Imposizione tributaria nei trasferimenti di immobili sprovvisti di rendita catastale

Redazione 19/05/01
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Avv. MARIA S. BONANNO
L’interpretazione degli artt.12 DL n.79/1988 conv. e 34 comma 7 Dlgs.
346/90: applicabilità dell’art.52 comma 4 dpr 131/1986 agli immobili
sprovvisti di rendita catastale.
Il dibattito interpretativo di seguito riportato è volto ad accertare se
nell’ipotesi di corrispettivo o valore dell’asse ereditario dichiarato in
misura inferiore a quello risultante dalla cd valutazione automatica, a
seguito dell’intervenuto censimento dell’UTE, l’Ufficio delle Entrate possa
limitarsi a liquidare e riscuotere la differenza di maggiore imposta
risultante, oppure se debba in ogni caso farsi ricorso ad avviso di
rettifica e liquidazione di maggior valore con criteri di valutazione
venale.

I. L’art.52 comma 4 dpr 131/1986:

‘Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli
immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in
misura non inferiore, per i terreni, a settantacinque volte il reddito
dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il
reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per
le imposte sul reddito, né i valori o corrispettivi della nuda proprietà e
dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura
non inferiore a quella determinata su tale base a norma degli articoli 47 e
48. (.).’

Secondo l’interpretazione ormai incontrastata, la disposizione dell’art.52
comma 4 pone una preclusione in danno degli uffici finanziari, che nella
ricorrenza delle condizioni in essa previste, non possono esercitare il
potere di rettifica, ma non anche in danno dei contribuenti che, per parte
loro, restano sempre liberi di denunciare un valore inferiore a quello
correlato all’accatastamento quando riscontrino che detto valore,
individuato secondo la regola fondamentale di cui all’art.52 comma 2,
decreto citato, meglio corrisponda all’effettiva condizione del bene.
In questo caso l’Ufficio, lungi dal poter pretendere direttamente le imposte
dovute in base alla valutazione automatica, deve applicare gli artt.51 e 52
commi 1, 2 e 3 e procedere eventualmente ad accertamento di maggior valore
con criteri di stima secondo i valori venali di comune commercio.
In questo senso la giur. tributaria di merito (C.T. Centr. n.6614 del
25.9.1991) e quella di legittimità (Cass. civ., sez. I, 13 agosto 1996, n.
7504, Cass. civ., sez. I, 28 aprile 1997, n. 3657).

Un’isolata pronuncia della Cassazione andava oltre la tradizionale e
consolidata interpretazione dell’art.52 statuendo che ‘l’applicabilità dei
criteri di cui all’art. 52, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986 per la
determinazione del valore del bene – trattandosi di disposizione più
favorevole al contribuente – non solo quando questo abbia dichiarato un
corrispettivo inferiore, ma anche quando abbia dichiarato un corrispettivo
maggiore rispetto al valore determinabile in base ai predetti criteri, con
la conseguenza che in tale caso il contribuente ha il diritto di pretendere
il rimborso della maggiore imposta versata, ponendo la nuova normativa
come valore convenzionale dell’immobile (sul quale calcolare l’imposta) al
massimo quello corrispondente al valore determinabile in base ai criteri
summenzionati.’ Cass. civ., sez. I, 28 aprile 1997, n. 3657.
Questa interpretazione è stata opportunamente criticata. Non sposta comunque
i temini della questione principale.

