione dell’ammontare in periodi anticipati (art. 443), senza tuttavia la facoltà di scelta del modo di somministrazione prevista dall’articolo medesimo; ed infine la possibilità di chiederne la rivalutazione.
3. Presupposti del diritto. Stato di bisogno.
Affinché possa procedersi all’attribuzione al coniuge superstite dell’assegno di cui si tratta, la norme in commento richiede alcuni requisiti.
E’ necessario anzitutto che a costui sia stato riconosciuto il diritto all’ assegno post-matrimoniale, semprechè gli obblighi patrimoniali derivanti dal divorzio non siano stati adempiuti in un’unica soluzione, costituendo la stessa una datio in solutum che fa venir meno il diritto. Il coniuge divorziato deve essere già titolare dell’assegno o deve aver proposto azione al fine di conseguirlo, vista la possibilità di richiederlo anche successivamente alla sentenza di divorzio.
L’assegno non è dovuto se l’ex coniuge superstite è passato a nuove nozze, come analogamente il nuovo matrimonio fa perdere all’ ex coniuge l’assegno di divorzio ( vale il principio in tema di divorzio per cui un soggetto non può cumulare benefici riconducibili a differenti matrimoni ).
Ulteriore requisito richiesto è che il beneficiario versi in stato di bisogno.
Come è stato osservato, lo stato di bisogno pur non coincidendo con la povertà assoluta ovvero nella impossibilità di sopravvivenza, “configura una situazione peggiore rispetto alla carenza di mezzi adeguati, vale a dire alla mancanza di disponibilità idonee alla tendenziale conservazione del precorso tenore di vita (mancanza rilevante per il riconoscimento dell’assegno di divorzio), in quanto discende dall’insufficienza delle risorse economiche della persona in rapporto ai suoi bisogni, cioè alle sue essenziali e primarie esigenze esistenziali, che non possono rimanere insoddisfatte se non a costo di deterioramento fisico e psichico” ( Così Cass. 17 giugno 1992, cit., per una valutazione meno rigorosa dello stato di bisogno, cfr. Trib. Pavia 13 maggio 1993, cit, che ritiene la sua sussistenza anche quando l’ex coniuge può far fronte solo temporaneamente alle proprie esigenze di vita, alienando beni mobili di valore, quali gioielli, tappeti, argenteria ; v. anche BARBIERA, cit. 420, per il quale il giudice deve valutare con cautela lo stato di bisogno, senza esigere uno stretto stato di necessità ).
Sarà onere dell’interessato dimostrare l’esistenza dello stato di bisogno che giustifica il beneficio.
La corresponsione dell’assegno è legata al perdurare dello stato di bisogno, per cui il diritto si estingue alla cessazione di tale condizione, ma sorge nuovamente con il ripresentarsi della stessa.
4. Quantificazione dell’assegno.
I criteri per la determinazione dell’assegno sono direttamente indicati nel testo dell’art. 9bis ed individuati nell’ammontare dell’assegno di divorzio, nell’entità del bisogno e nella misura dell’eventuale attribuzione della pensione di reversibilità, nonché nel numero, qualità, condizioni economiche degli eredi e nell’ammontare delle sostanze ereditarie.
Quando al coniuge divorziato viene contestualmente attribuita parte della pensione di reversibilità occorre tenere in debita considerazione il quantum della stessa, per il necessario riscontro, considerate altre eventuali disponibilità, della sussistenza e della misura dello stato di bisogno ( Cass. 17 giugno 1992, cit. ).
Previo accordo delle parti, la corresponsione dell’emolumento potrebbe avvenire in un’unica soluzione, con il conseguente venir meno di qualsiasi pretesa futura.
Dato che l’assegno deve considerarsi un onere a carico dei beneficiari dell’eredità, in nessun caso il suo ammontare può essere superiore al valore delle sostanze relitte e così, in caso di eredità passiva, nulla sarà dovuto.
5. Soggetti obbligati.
Problema aperto se tenuti al pagamento dell’assegno siano i soli eredi, sia legittimi che testamentari o l’obbligo si estenda anche ai legatari e donatari.
Stante la lettera della norma (che parla di “sostanze ereditarie” e fa riferimento al numero ed alla qualità degli”eredi”), sembra preferibile la prima opinione ( v. MENGONI, Successioni per causa di morte, Successione legittima, 1999, 204 ) , considerato che, per l’art. 662 c.c., alla prestazione del legato sono tenuti gli eredi, se non è disposto in modo diverso; così anche quando il legislatore intende far riferimento alla massa di beni comprensivi del donatum non usa l’espressione “sostanze ereditarie”, ma quella di “patrimonio” ( contra AULETTA, Il diritto di famiglia, 1997, 289, che considera l’ex coniuge un legittimario, la cui posizione sarebbe poco tutelata se collegata soltanto all’entità del relictum, perché mediante donazioni il de cuius potrebbe pregiudicarla o vanificarla del tutto; nello stesso senso CATTANEO, cit., 426, FINOCCHIARO M., cit., 650 ).
I legatari che non sono quindi obbligati nei confronti dell’ex coniuge, saranno responsabili unicamente nei rapporti interni con gli eredi. Gli eredi necessari sono tenuti nel limite della porzione disponibile ( MENGONI, cit., 205 ).
La corresponsione dell’assegno avverrà in proporzione alle rispettive quote ereditarie. E’ da ritenersi che l’assegno sia intrasmissibile non solo dal lato attivo, ma anche da quello passivo, per cui nel caso di morte di un coobbligato il debito non si trasferirà agli eredi dell’erede medesimo ( contra M. FINOCCHIARO, cit., 659, che considera l’obbligo di corrispondere l’assegno una singolare obbligazione propter rem, trasmissibile ai successori ). In analogia di quanto dispone la normativa in caso di morte di un obbligato alla corresponsione degli alimenti, il divorziato avrà la possibilità di adire l’autorità giudiziaria al fine di conseguire un incremento della quota a carico dei restanti obbligati.
Non è da ritenersi configurabile un litisconsorzio necessario fra i soggetti tenuti alla corresponsione dell’assegno, tuttavia il giudice potrà chiamare in causa coloro che non sono stati convenuti, accollando a questi la parte di spettanza.
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