Reo antisociale è imputabile?

 

1. L’ imputabile, il semi-imputabile ed il non imputabile nel Diritto Penale italiano ( panorama normativo generale )

Sotto il profilo meta-giuridico, il reato è un fatto, attivo od omissivo, contrario all’ Ordinamento penalistico, attribuibile ad una persona fisica e punibile nell’ ottica della rieducazione del colpevole ex Art. 27 comma 3 Cost. . Nel Diritto Penale sostanziale italiano, tuttavia, è necessario, perché sussista un reato, che il fatto anti-normativo, preparativo od omissivo od attivo, sia rimproverabile all’ infrattore, il quale si definisce rieducabile soltanto se ha posto in essere un’ infrazione, contravventiva o delittuosa, con una deliberata volontà colposa, preterintenzionale o dolosa. Detto con lemmi criminologici, il reo è tale se colpevole, ovverosia rimproverabile, dunque consapevole di aver violato la pace sociale. Pertanto, l’ imputabilità va esclusa qualora il soggetto agente non manifesti la necessaria lucidità mentale e volitiva.

La volontà è punibile quando il delitto è doloso o preterintenzionale o colposo. Il reato è “doloso, o secondo l’ intenzione, quando l’ evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’ azione o dell’ omissione, e da cui la legge fa dipendere l’ esistenza del delitto, è dall’ agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione “ ( comma 1, cpv. 1 Art. 43 CP ). In secondo luogo, l’ infrazione anti-ordinamentale è definita “ preterintenzionale, o oltre l’ intenzione, quando dall’ azione o dall’ omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’ agente “ ( comma 1, cpv. 2 Art. 43 CP ). In terzo luogo, un delitto “ è colposo, o contro l’ intenzione, quando l’ evento, anche se preveduto, non è voluto dall’ agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline “ ( comma 1, cpv. 3 Art. 43 CP )

Un altro elemento strutturale indispensabile ai fini della punizione rieducativa dei fatti anti-giuridici consiste nell’ accertata assenza di uno stato di necessità, poiché “ non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’ altrui minaccia, ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ ha costretta a commetterlo “ (commi 1, 2 e 3 Art. 54 CP ).
Il terzo elemento costitutivo della punibilità, nel Diritto Penale italiano, è contemplato dall’ Art. 5 CP, a norma del quale “ nessuno può invocare a propria scusa l’ ignoranza della legge penale “. Il lemma “ ignoranza “ non comprende l’ “ ignoranza inevitabile “ precisata dalla Sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale

Infine, è penalmente sanzionabile soltanto l’ imputabile, in tanto in quanto “ nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. E’ imputabile chi ha la capacità d’ intendere e di volere “ ( Art. 85 CP ). Dal punto di vista nomogenetico, l’ imputabilità, nella Giuspenalistica, è la capacità di delinquere sapendosi auto-determinare, perché “ la responsabilità penale è personale “ ( comma 1 Art. 27 Cost. ), quindi non è passibile di sanzione l’ individuo con carenze psicologiche più o meno invalidanti dal punto di vista mentale. Il comma 1 Art. 27 Cost. non è precettivo nei confronti di chi, totalmente o parzialmente, non era capace d’ intendere e/o di volere nel tempo o nel momento della consumazione del reato.
La prima causa che esclude o diminuisce l’ imputabilità è il vizio di mente, totale ( Art. 88 CP) o parziale ( Art. 89 CP ). La carenza psico-forense è totale per “ chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’ intendere o di volere “ ( Art. 88 CP ). Diversamente, la psico-patologia forense è meno grave quando “ chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’ intendere o di volere. [ L’ infermo parziale ] risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita “ ( Art. 89 CP ).

Si consideri pure che, nel Codice Rocco, “ gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’ imputabilità “.L’ assunzione di stupefacenti e/o bevande alcoliche costituisce uno dei motivi più frequenti di alterazione dell’ ordinaria imputabilità. Va, d’ altronde, precisato che le regole afferenti all’ alcol etilico sono analogicamente precettive nel caso di assunzione delle sostanze stupefacenti o psicotrope contemplate nelle Tabelle del TU 309/1990 ( Art. 93 CP e comma 3 Art. 94 CP ). Ex comma 1 Art. 91 CP, non è imputabile “ chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d’ intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore “. Nel caso di ubriachezza non piena, ma “ tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’ intendere o di volere, la pena è diminuita “ ( comma 2 Art. 91 CP ).