II. Immobili sprovvisti d rendita

Con riferimento agli immobili sprovvisti di rendita (per mancato censimento)
l’art.12 DL n.79/1988 conv. e la simmetrica disposizione di cui all’art.34
comma 7 Dlgs. 346/90 per le imposte di successione e donazione dispongono
rispettivamente:

– art.12 DL n.79/1988 conv.: ‘Le disposizioni del comma 4 dell’articolo 52
del D.P.R. 26 aprile 1986, n 131, e del quinto comma dell’articolo 26 del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, aggiunto con l’articolo 8 della legge 17
dicembre 1986, n.880, si applicano anche ai trasferimenti di fabbricati o
della nuda proprietà, nonché ai trasferimenti ed alle costituzioni di
diritti reali di godimento sugli stessi, dichiarati ai sensi dell’articolo
56 del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano,
approvato con D.P.R. 1° dicembre 1949, n.1142, ma non ancora iscritti in
catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita. Il contribuente è
tenuto a dichiarare nell’atto o nella dichiarazione di successione di
volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo (.)’

– art 34 comma 7 Dlgs.346/90: ‘Per i fabbricati dichiarati per l’iscrizione
nel catasto edilizio ma non ancora iscritti alla data di presentazione della
dichiarazione della successione la disposizione del comma 5 si applica a
condizione:
a) che la volontà di avvalersene sia espressamente manifestata nella
dichiarazione della successione (.)’.

III. La teoria dell’accertamento con criteri venali

Dopo le prime incertezze interpretative si consolidava l’orientamento della
giurisprudenza di merito e della dottrina, anche notarile, secondo cui a
seguito dell’intervenuto censimento UTE l’Ufficio delle Entrate, al fine di
recuperare l’eventuale maggiore imposta, dovesse notificare idoneo avviso di
accertamento di maggior valore su criteri venali ai sensi degli artt. 51 e
52 c.1, 2 e 3 DPR 131/1986.
Cosi in : Studi di G.Petrelli 13.1.1995 e 2.6.1997 (studio CNN n.650 bis) in
CNN Strumenti: Istanza di attribuzione di rendita catastale e termini di
decadenza per la richiesta di maggiore imposta; Carmelo Rau: Sull’
illegittimità del sistema impositivo per saltum in tema di valutazione
automatica degli immobili privi di rendita in Giur Trib.1999 p.558; Camosci
e Lattuga La valutazione automatica degli immobili non censiti in Boll.
Trib. 1990, 1624; Palumbieri in Ascorbuti 1994.

In giurisprudenza:
– Comm trib. I grado di Verbania sez.I, 5.4.1991. ‘Anche nell’ipotesi
prevista dall’art.12 L.154 del 1998 qualora il valore dichiarato risulti
inferiore a quello risultante dal cd <<calcolo automatico>> l’Ufficio del
Registro deve procedere alla valutazione dell’immobile con riferimento al
suo valore venale.’
– Comm. Trib Prov. Di Verona sez.IV 25.2.1998: ‘l’Ufficio deve procedere a
motivato accertamento per rettificare il valore di un immobile dichiarato in
sede di compravendita, non essendo legittimato a procedere direttamente a
mezzo di avviso di liquidazione dell’imposta scaturente dal valore
determinato automaticamente applicando i moltiplicatori di legge alla
rendita catastale.’
– Comm. Trib. Prov. Di Verona sez.9 n.197/9/99 del 21.9.1999: ‘L’Ufficio
infatti deve comunque indicare le specifiche ragioni che giustificano un
valore maggiore non potendo, altrimenti ritenersi raggiunta l’equiparazione
fra i contribuenti. In caso contrario l’Ufficio verrebbe meno all’onere di
formulare una motivazione e verrebbe impedito al contribuente di contestare
in maniera specifica il valore controverso, essendo non influente la
possibilità di contestare il classamento UTE (che spesso al cotribuente non
viene neppure notificato in via autonoma) contestazione che può svolgersi in
via parallela ma non vincola l’ufficio’.
– Comm. Trib. Reg. di Venezia sez.34 15.10.1998: ‘L’applicabilità dei
criteri di valutazione automatica, di cui all’art.52, 4° comma D.P.R.
26.4.1986 n.131, al trasferimento di immobili non ancora iscritti in
catasto, disciplinata dall’art.12 L.154/1988, non esime l’Ufficio da
emettere avviso di accertamento al fine di rettificare il valore dichiarato
in atto dalle parti. La valutazione secondo il criterio automatico non può
essere impiegata come metodo di rettifica del valore del bene, ma
rappresenta per l’Ufficio il limite oltre il quale esso può esercitare la
propria attività di accertamento.’
– Conformi anche le giurisprudenze delle CT Prov. e Reg. di Trento, Livorno,
Cuneo, Centrale 25.9.1991.

