Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna una legge del 2017 della Regione Liguria che modifica la legge sulle condizioni di accesso alle case popolari, del 2004, che prevedeva per gli stranieri il requisito della carta di soggiorno, o il regolare soggiorno con permesso almeno biennale, nonché una attività regolare di lavoro, dipendente o autonomo. La nuova legge del 2017 stabilisce invece che gli stranieri debbano risiedere da almeno dieci anni, consecutivi, nel territorio nazionale.
Legge accesso alle case popolari
Nell’impugnazione alla Corte Costituzionale il Governo sostiene che tale legge viola la Costituzione, integrata con la normativa della Unione europea – la direttiva europea del 2003 recepita dall’Italia nel 2007 che ha modificato le norme sull’immigrazione – ai sensi della quale:
– lo status di “soggiornante di lungo periodo” coincide con i cinque anni e otto giorni dall’ingresso regolare nello Stato:
– da tale status consegue l’equiparazione ai cittadini italiani ai fini dell’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare.
La Regione Liguria difende la legge affermando che:
-la Corte Costituzionale si è già pronunciata più volte consentendo alle regioni, in materia di politiche abitative, di valutare il “radicamento territoriale, come condizione per accedere al bene casa, quale bene sia di primaria importanza che duraturo;
-la Regione Liguria si è mossa seguendo i principi tracciati dal legislatore nazionale. Ad esempio nella legislazione riguardante il “Piano Casa”, del 2008, per l’accesso alle case popolari è stato richiesto che gli immigrati regolari a basso reddito risiedano da almeno dieci anni nel territorio nazionale, ovvero da almeno cinque anni nella stessa regione.
La Corte costituzionale, sentenza 24 maggio 2018, n. 106
La Consulta dichiara la incostituzionalità della norma rilevando che:
– la direttiva recepita dall’Italia, quale norma interposta ai fini della violazione della Costituzione (art. 117), riconosce lo status di soggiornante di lungo periodo a chi abbia maturato almeno cinque anni;
– la direttiva prevede inoltre che i soggiornanti di lungo periodo siano equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini del godimento dei servizi e delle prestazioni sociali, tra cui rientra l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, in condizioni di parità con i cittadini medesimi;
-è vero che la Consulta si è espressa per un radicamento territoriale ulteriore e continuativo nell’ambito delle politiche sociali delle Regioni, ma solo se tale radicamento, richiesto ai cittadini di paesi terzi, sia contenuto entro limiti non irragionevoli e non arbitrari;
– infatti la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità della legge della Regione Valle d’Aosta che aveva previsto l’obbligo di residenza di almeno otto anni quale presupposto per l’assegnazione di case popolari, discriminando così sia i cittadini della Unione europea, sia i cittadini di paesi terzi soggiornanti da un quinquennio;
– l’assenza di ragionevolezza e di proporzionalità della legge della Valle d’Aosta, che di fatto consisteva in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari, è ancora di più accentuata nella legge della Regione Liguria che si spinge a richiedere un periodo di residenza ancora più elevato;
– la legge della Regione Liguria si mostra inoltre incoerente laddove prevede dieci anni di residenza nel territorio nazionale mentre, a prova del “radicamento territoriale” con il bacino di utenza cui appartiene il Comune che emana il bando per gli alloggi, circoscrive il requisito della residenza a cinque anni.
Quanto alla tesi per cui il “Piano casa” avrebbe aperto la strada alla legge ligure, la Consulta rileva che invece in quel Piano i dieci anni previsti per la residenza nel territorio nazionale erano un requisito, non cumulativo, bensì alternativo della residenza di cinque anni nella medesima regione.
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