Pluralismo informativo e conformità dell’ordinamento interno radiotelevisivo ai principi eurounitari

Nel campo delle tutele del pluralismo informativo, ruolo centrale è rivestito dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (CEDU), che sancisce il principio della libertà di espressione, statuendo che “1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinionebti e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione. L’esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere subordinato a determinate condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge, quali misure necessarie in una società democratica, a fini di sicurezza nazionale, integrità territoriale, ordine pubblico, prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale, ovvero della reputazione o dei diritti altrui, nonché per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’imparzialità del potere giudiziario”.

La Corte di Strasburgo, nel corso degli anni, ha interpretato in senso ampio i principi sopra enunciati, rimarcando “l’importanza del diritto di ognuno a ricevere un’informazione il più possibile pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti”.

Il diritto all’informazione

Nella sentenza Information-sverein Lentia c. Austria del 24 novembre 1993 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ribadito che la tutela del diritto all’informazione può essere garantita dagli Stati membri, esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è “ultimate guarantor” dovendo aversi riguardo a distinguere, nell’ambito del principio pluralistico il “pluralismo interno” dal “pluralismo esterno”; il primo inteso quale complesso di obblighi volti a garantire l’accesso alle reti, il secondo volto a garantire la presenza di una pluralità di operatori sul mercato.
Secondo la CEDU, il principio del pluralismo assume un particolare significato in relazione all’attività delle imprese radiotelevisive, considerata l’ampia diffusione dei loro programmi (sentenze Jersild del 23 settembre 1994 e Piermont del 27 aprile 1995).
Nell’ordinamento dell’Unione Europea la nozione di pluralismo non solo è presente nelle fonti del diritto, in quanto tradizione costituzionale comune degli Stati membri, ma è espressamente richiamato dall’art. 11, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che dedica attenzione specifica al rispetto della libertà dei media.
L’articolo 11, tra l’altro, è esplicitamente richiamato nel preambolo della Direttiva 2010/13/UE sui Servizi di media audiovisivi (16° considerando) secondo cui “La presente direttiva rafforza il rispetto dei diritti fondamentali ed è pienamente conforme ai principi riconosciuti dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare l’articolo 11. A questo riguardo, la presente direttiva non dovrebbe impedire in alcun modo agli Stati membri di applicare le rispettive norme costituzionali in materia di libertà di stampa e di libertà di espressione nei mezzi di comunicazione”.
In ambito comunitario è utile richiamare le quattro direttive adottate dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea il 7 marzo 2002, in materia di:
istituzione di un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva 2002/21/CE c.d. direttiva quadro);
autorizzazione per le reti e servizi di comunicazioni elettronica (direttiva autorizzazioni 2002/20/CE c.d. direttive autorizzazioni);
accesso alle reti di interconnessione alle reti di comunicazione elettronica ed alle risorse correlate, nonché interconnessione delle medesime (direttiva 2002/19/CE, c.d. direttiva accesso);
servizio universale ed diritti degli utenti in materia di reti e di comunicazione elettronica (direttiva 2002/22/CE, c.d. direttiva servizio universale).
Sul piano dell’ordinamento interno, l’art. 21 della Costituzione, pur fissando principi di dettaglio a garanzia della libertà di espressione, nulla dispone in tema di mezzi di comunicazione di massa.
3.1. La giurisprudenza costituzionale, in attuazione dei principi scolpiti nell’art. 21 della Carta Costituzionale, con riferimento all’esercizio dell’attività radiotelevisiva, ha formulato il principio del pluralismo nella duplice articolazione di pluralismo interno ed esterno.
3.2. In tal senso la nozione di pluralismo interno ha inteso riferirsi all’apertura del mezzo informativo alle diverse tendenze politiche e culturali presenti nel Paese (dunque correlandosi principalmente al servizio pubblico), mentre il pluralismo esterno si è assestato come concetto che va oltre il contenuto del messaggio trasmesso, postulando la necessità di garantire una pluralità di voci in tutti i media con lo scopo di prevenire che la preminenza di una singola impresa possa trasfondersi in una compressione dell’attività degli altri operatori e riduzione dell’esercizio delle rispettive libertà.