IV. L’interpretazione della Consulta

Una parentesi interpretativa si apriva con la rimessione alla Corte Cost.
del citato art.12 per mancata previsione di notifica al contribuente del
certificato catastale, attestante l’avvenuta iscrizione con attribuzione di
rendita, trasmesso dall’UTE all’Uff. Entrate.
La Consulta con Sentenza del 19.10.1995 n.463 dichiarava la manifesta
infondatezza della questione, ritenendo che la trasmissione del certificato
fosse un atto interno di un unico procedimento e che il contribuente fosse
già ampiamente tutelato avverso l’eventuale erroneo censimento potendo
ricorrere anche per tali motivi alla giurisdizione delle Commissioni
Tributarie in sede di impugnativa dell’eventuale atto impositivo di
riliquidazione dell’imposta.
In questo modo la pronuncia interpretativa della Consulta veniva a prendere
incidentalmente posizione anche sul tema qui oggetto di discussione. Si
legge infatti in motivazione ‘il meccanismo tipico di tale valutazione
impedisce dunque all’Ufficio finanziario di sottoporre a rettifica il valore
dichiarato. Se questo risulta superiore a quello tabellare, frutto della
semplice operazione aritmetica di moltiplicazione per il coefficiente,
l’ufficio stesso si limita a recuperare la differenza d’imposta.’

Questa frase assume a parere di chi scrive un’importanza fondamentale nella
querelle, non tanto per il suo contenuto intrinseco, quanto per la
strumentalizzazione che se ne è fatta in sede processuale dalla difesa degli
Uffici, purtroppo in seguito recepita anche dalla giurisprudenza.
In realtà ciò è frutto di un’errata lettura, cui può portare l’uso
fuorviante dell’espressione ‘si limita a recuperare’. E’ infatti facile
credere che la Corte intendesse con ciò: senza obbligo di motivazione e di
rettifica formale e cioè anche a mezzo di semplice avviso di liquidazione.
Il che non è.
Si presti infatti attenzione al fatto che la Corte si è riferita
espressamente all’ipotesi in cui il valore risulti ‘superiore’ e non
inferiore all’automatico!
E’ escluso pertanto che si intendesse prendere posizione per l’
interpretazione più restrittiva, anche in considerazione del tenore
complessivo della motivazione dove ci si richiama all’effetto preclusivo
della rettifica derivante dall’applicazione dell’art.52 che: ‘non introduce
un nuovo sistema di determinazione dei valori imponibili, ma semplicemente
limita il potere di rettifica che gli uffici finanziari hanno nel caso in ci
non ritengano congruo il valore dei beni dicharati, impedendo loro di
procedere ad una maggiore valutazione allorchè il valore dei beni sia
dichiarato in misura non inferiore all’ammontare determinato in modo
automatico’.
Si consideri infine che la decisione ricalcava altra precedente del 1991
(ord.11.2.1991 n.78) in cui la conclusione era univoca ed indiscutibile.