All’ opposto, l’ Art. 92 CP non prevede attenuanti o esimenti nella fattispecie dell’ ubriachezza volontaria o colposa, ovvero preordinata, giacché “ l’ ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l’ imputabilità. Se l’ ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata “. Analogamente, non sussistono attenuazioni o esclusioni della responsabilità penale “ quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale [ e quindi ] la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’ uso di bevande alcoliche e in stato di frequente ubriachezza “ ( commi 1 e 2 Art. 94 CP ). Infine, si applicano le disposizioni contenute negli Artt. 88 CP ( vizio totale di mente ) ed 89 CP ( vizio parziale di mente ) “ per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcol, ovvero da sostanze stupefacenti “
L’ Art. 96 del Codice Penale Rocco, parzialmente novellato dall’ Art. 1 della L. 95/2006, statuisce che “ non è imputabile il sordo che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d’ intendere o di volere. Se la capacità d’ intendere o di volere [ del sordo ] era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita “

Di fondamentale importanza sono gli Artt. 97 e 98 CP in tema di Diritto Penale Minorile. Fondamentalmente ed unanimemente, anche in Dottrina, “ non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni “ ( Art. 97 CP ). Viceversa, “ è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se aveva capacità d’ intendere e di volere, ma la pena è diminuita “ ( comma 1 Art. 98 CP ). Inoltre, a titolo di corollario e con un esplicito favor rei, nel comma 2 Art. 98 CP è previsto che “ quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave [ a carico di un minorenne imputabile ], la condanna importa soltanto l’ interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’ esercizio della potestà dei genitori“. E’ molto importante sottolineare che l’ infra-18enne maggiore degli anni 14 non è automaticamente imputabile, giacché risponde penalmente dell’ infrazione commessa soltanto se reca la capacità d’ intendere e quella di volere, unite ad una sufficiente maturità ed all’ assenza di cause d’ infermità psico-patologico-forensi.

Il summenzionato Art. 98 CP va costantemente abbinato alla Dottrina penalistica minorile ed alla relativa Giurisprudenza di legittimità, e ciò alla luce della non semplice tematica giurdificata. Infatti, oltre al superamento dei 13 anni d’ età, il minorenne deve anche possedere, per essere imputabile, la capacità d’ intendere e quella di volere ( comma 1 cpv. 2 Art. 98 CP ). Il minore ha quasi sempre una volontà forte che lo può ben portare a decidersi per opzioni di vita anti-normative, ma altrettanto non si può dire con attinenza alla capacità d’ intendere, ovverosia di comprendere i danni etero-lesivi provocati nei confronti dei consociati o dei beni materiali illegalmente attinti.

A livello giurisprudenziale, il comma 1 Art. 98 CP è altrettanto ed imprescindibilmente legato alle “ capacità di intendere e di volere [ che indicano ] condizioni fisio-psichiche di normalità [ … ]. Basta solo che una della due capacità risulti esclusa o grandemente scemata, a cagione di un’ infermità, per poter dichiarare totalmente o parzialmente inimputabile il soggetto “ ( Cass. Pen., 15 maggio 2012. Assai simile è pure l’ orientamento interpretativo di Cass. Pen., 25 ottobre 2012 ). Ognimmodo, a prescindere dal caso specifico del minorenne, Cass. Pen., Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 18458 precisa che, anche nella fattispecie del maggiorenne, “ bisogna accertare [ sempre ] la capacità di comprendere il disvalore sociale dell’ azione delittuosa, a meno che gli impulsi all’ azione, che l’ agente percepisce e riconosce come riprovevole, siano di tale ampiezza e consistenza da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze [ e ] il reato deve essere eziologicamente determinato da quello specifico disturbo mentale idoneo ad alterare il volere dell’ autore della condotta illecita “

2. Definizioni medico-legali del disturbo antisociale di personalità ( APD )

Purtroppo, molti Autori della Psicologia Forense, confondono l’ APD con la psicopatia. L’ APD è ufficialmente qualificato, nel DSM-V, mentre la psicopatia, nella definizione di Cleckley ( 1976 ), indica, più latamente, “ i pensieri ed i sentimenti associati all’ APD “. Analogamente, sempre in Dottrina, Mealey ( 1995 ) afferma che la psicopatia indica “ l’ insieme dei tratti di personalità che contraddistinguono l’ APD “ e pure Davison & Neale ( 2000 ) non parlano di antisocialità in senso stretto, bensì di “ uno stile di vita antisociale e psicopatico “. Sempre nella Medicina Legale statunitense, taluni usano il lemma “ sociopatia “, ma, anche in tal caso, non si tratta dell’ APD così come esso è trattato ed esplicato nel DSM-V e nelle precedenti edizioni del DSM.