TUSMAR

Nell’ambito del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di cui al d.lgs. 31.7.2005, n. 177 (anche TUSMAR) il principio pluralistico è stato recepito, sia nella sua accezione interna dall’art. 45, sia in quella esterna dagli artt. 3 e 5, che prevedono rispettivamente, da un lato, la libertà e il pluralismo nei mezzi di comunicazione e, dall’altro, il divieto di costituire o mantenere posizioni che ledano gli anzidetti principi. A tal fine, l’art. 43 del Testo unico rubricato “Posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni” contempla una serie di limiti rivolti ai soggetti operanti nel mercato e, nello stesso tempo, attribuisce all’Autorità rilevanti poteri di regolazione e di vigilanza del rispetto di tali limiti.
Ciò posto, occorre evidenziare che il principio pluralistico, sotteso alla disciplina in esame, deve essere “contestualizzato” e “relativizzato” alla luce della realtà tecnologiche e della consistenza dei mercati in costante e progressiva evoluzione, dovendo tuttavia risolversi nella garanzia del pluralismo interno ed esterno (cfr. ordinanza collegiale del Consiglio di Stato Sez. VI, 19.7.2005, n. 3846).
5.1. Mentre la tendenza della legislazione – fino alla fine degli anni ’90 – dava rilevanza al solo numero dei canali o alla quota di proprietà, attualmente il legislatore nazionale, anche in ragione delle spinte eurounitarie, attribuisce rilevanza a parametri diversi, quali – indicativamente – le risorse controllate da un singolo soggetto, l’audience, i collegamenti tra imprese e i controlli societari.
5.2. Tali presupposti pongono dubbi circa la conformità del quadro normativo vigente (disciplina dettata dall’art. 43 del d.lgs. 177/2005) in rapporto al diritto comunitario, e invero:
con particolare riferimento agli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE (ai quali rinvia l’art. 43, comma 2, del TUSMAR), va premesso che l’art. 15, commi 1 e 2, della direttiva 2002/21/CE dispone che:
“1. Previa consultazione pubblica e consultazione delle autorità nazionali di regolamentazione, la Commissione adotta una raccomandazione avente ad oggetto i mercati rilevanti dei servizi e dei prodotti (in prosieguo «la raccomandazione»). La raccomandazione individua, conformemente all’allegato I, i mercati dei prodotti e dei servizi all’interno del settore delle comunicazioni elettroniche, le cui caratteristiche siano tali da giustificare l’imposizione di obblighi di regolamentazione stabiliti dalle direttive particolari, senza che ciò pregiudichi la individuazione di altri mercati in casi specifici di applicazione delle regole di concorrenza. La Commissione definisce i mercati in base ai principi del diritto della concorrenza. La Commissione riesamina periodicamente la raccomandazione. 2. La Commissione provvede a pubblicare orientamenti per l’analisi del mercato e la valutazione del significativo potere di mercato (in prosieguo «gli orientamenti») conformi ai principi del diritto della concorrenza entro la data di entrata in vigore della presente direttiva”.
L’art. 15, comma 3, della medesima direttiva 2002/21/CE prevede che “le autorità nazionali di regolamentazione, tenendo nel massimo conto la raccomandazione e gli orientamenti (della Commissione di cui ai precedenti commi 1 e 2), definiscono i mercati rilevanti corrispondenti alla situazione nazionale, in particolare mercati geografici rilevanti nel loro territorio, conformemente ai principi del diritto della concorrenza”.
L’art. 16, comma 1, della direttiva citata dispone che “Non appena possibile dopo l’adozione della raccomandazione o dopo ogni suo successivo aggiornamento, le autorità nazionali di regolamentazione effettuano un’analisi dei mercati rilevanti tenendo nel massimo conto gli orientamenti. Gli Stati membri provvedono affinché questa analisi sia effettuata, se del caso, in collaborazione con le autorità nazionali garanti della concorrenza”.