E’ evidente quindi che la Corte abbia inteso semplicemente dire che nell’
ipotesi di corrispettivo dichiarato in misura superiore all’automatico, l’
Ufficio dovrebbe limitarsi a ‘lucrare’ (meglio che ‘recuperare’ che fa
pensare ad un atto successivo) la differenza d’imposta.
Purtroppo, chiamata a pronunciarsi per una seconda volta sulla medesima
questione di legittimità costituzionale, la Consulta tornava a confermare il
precedente orientamento senza chiarire a fondo l’ambiguità interpretativa
sopra descritta: ‘Considerato che questa Corte, scrutinando in riferimento
all’art. 24 Cost. la stessa norma ora denunziata, ha già affermato, con
sentenza n. 463 del 1995 (non tenuta presente dal giudice a quo), che: a) il
sistema di valutazione automatica ha carattere di ‘mera semplificazione’, in
quanto fondato sul generale criterio delle presunzioni e successivamente
esteso anche a chi non disponga della rendita catastale, proprio per sanare
la disparità di trattamento rispetto a chi è già in possesso di tali dati;
b) tale possibilità è stata accordata prevedendo, del tutto ragionevolmente,
la facoltà del contribuente, sprovvisto di rendita, di chiederne la
determinazione al momento del trasferimento; c) avverso l’atto di
classamento l’interessato può far valere la tutela giurisdizionale, come
avviene nella generalità dei casi di attribuzione della rendita al di fuori
di una vicenda negoziale traslativa di un diritto reale, offrendo in tale
sede gli elementi comprovanti un’erronea valutazione (tra cui il valore di
mercato) che attraverso la via della descritta impugnativa si realizza
proprio quella ‘dialettica’ tra amministrazione e contribuente, indicata dal
giudice a quo come rimedio al denunciato vulnus (sia all’art. 24 sia
all’art. 53 Cost.), il quale consisterebbe appunto nell’asserita
impossibilità per il contribuente di ‘confutare le basi di calcolo applicate
unilateralmente dall’Ufficio’ e dunque nella soggezione di lui alla
‘terribile alea di vedersi determinare anche una base imponibile al di fuori
di ogni plausibile riferimento al valore reale del bene’; che pertanto la
questione è manifestamente infondata’ Cost. ord.367/1998.
Il disposto della decisione, di per sé corretto, non risolve appunto il
dibattito interpretativo sulla precedente decisione ed anzi si pone in
parziale conflitto con la medesima laddove prevede e considera esaustiva
l’impugnabilità censuaria, mentre la decisione del ’95, ammettendo che il
procedimento di attribuzione di rendita e successivo accertamento di
maggiore imposta può considerarsi unitario, lasciava intravedere conclusioni
opposte. La pronuncia del ’98 in realtà non affronta e non risolve il tema
dell’atto impositivo.
V. La teoria della liquidazione differenziale
Nel frattempo però, nella prassi operativa aveva preso piede l’altra tesi
interpretativa, caldeggiata dal Ministero delle Finanze. Così in Circ. M.F.
29.9.1988: ‘nel caso si renda necessaria una liquidazione integrativa dell’
imposta, non è configurabile la violazione di infedele dichiarazione di
valore’, seguita dalla 17161/T 26.11.1991 in mat. INVIM e da ultimo la 112/E
del 17.4.1997.

Secondo questa interpretazione l’art. 12 attribuirebbe al contribuente il
diritto di avvalersi del sistema di valutazione automatica anche per gli
immobli sprovvisti di rendita; tale richiesta effettuata dal contribuente
costituirebbe una sorta di opzione irrevocabile che lo vincolerebbe comunque
ai valori tabellari.
L’ufficio pertanto nell’ipotesi di valore dichiarato al di sotto dell’
automatico potrebbe limitarsi a liquidare la differenza senza nessun
accertamento di valore.
A sostegno di questa tesi si richiamava l’art.2-ter L. 656/1994 in cui si
dichiarano non applicabili le disposizioni in materia di accertamento con
adesione alle ipotesi di determinazione del valore su base catastale, oltre
che l’interpretazione della decisione della Consulta sopra enunciata e
criticata.