Nel DSM-V, è prevalsa la linea esegetica di Davison & Neale ( ibidem ), per i quali l’ Antisocial Personality Disorder “ è uno stile pervasivo di inosservanza e violazione dei diritti degli altri, che si manifesta come un disturbo della condotta, caratterizzato da comportamenti antisociali, come assenze da scuola, fughe da casa, ripetute menzogne anche senza motivo, comportamenti distruttivi verso le altre persone, gli animali e verso la proprietà altrui “. Nell’ ICD-10, a differenza di quanto stabilito nel DSM-V, l’ APD non viene fatto coincidere con disturbi della condotta, pur se non si nega l’ importanza rivelatrice del comportamento scolastico del deviante affetto da APD. Anche Paris ( 1997 ) non ipostatizza, come giusto, l’ antisocialità in età scolare, in tanto in quanto “ non è automatica l’ associazione tra APD e disturbi della condotta, poiché alcuni studi statunitensi, britannici ed australiani hanno evidenziato che solo un terzo dei casi di disturbo della condotta evolve in un disturbo antisociale “

Sotto il profilo della criminogenesi, Tibaldi ( 1995 ) osserva che “ l’ APD si caratterizza per una grossolana disparità tra il comportamento del soggetto e le norme sociali prevalenti. Gli individui antisociali sono totalmente trascuranti nei confronti delle norme e degli obblighi sociali, cosa che si evidenzia nelle continue infrazioni alla legge [ … ] gli individui antisociali sono continuamente implicati in attività criminali come furti, aggressioni, comportamenti minacciosi, frode e abuso di sostanze “. L’ assai stretto rapporto tra delittuosità anti-normativa ed APD è dimostrato anche dal fatto che il 75-80 % dell’ attuale popolazione carceraria statunitense è (rectius: sarebbe ) affetta da APD, pur se tale cifra statistica rimane contestabile a causa dell’ eccessiva prassi statunitense di medicalizzare e psicologizzare la personalità degli infrattori reclusi.

Anche dal punto di vista qualitativo, “ i crimini commessi dagli antisociali sono diversi da quelli commessi dai detenuti non antisociali: essi implicano spesso armi e violenza e hanno frequentemente come vittime persone estranee e non imparentate e individui maschi. E’, inoltre, consistente il ricorso all’ aggressione ed allo stupro “ ( Lalumière & Harris & Rice, 2001 ). Pertanto, risulta senza dubbio difficile applicare all’ APD i criteri penalistici di cui agli Artt. 88 ed 89 CP, ma certamente è possibile affermare con cognizione di causa che l’ antisocialità patologica si associa quasi sempre ad un livello pericolosamente elevato di violenza fisica e di sottile odio nei confronti della collettività.

L’ antisociale, infermo o meno di mente, è un soggetto alquanto difficile da gestire e contenere dal punto di vista comportamentale e criminologico. P.e., a livello familiare, l’ APD si associa quasi sempre all’ irritabilità ed ai maltrattamenti fisici sulla moglie / convivente / compagna e sulla figliolanza. In effetti, il tipico paterfamilias antisociale è irresponsabile, non pianifica bene le ordinarie spese familiari, non pratica la fedeltà coniugale, non esercita con diligenza il proprio ruolo di genitore ed è impulsivo e non riflessivo di fronte a decisioni patrimoniali basilari, nel lungo periodo, per l’ intero nucleo domestico.

L’ APD provoca una costante traumatofilia, anche se tale tendenza non coincide sempre con infrazioni anti-giuridiche vere e proprie. P.e., Harpending & Sobus ( 1987 ) hanno notato che “ questi individui [ antisociali ] sembrano non curarsi della sicurezza propria e degli altri, possono mettere in atto comportamenti estremamente dannosi, associati a promiscuità sessuale o uso di sostanze, possono non curarsi di un figlio fino a compromettere la sua incolumità, e solitamente tendono a guidare in maniera pericolosa ( in stato di intossicazione o ad alta velocità ) “. Anche Mealey ( ibidem ) rimarca che l’ APD toglie la percezione del saper stare insieme entro normali legami socio-familiari, in tanto in quanto gli antisociali “ sono freddi ed indifferenti, cinici, sprezzanti verso i diritti degli altri, sono irresponsabili e noncuranti dei sentimenti altrui, cosa che li porta a non contraccambiare i favori.