Il successivo comma 2 dispone che “quando l’autorità nazionale di regolamentazione è tenuta, ai sensi degli articoli 16, 17, 18 o 19 della direttiva 2002/22/CE (direttiva servizio universale) o ai sensi degli articoli 7 e 8 della direttiva 2002/19/CE (direttiva accesso), a decidere in merito all’imposizione, al mantenimento alla modifica o alla revoca di obblighi a carico delle imprese, essa determina, in base alla propria analisi di mercato di cui al paragrafo 1 del presente articolo, se uno dei mercati rilevanti sia effettivamente concorrenziale”.
“Se conclude che tale mercato è effettivamente concorrenziale, l’autorità nazionale di regolamentazione non impone né mantiene nessuno degli obblighi di regolamentazione specifici di cui al paragrafo 2. Qualora siano già in applicazione obblighi di regolamentazione settoriali, li revoca per le imprese operanti in tale mercato rilevante. La revoca degli obblighi è comunicata alle parti interessate con un congruo preavviso” (comma 3).
“Qualora accerti che un mercato rilevante non è effettivamente concorrenziale l’autorità nazionale di regolamentazione individua le imprese che dispongono di un significativo potere di mercato conformemente all’articolo 13 e impone a tali imprese gli appropriati specifici obblighi di regolamentazione di cui al paragrafo 2 del presente articolo ovvero mantiene in vigore o modifica tali obblighi laddove già esistano” (comma 4).
b) E’ utile, altresì, richiamare i considerando della direttiva 2002/21/CE che attengono ai temi della tutela della libertà di espressione e del pluralismo nel sistema delle comunicazioni e, in particolare, delle situazioni di acquisizione di una posizione dominante tale da impedire o ostacolare lo svolgimento della libertà d’opinione e della libertà di ricevere o di comunicare informazioni.
Il considerando n. 26 dispone che “si può ritenere che due o più imprese godano congiuntamente di una posizione dominante non soltanto allorché esistono interconnessioni strutturali o di altro tipo tra di loro ma anche allorché la struttura del pertinente mercato è tale da comportare effetti coordinati, vale a dire tale da incoraggiare comportamenti anticoncorrenziali di parallelismo o allineamento sul mercato”.
Il considerando n. 27 conclude che “È essenziale che gli obblighi ex ante vengano imposti esclusivamente quando non esista una concorrenza effettiva, vale a dire sui mercati in cui una o più imprese detengono un significativo potere di mercato e quando i mezzi di tutela apprestati dal diritto nazionale e comunitario della concorrenza non siano sufficienti a risolvere il problema. È pertanto necessario che la Commissione definisca a livello comunitario, in ottemperanza ai principi del diritto della concorrenza, gli orientamenti che le autorità nazionali di regolamentazione dovranno seguire nel valutare se in un determinato mercato esista una concorrenza effettiva e nel valutare se certe imprese esercitano un’influenza significativa. Le autorità nazionali di regolamentazione dovrebbero analizzare se un determinato mercato di prodotti o servizi sia effettivamente concorrenziale in una determinata area geografica, che può essere costituita dalla totalità o da una parte del territorio dello Stato membro interessato ovvero da parti limitrofe dei territori di Stati membri considerate nel loro complesso. In alcuni casi sussiste l’esigenza di dettare obblighi ex ante allo scopo di garantire lo sviluppo di un mercato concorrenziale…”.
c) L’obbligo per gli Stati membri di assicurare pienamente il principio del pluralismo, è stato inoltre ribadito nella direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), che al considerando n. 8 stabilisce che “è essenziale che gli Stati membri vigilino affinché non si commettano atti… tali da favorire la formazione di posizioni dominanti comportanti limitazioni del pluralismo e della libertà dell’informazione televisiva nonché dell’informazione in genere”.
5.3. Ciò posto, si rende necessario valutare l’adeguatezza e la proporzionalità delle restrizioni, imposte dall’ art. 43, comma 11 del TUSMAR, in rapporto ai principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali, riconosciuti dal diritto comunitario, ma da contrapporre ad altrettanto rilevanti e riconosciuti principi, quali la libertà e il pluralismo dell’informazione.