VI. Le interpretazioni contrastanti della Corte di legittimità.

Interveniva quindi la Corte di Cassazione, sez.I del 18.2.1999 n.1343, a
chiarire, allo stato, la questione prendendo posizione per la tesi sostenuta
da dottrina e giurisprudenza dominanti:
‘ In tema di imposta di registro, qualora il contribuente, ai sensi
dell’art. 12 d.l. 14 marzo 1988 n. 70, convertito in l. 13 maggio 1988,
n.154, abbia dichiarato nell’atto di conferimento in società di un immobile,
non ancora iscritto in catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita,
di volersi avvalere del sistema automatico di valutazione di cui al comma 4
dell’art.52 d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 ed il valore dichiarato risulti
inferiore all’ammontare determinato in modo automatico, l’Ufficio non può
procedere ad elevare il valore del bene conferito mediante avviso di
liquidazione, ma deve procedere ad emettere avviso di accertamento di
maggior valore sulla base dei criteri ordinari, stabiliti nell’art. 51 del
citato d.P.R.’ Cass. civ., sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1343.

La migliore argomentazione della decisione è quella di smentire
l’interpretazione fuorviante della sentenza della Consulta, nei termini
sopradetti.

Con successiva decisione (Cass., sez. I, 27-11-1999, 13243) tuttavia la
Corte di legittimità invertiva il proprio precedente orientamento sostenendo
che:
‘A tale conclusione si deve pervenire, innanzi tutto, sulla base dello
stesso tenore letterale dell’art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70,
convertito con modificazioni in legge 13 maggio 1988, n. 154, che
espressamente richiama il solo 4° comma dell’art. 52 del d.p.r. n. 131 del
1986 (.) e non anche il 1° comma della stessa disposizione. E poichè il
meccanismo di determinazione (automatica) del valore del bene disciplinato
dal quarto comma è alternativo rispetto a quello di cui al primo comma, ne
deriva che, quando trova applicazione l’art. 12 della legge n. 154,
l’ufficio non può ricorrere al potere di rettifica o di accertamento, ma
deve limitarsi a procedere alla determinazione automatica del valore.
L’alternatività tra l’applicazione dell’art.52, 4° comma e l’emissione
dell’avviso di accertamento o di rettifica, oggetto del primo comma della
stessa disposizione, è resa ancora più evidente, d’altra parte, dall’ultima
proposizione dell’art. 12, 1° comma della legge n. 154 del 1988, secondo
cui, in caso di mancata presentazione della ricevuta dell’istanza di
attribuzione della rendita catastale nel termine di sessanta giorni dalla
formazione dell’atto da registrare ‘l’ufficio procede ai sensi dell’art. 52,
comma primo’ del d.p.r. 131/86.
La tesi sostenuta, d’altra parte, è del tutto coerente con il sistema, nel
quale l’avviso di rettifica o di accertamento di maggior valore è il
risultato dell’esercizio della discrezionalità tecnica dell’ufficio, mentre
nell’ipotesi in cui il valore debba essere determinato senza alcuna
discrezionalità (sia pure solo tecnica), in applicazione di mere operazioni
aritmetiche, non avrebbe senso ricorrere a un atto espressione di poteri
valutativi. Peraltro appare anche contraddittorio ammettere che il
contribuente, dopo aver chiesto che il valore del bene sia determinato in
modo automatico, possa poi rimettere in discussione tutto il rapporto
tributario contestando la valutazione stessa.’

Seguivano a breve altre due decisioni dello stesso tenore:

Cassazione civile, Sezione Tributaria 16 marzo 2000 n° 3046: ‘Nel caso i
contribuenti dichiarino – ai sensi dell’articolo 12, D.L. 14 marzo 1988
n.70, conv. in L. 13 maggio 1998 n.154 – di volersi avvalere del sistema
automatico di valutazione di cui al 4° comma dell’articolo 52, D.P.R 26
aprile 1986 n.131, in relazione ad immobile sprovvisto, al momento del
trasferimento, di rendita catastale (c.d. <dichiarazione al buio>), e, una
volta attribuita la rendita catastale, il valore dichiarato risulti
inferiore all’ammontare determinato in modo automatico, l’Amministrazione
finanziaria è tenuta ad emettere avviso di liquidazione (e non già avviso di
accertamento) per la maggior imposta dovuta’.