Di solito, essi sono arroganti e posseggono un’ autostima ipertrofica “. Tuttavia, a parere di chi redige, l’ infermità psico-forense e la capacità d’ intendere e/o di volere non dipendono, in misura totale, da un carattere introverso, ovverosia sarà necessario, in sede peritale, che il CTU proceda ad un’ osservazione personologica relativa al singolo infrattore affetto da APD. Infatti, l’ auto-isolamento e l’ aggressività del temperamento non conducono automaticamente all’ invalidità od alla semi-invalidità giuridicamente contemplata negli Artt. 88 ed 89 CP. Pure Caretti & Ciulla & Schimmenti ( 2012 ) associano all’ APD “ un grande egocentrismo ed un senso grandioso di sé “ e Kernberg ( 1984 ) parla di “ narcisismo patologico “ nelle personalità affette da APD, ma anche tali osservazioni non consentono di escludere la capacità d’ intendere e nemmeno quella di volere in presenza di una sintomatologia antisociale.

L’ antisocialità conduce all’ infermità od alla semi-infermità soltanto se l’ APD è congiunto ad altri ulteriori tratti di devianza mentale invalidante e tale conclusione può scaturire soltanto da un’ analisi psico-forense individualizzata e non limitata all’ APD, che può essere un semplice tratto di individualismo non patologico nell’ ottica dell’ Art. 85 CP. Harpending & Sobus ( ibidem ) asseriscono che “ peculiare del sociopatico è spesso un’ apparenza di charme, fascino e simpatia, che egli utilizza, servendosi della sua solitamente fine intelligenza e di una straordinaria capacità di compiacere verbalmente, per manipolare gli altri attraverso elaborati imbrogli, commettendo più spesso proprio quei crimini che contano sulla fiducia e sulla cooperazione delle vittime, come truffe, bigamia o appropriazioni indebite.

L’ antisociale è quindi un fine imbroglione, che cerca di manipolare gli altri con il solo scopo di trarre vantaggi e piacere personali ( per esempio sesso, soldi o potere ) “. Ciononostante, anche in questo caso, l’ egocentrismo edonista che caratterizza l’ APD nulla altera dal punto di vista dell’ imputabilità, così come richiesto dal Diritto Penale italiano negli Artt. 88 ed 89 CP. Anche Mealey (ibidem ) non allude ad alcuna psicopatologia invalidante quando afferma che gli antisociali “ sono totalmente incapaci di provare colpa o vergogna e mancano della capacità di provare rimorso per le loro azioni sconsiderate nei confronti degli altri. Emerge chiaramente la totale mancanza di moralità che caratterizza queste persone “. La spregiudicatezza etica non inficia la capacità di intendere e, men che meno, quella di volere.

3. Il nesso tra APD, gruppi sociali ed ambienti criminogeni

A prescindere dalla criminogenesi nel contesto, o meno, dell’ APD, Comparini & Costa ( 2000 ) negano, giustamente, la normalità della sociopatia, giacché “ l’ ambiente a cui siamo geneticamente predisposti è quello del piccolo gruppo, caratterizzato da un alto grado di interdipendenza e dalla presenza di forti e duraturi legami interpersonali, che garantiscono la coordinazione, ma soprattutto la cooperazione, lo scambio reciproco ed il conformismo di gruppo, adattamenti necessari per la vita all’ interno di un tale tipo di struttura sociale “. Similmente, Buss ( 1990 ) nega qualsivoglia caratteristica di positività o di normalità all’ APD ed alla correlata delinquenza antisociale, poiché “ il gruppo cooperativo è stata la prima strategia di sopravvivenza degli esseri umani. Questo avrebbe favorito la selezione degli adattamenti mentali necessari alla formazione ed al consolidamento di questa struttura sociale, come una certa predisposizione alla lealtà, cooperatività e timore di esclusione sociale “.