Di qui, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE correlato all’interpretazione degli artt. 2, comma 1, lett. s) e 43, commi 5, 11 e 14 del d.lgs. 31.7.2005, n. 177 in rapporto alla disciplina prevista dagli artt. 14 e 15 della Direttiva 2002/21/CE ed ai principi di massima concorrenza, proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione, libertà di espressione, tutela del pluralismo, libera circolazione dei capitali e libera prestazione dei servizi:
se, pur essendo facoltà degli Stati membri accertare quando le imprese godano di una posizione dominante (con conseguente imposizione alle stesse di specifici obblighi) sia, o meno, contrastante con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio della libertà di circolazione dei capitali di cui all’art. 63 TFUE, la disposizione di cui all’art. 43, comma 11, del d.lgs. 31.7.2005, n. 177, nel testo vigente alla data di adozione della delibera impugnata, secondo cui “le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo”; quanto sopra, nella parte in cui – attraverso il richiamo all’art. 18 del codice delle comunicazioni elettroniche, si limita il settore in questione ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, nonostante il dato di comune esperienza, secondo cui l’informazione (al cui pluralismo la norma è finalizzata) risulta veicolata in misura crescente dall’uso di internet, dei personal computer e della telefonia mobile, tanto da poter rendere irragionevole l’esclusione dal settore stesso, in particolare, dei servizi al dettaglio di telefonia mobile, solo perché operanti in pieno regime di concorrenza. Quanto sopra, tenendo anche conto del fatto che l’Autorità ha delimitato i confini del settore delle comunicazioni elettroniche, ai fini dell’applicazione del citato art. 43, comma 11, proprio in occasione del procedimento in esame, prendendo in considerazione solo i mercati, in ordine ai quali sia stata svolta almeno un’analisi dall’entrata in vigore del CCE, quindi dal 2003 ad oggi e con ricavi, desunti dall’ultimo accertamento utile, effettuato nel 2015;
se i principi in tema di tutela della libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE “servizi di media audiovisivi e radiofonici”, posti a tutela del pluralismo e della liberà di espressione, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici pubblici, come quella italiana, contenuta nell’articolo 43, commi 11 e 14, secondo la quale i ricavi, rilevanti per determinare la seconda soglia di sbarramento del 10%, sono rapportabili anche ad imprese non controllate né soggette ad influenza dominante, ma anche solo “collegate” nei termini di cui all’art. 2359 del codice civile (richiamato dal comma 14 dell’art. 43), pur risultando non esercitabile, nei confronti di queste ultime, alcuna influenza sulle informazioni da diffondere;
se i principi in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE, i principi in materia di tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo di cui alla Direttiva 2010/13/UE sui Servizi di media audiovisivi e alla direttiva 2002/21/CE ostino ad una disciplina nazionale come il d.lgs. 177/2005, che nei commi 9 e 11 dell’art. 43, sottopone a soglie di sbarramento molto diverse (rispettivamente, del 20% e del 10%) i “soggetti tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione, costituito ai sensi dell’art. 1, comma 6, lettera a), n. 5 della legge 31 luglio 1997, n. 249” (ovvero i soggetti destinatari di concessione o autorizzazione in base alla vigente normativa, da parte dell’Autorità o di altre Amministrazioni competenti, nonché le imprese concessionarie di pubblicità comunque trasmessa, le imprese editrici etc., di cui al comma 9) rispetto alle imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, come in precedenza definito (nell’ambito del comma 11).

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Avv. Biamonte Alessandro

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