Cassazione sez. I, 24 maggio 2000, n° 6789: ‘Ove il contribuente abbia
chiesto di avvalersi, ai sensi dell’articolo 12 legge n. 154 del 1988, dei
criteri di determinazione automatica di cui all’ articolo 52 d.p.r. 26
aprile 1986 n. 131, ma il valore del bene trasferito da lui dichiarato
concretamente nell’atto risulti inferiore a quello derivante
dall’applicazione dei suddetti criteri, l’ufficio non è tenuto ad emettere
un previo avviso di accertamento e di rettifica, ma non deve far altro che
richiedere la maggior imposta dovuta, attraverso la notifica di un avviso di
liquidazione.’

Un parziale ed indiretto temperamento veniva introdotto da due ulteriori
pronunce su tema circoscritto all’impugnabilità dell’atto censuario:

Cass. civ., T., 10 aprile 2000, n. 4509: ‘Dal momento che l’atto di
classamento di un immobile con attribuzione della rendita catastale
costituisce atto sicuramente rilevante sul piano tributario e, quindi,
autonomamente impugnabile (art. 1, comma 3, e 16, comma 1, del d.P.R. n. 636
del 1972, ed ora art. 2, comma 3, e 19, comma 1, lett. f) del d.lg. n. 546
del 1992) non soltanto ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro
(art. 52, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986 e 12 del d.l. n. 70 del 1988)
e dell’in.v.im. (art. 19 del d.P.R. n. 643 del 1972), ma anche – ad es.
dell’imposizione dei redditi (art. 22 del d.P.R. n. 917 del 1986) e
dell’imposta comunale sugli immobili (art. 5 del d.l. n. 504 del 1992), ne
deriva che (per recenti conferme di un tal principio, vedi la disposizione
di cui all’art. 30, comma 11, l. 23 dicembre 1999 n. 488 recante
‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2000′), pur in mancanza di specifica previsione
normativa valevole per tutti i tributi nei quali la base imponibile è basata
sull’atto catastale, l’atto medesimo deve essere notificato o comunicato
all’interessato. Ciò sia in conformità al principio secondo cui i
provvedimenti amministrativi sono notificati ai soggetti che in loro
sono direttamente contemplati, per consentire la sua eventuale e diretta
impugnazione), sia – e comunque – in attuazione dell’art. 11, commi 3 e 4
del d.l. n. 70 del 1988 e della regola generale (da esso esprimentesi) della
necessità della notificazione o comunicazione degli atti di classamento
relativi alle unità immobiliari urbane.’

Cass. civ., t., 5 maggio 2000, n. 5717: ‘L’avviso di classamento con il
quale l’ufficio tecnico erariale attribuisce la rendita ad un immobile è
incontestabilmente un provvedimento di natura valutativa, integrante
un atto di accertamento il quale, come tale, deve essere motivato.’

Tale sopravvenuto orientamento, che si pone in parziale contrasto con
l’interpretazione data dalla Consulta del 1995 circa l’unitarietà del
procedimento, non affronta né risolve il problema oggetto di questo studio,
che rimane quello dell’individuazione della natura dell’atto impositivo.

VII. NOTE CRITICHE

Sebbene non possa tacciarsi di insufficiente motivazione, la nuova
interpretazione della Cassazione lascia adito a parecchi dubbi.
Chiare petizioni di principio appaiono: a) l’interpretazione ‘illogica’
della ormai nota sentenza della Consulta del 1995;
b) la considerazione secondo cui nella fattispecie in esame ‘il valore debba
essere determinato senza alcuna discrezionalità (sia pure solo tecnica), in
applicazione di mere operazioni aritmetiche’. Più che una motivazione questo
passaggio logico appare invero una premessa, assolutamente indimostrata,
com’è indimostrata la pretesa ‘alternatività tra l’applicazione dell’art.
52, 4° comma e l’emissione dell’avviso di accertamento o di rettifica,
oggetto del primo comma della stessa disposizione’.