Pure Cavalli Sforza L. & Cavalli Sforza F. ( 1993 ) lasciano intendere che l’ APD è una patologia fondamentalmente etero-lesiva, inammissibile e sempre condannabile all’ interno delle ordinarie dinamiche che contraddistinguono la pacifica convivenza sociale e domestica. L’ APD, più che escludere, auto-esclude e genera nell’ escluso un’ aggressività ed una rabbia anti-umanitarie ed anti-morali, non conformi a quella “capacità di cooperare che, sin dagli inizi, è stata una delle caratteristiche più utili per lo sviluppo della specie umana “Secondo Lalumière & Harris & Rice ( ibidem ), l’ APD è ancestralmente contrario ad ogni consorzio sociale umano, in tanto in quanto la leale cooperazione è la base stessa di ogni gruppo sociale, mentre “ gli antisociali ricorrono all’ imbroglio ed all’ inganno per ottenere risorse senza contraccambiare … essi hanno indifferenza verso gli indici di sofferenza o di paura degli altri … la loro resistenza alle punizioni è ritenuta un segno di disturbo per perseguire una strategia di vita manipolativa e predatoria “. Pertanto, lo white collar crime teorizzato da Sutherland costituisce uno degli epifenomeni più frequenti dell’ APD, che, tuttavia, non sempre reca ad oggettive condizioni di psicopatologia invalidante o semi-invalidante ex Artt. 88 ed 89 CP. Anche quando Mealey ( ibidem) parla dell’ APD come di “ un tentativo di raggiungere il successo con l’ inganno sociale “, tale Autrice non considera nemmeno lontanamente l’ ipotesi dell’ infermità e, quindi, della non imputabilità del sociopatico dedito al crimine finanziario. L’ APD non è sempre una malattia e nemmeno una circostanza di incapacità d’ intendere e/o di volere, in tanto in quanto l’ antisocialità è una forma mentale compulsiva spregiudicata e consapevole, come dimostra il Diritto Penale Commerciale e quello degli Intermediari Finanziari. Probabilmente, non è per nulla fuori luogo, almeno nel caso del crimine economico, accostare l’ antisocialità alla cleptomania, la quale non è una psicosi invalidante. Sotto il profilo antropologico, McGuire & Troisi ( 1998 ) asseriscono, fors’ anche con qualche eccesso interpretativo, che “ le caratteristiche fondamentali del comportamento antisociale e del disturbo antisociale di personalità sembrano essere la non-reciprocità e l’ inganno [ mentre ] le nostre società sono, prevalentemente, società costituite da cooperatori “. Tuttavia, ancora una volta, l’ arte dell’ inganno e della manipolazione ossessiva del vero non consentono di accostare l’ APD all’ incapacità d’ intendere e di volere. Anzi, il sociopatico, a livello meta-temporale e meta-geografico, possiede spesso una discreta cultura ed agisce con una volizione pienamente consapevole e gravemente dolosa.

L’ APD non costituisce un handicap ex Artt. 88 ed 89 CP, bensì l’ antisociale è e rimane perfettamente lucido, auto-consapevole e caratterialmente normale. Dal punto di vista statistico-criminologico, McGuire & Troisi ( ibidem ) rimarcano che “un buon 50 % degli individui che potrebbero soddisfare i criteri del disturbo antisociale in realtà non viene diagnosticato. Inoltre, si stima che vengono scoperti ed arrestati meno del 20 % degli individui che mettono in atto ripetutamente chiare forme di comportamento antisociale, come frodi, furti e truffe [ … ] Questi individui sono abili nel dissimulare il loro disturbo e, quindi, è bassa la probabilità di scoperta di tale condizione “. Tuttavia, di nuovo viene negata, seppur implicitamente, la non imputabilità del deviante affetto da APD.

Anzi, l’ APD costituisce più un adattamento (anti)sociale che non una malattia vera e propria ( Mayr, 1998 ). Senza dubbio, comunque, la sociopatia delinquenziale era ed è una lucida paranoia anti-democratica, anti-egualitaria e dannosa per la collettività, giacché “ nelle nostre società, in cui le interazioni avvengono per lo più in maniera ripetuta tra le stesse persone, la strategia più adattativa è la cooperazione, per garantirsi gratitudine e reciprocità dai potenziali partners “ ( Trivers, 1971 ). A tal proposito, Trivers (ibidem) utilizza i suggestivi lemmi etico-sociologici “ reciprocal altruism “, ma nemmeno in tale Autore anglofono, l’ APD è reputato alla stregua di un’ infermità psicoforense totalmente invalidante ( Art. 88 CP ) o semi-invalidante ( Art. 89 CP ). Viceversa, il sociopatico, quando commette lo white collar crime, è sempre cinico, consapevole, freddo e calcolatore.

