Qual è l’ambito di indagine dell’ATP nelle recenti elaborazioni della giurisprudenza?

Redazione 06/12/18
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Individuare l’esatto ambito in cui deve muoversi l’indagine affidata al CTU rappresenta il problema che, sia in ambito pratico che applicativo, riveste un ruolo di assoluta preminenza per ciò che concerne il procedimento per ATP ed ha dato vita ad un vivace dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza.

La pronuncia Cass., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5658

Il punto di approdo della elaborazione giurisprudenziale è rappresentato dalla relativamente recente sentenza della Suprema Corte in cui è stato affermato che “il giudice del merito, in virtù del principio del libero convincimento, ha la facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame dal consulente tecnico e le considerazioni dal lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione, onde ben può trarre convincimento anche dalla consulenza espletata in sede di accertamento preventivo, pur se il consulente abbia ecceduto i limiti del mandato conferito, una volata che la relazione di quest’ultimo sia stata ritualmente acquisita agli atti” (42).

La costante giurisprudenza di merito ha sottolineato che il principio secondo cui la CTU non è un mezzo di prova deve essere inteso nel senso che la stessa non può essere tesa ad accertare un fatto od un evento nella sua storicità, il cui onere incombe sulla parte che tale fatto o evento allega.

Nel caso in cui il fatto o l’evento siano incontestati o comunque pacifici in causa nella storicità e si controverta unicamente sulle cause e/o sulle modalità dell’accadimento, si entra in un campo di accertamento e/o valutazioni/giudizi di ordine squisitamente tecnico come tale sottratto alla prova testimoniale e al relativo onere della parte per essere riservato al CTU nella sua qualità di persona provvista delle specifiche cognizioni tecnico-scientifiche nel campo di cui si tratta (43).

Una particolare importanza riveste la sentenza n. 12007 dell’8 agosto 2002 della Cassazione che segna lo spartiacque tra la portata tradizionalmente riconosciuta all’ATP e quella innovativa attribuita all’istituto dalla innanzi citata decisione. Anche la Consulta, attraverso due importanti pronunce, ha fornito un notevole apporto per ciò che attiene il profilo relativo all’estensione della relazione peritale.

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I compiti del CTU

Gli Ermellini, con riferimento all’estensione dell’ambito di indagine affidato al CTU in sede di ATP, hanno ritenuto ammissibile la semplice descrizione dello stato dei luoghi e della condizione delle cose, escludendo però ogni indagine relativa a cause ed entità del danno lamentato, per poi giungere ad accogliere anche l’esame di elementi di fatto ricollegabili alla produzione del danno.

La Cassazione, in una prima fase di questo processo interpretativo, ha subordinato la ricerca delle cause dell’evento lesivo al quesito contra legem disposto dal giudice, all’indagine svolta dietro iniziativa del CTU ovvero alla mancata opposizione delle parti. La Consulta si è pronunciata in materia operando nella decisione n. 388 del 1999 una lettura costituzionale dell’art. 696 c.p.c.

La svolta si è avuta con la sentenza della Suprema Corte n. 12007 dell’8 agosto 2002, ha esteso l’indagine anche alla ricerca delle cause ed alla quantificazione del danno, anticipando quasi l’intervento legislativo innovatore. La vexata quaestio ha trovato una soluzione con la novella legislativa del 2005 con l’introduzione di un secondo comma dell’art. 696 c.p.c, che ha espressamente previsto in sede di ATP che l’analisi peritale venga estesa all’eziologia dei danni riscontrati.

Il presente contributo è tratto da

Note 

(42) Cfr. Cass., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5658

(43) Cfr. Trib. Firenze, 3 aprile 2009, n. 1171.

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