In realtà è vero il contrario: la previsione di cui all’art.52 commi 1 e 2,
che si richiama all’art.51 (avviso di accertamento) è la regola generale,
conforme ai principi costituzionali di difesa, oggi richiamati ed
approfonditi dal recente statuto del contribuente.
L’art.52 comma 4, come sopra enunciato in premessa è una norma eccezionale
posta a garanzia di tutela del contribuente che può evitare l’accertamento
dell’Ufficio, dichiarando valori conformi ai tabellari.

Né appaiono di particolare pregio gli argomenti testuali:
– quando l’art.12 comma 1 prevede l’accertamento su valore venale in caso di
omessa presentazione dell’istanza entro i sessanta giorni, non fa che
prevedere la decadenza del contribuente dalla chiesta agevolazione. E
dunque?
– in secondo luogo è errato dire che ‘il contribuente chiede la valutazione
automatica’. Il disposto delle norme in discorso (artt. 12 e 34/7 già cit.)
è di avvalersi dei benefici di cui all’art.52 comma 4′. Il che è ben
diverso, come visto in premessa!
E’ proprio questo errato presupposto interpretativo che ha portato la più
recente giurisprudenza a cercare nell’impugnativa dell’atto censuario la
soluzione del problema della mancanza di un accertamento di maggior valore
(cfr. pronunce nn. 4509 e 5717 del 2000, sopra citate).

Ma il fatto più rilevante è che la Cassazione ha omesso di esaminare il
grave problema di diseguaglianza che la recente interpretazione porta con
sé. Non si vede infatti come possa giustificarsi la grave disparità di
trattamento tributario riservata dal legislatore ai contribuenti che
trasferiscono immobili già censiti in catasto con attribuzione di rendita ed
altri contribuenti i cui immobili siano ancora sprovvisti della stessa (per
pluriennale ritardo dell’amministrazione):
– Ai primi sarebbe consentito di avvalersi del meccanismo inibitorio
dell’accertamento qualora i valori dichiarati risultino eguali o superiori a
quelli automatici (salve, naturalmente, non lo abbiamo ancora precisato, le
responsabilità per occultazione di corrispettivo) oppure di dimostrare, nel
contraddittorio giudiziale, il vero valore di mercato (o prezzo), qualora
quello effettivo dovesse essere inferiore al primo.
– I secondi, già svantaggiati dal fatto di non conoscere anticipatamente il
corrispondente valore automatico, dovrebbero accontentarsi di tale sorta di
‘patteggiamento’ con l’aministrazione per cui, una volta richiesta la così
detta valutazione automatica ed esposto un valore, la differenza verrebbe
recuperata comunque, qualunque sia il risultato del censimento, salva
solamente l’impugnativa di quest’ultimo per vizi propri.

Un altro argomento che la giurisprudenza, tranne alcune pronunce di merito
soprariportate, non ha opportunamente valutato riguarda l’inquadramento
sistematico dell’imposta in discorso.
Secondo la teoria che rimane prevalente in dottrina l’imposta de quo deve
avere natura complementare. Lo si evince con certezza dalla norma
descrittiva di cui all’art.42 DPR 131/1986 come modif..
Lo stesso testo unico, nella sua interpretazione letterale e logica, tutte
le volte in cui parla di riscossione dell’imposta complementare (artt.55 e
56) si riferisce esplicitamente all’atto di accertamento e rettifica di
maggior valore, che peraltro è il mezzo di riscossione istituzionale e di
applicazione generale, mentre il semplice avviso di liquidazione, nelle
ipotesi eccezionali in cui è previsto (es: decadenza da agevolazioni) è
strumento esecutivo di pretesa tributaria già accertata.