E’ profondamente errato ed eugenetico, a parere di chi scrive, parlare di presunte “componenti ereditarie “ all’ interno dell’ APD ( Davison & Neale, ibidem ). Anche Cloninger & Reich & Guze ( 1975 ) infondatamente e falsamente ipotizzano “ una componente ereditaria, probabilmente poligenica, del Disturbo Antisociale e dei comportamenti ad esso collegati “. Si tratta di un fuorviante approccio socio-selettivo che ricorda l’ orrore violento di certune teorie medico-legali naziste e, del pari, sovietiche. Altrettanto volgarmente lombrosiano è affermare, come nel caso di Andreoli & Cassano & Rossi ( 2002 ), che “ il Disturbo Antisociale di Personalità è (?) più frequente tra i parenti di primo grado degli individui che presentano il disturbo. Tale familiarità è ( ? ) più frequente tra i parenti di femmine con il disturbo rispetto ai maschi. Sembra ( ? ), inoltre, che, nelle famiglie in cui c’ è un individuo con APD, i maschi manifestano più spesso lo stesso tipo di disturbo o disturbi da uso di sostanze, mentre le femmine manifestano più spesso il Disturbo da Somatizzazione “ . Viceversa, più correttamente, Davison & Neale ( ibidem ) contestualizzano l’ APD dichiarando che “ nella storia degli individui antisociali c’ è spesso un significativo livello di disgregazione familiare: alcolismo di uno o di entrambi i genitori, padri assenti, comportamenti violenti [ … ] I sociopatici hanno spesso situazioni familiari caratterizzate dalla presenza di genitori rifiutanti o anaffettivi, incapaci di imporre una giusta disciplina, o incoerenti nell’ imporre tale disciplina attraverso un uso malgestito di ricompense e punizioni “. Ognimmodo, la Dottrina criminologica non esclude l’ imputabilità del reo antisociale. Il modello pedagogico e familiare non esclude, dunque, la piena capacità penalistica d’ intendere e di volere.

Volume consigliato

Bibliografia

Andreoli & Cassano & Rossi, DSM-IV-TR, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, Text Revision, Masson, 2002
Buss, Evolutionary Social Psychology: Prospects and Pitfalls, Motivation and Emotion, 14, 1990
Caretti & Ciulla & Schimmenti, La diagnosi differenziale nella valutazione della psicopatia e del
comportamento violento, Rivista sperimentale di Freniatria, Vol. I, 2012
Cavalli Sforza L. & Cavalli Sforza F., Chi siamo. La storia della diversità umana. Arnaldo
Mondadori Editore, Milano, 1993
Cleckley, The Mask of Sanity, Mosby, St. Louis, 1976
Cloninger & Reich & Guze, The Multifactorial of Disease Transmission, II, Sex Differences in
the Familial Transmission of Sociopathy ( Antisocial Personality ), British Journal
of Psychiatry, 127, 1975
Comparini & Costa, Guida alla Psicologia evoluzionistica, Fondamenti e principali implicazioni,
Unipress, Padova, 2000
Davison & Neale, Psicologia clinica, Zanichelli, Bologna, 2000
Harpending & Sobus, Sociopathy as an Adaptation, Ethology and Sociobiology, 8, 1987
Kernberg, Disturbi gravi della personalità, Edizioni Bollati Boringhieri, Torino, 1984
Lalumière & Harris & Rice, Psychopathy and developmental instability, Evolution and Human
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Mayr, Il modello biologico, McGraw-Hill, Milano, 1998
McGuire & Troisi, Daewinian Psychiatry, Oxford University Press, Oxford / New York, 1998
Mealey, The Sociobiology of Sociopathy: An integrated evolutionary model, The Behavioral and
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Paris, Contesto sociale e disturbi di personalità. Diagnosi e trattamento in una prospettiva bio
-psico-sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997
Tibaldi, Disturbi di personalità nell’ ICD-10: un’ analisi psicofilologica, Poletto Edizioni, Milano,
1995
Trivers, The evolution of reciprocal altruism, Quarterly Review of Biology, 46, 1971

Dottor Andrea Baiguera Altieri lic. jur. svizzero

a.baigueraaltieri@libero.it

Dott. Andrea Baiguera Altieri

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