Per concludere: al di là di ogni considerazione di opportunità pratica, non
mi sembra possibile allo stato attuale di uscire da questo bivio
interpretativo:

a) se l’art.12 DL 70/1988 (e l’art.34/7 Dlgs 346/90) è legittimo nel senso
indicato dalla Corte Costituzionale nel 1995, la procedura di attribuzione
della rendita e di liquidazione dell’imposta è effettivamente un unicum e
l’imposta eventualmente recuperata deve avere natura di imposta
complementare ed in quanto tale non può che calcolarsi sulla base
dell’accertamento venale (di comune commercio) del valore dell’immobile;
nell’eventuale giudizio di impugnativa dell’accertamento il contribuente
potrà fare valere anche i vizi propri della rendita attribuita dall’UTE
qualora la ritenga erronea e quest’ultima non gli sia stata autonomamente e
motivatamente notificata;

b) se, viceversa, rimane rimesso all’uff. Entrate il potere di liquidare
l’imposta con semplice avviso, allora deve necessariamente ritenersi che
l’imposta recuperata non possa avere natura complementare, ma si tratterebbe
di imposta principale (con altri riflessi anche sul computo dei termini di
decadenza sui quali non è il caso di dilungarsi in questa sede); in questo
caso però il procedimento indicato nell’art. 12 non consentirebbe comunque
il diritto di difesa del contribuente, contro l’atto impositivo.
Questi infatti potrebbe anche non venire a conoscenza dell’illegittimità del
censimento, di cui non è prevista la notificazione (nonostante la recente
interpretazione della Cass. che la vuole obbligatoria), precludendosi così
in suo danno contemporaneamente due possibilità: 1) l’impugnativa cd
censuaria, per vizi propri del meccanismo di attribuzione della rendita; 2)
l’avviso di accertamento su criteri venali nel caso in cui il valore
dichiarato dovesse risultare inferiore al tabellare; il tutto con grave
violazione degli artt.3 (principio di eguaglianza) e 24 (diritto di difesa)
della Costituzione.

Un’ultima nota merita il raccordo fra la problematica sopra descritta e
l’entrata in vigore dello Statuto del contribuente (L.212/00) e successivo
decreto di attuazione (dlt. n.26/01).
Se è vero che lo Statuto è ispirato al principio della buona fede e della
trasparenza nei rapporti fra fisco e contribuente è pur vero che la
normativa attuativa, sia per quanto attiene all’imposta di registro (DPR
131/1986), che per quanto riguarda il testo unico sulle successioni e
donazioni (Dlgs 346/1990) ha disposto l’integrazione dei rispettivi testi di
legge con questa norma: ‘La motivazione dell’atto deve indicare i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se la
motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal
contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che
quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. L’accertamento è
nullo se non sono osservate le disposizioni di cui al presente comma.’
(art.52-bis DPR 131/86; art.34-bis D.lgs 346/90).
Come appare però dalla lettura testuale, l’inciso si riferisce solo agli
atti di accertamento e rettifica e non agli avvisi di liquidazione
d’imposta, i quali, come giustamente sostiene la Cassazione che critichiamo,
sono frutto di una semplice operazione aritmetica.

La posizione del trasferimento di immobile privo di rendita si aggrava
quindi ancor di più, non trovando conforto neppure nelle recenti misure di
salvaguardia e tutela del contribuente in relazione all’obbligo di
motivazione degli atti.
*******
Non rimarrà pertanto, permanendo il più recente orientamento della corte di
legittimità ed in mancanza di auspicabile intervento chiarificatore delle
Sezioni Unite, stante la divergenza di orientamenti espressi dalle sezioni,
che la via di una nuova e circostanziata rimessione della questione alla
Consulta in occasione dei pendenti giudizi di merito.
Avv. MARIA S. BONANNO

Redazione

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