Di dr. Salvatore Aprile
La Costituzione italiana individua nel lavoro il titolo fondamentale di appartenenza e di partecipazione alla vita della comunità e riferimento essenziale per lo sviluppo della personalità, coniugando in tal modo il principio solidaristico, che conferisce al lavoro il carattere doveroso, con il principio personalistico, che implica l’esercizio dell’attività lavorativa come diritto di ciascun individuo.
A tale diritto occorre far riferimento per cogliere a fondo il significato di tutto il complesso dei diritti afferenti i rapporti economici ed etico- sociali. Il riconoscimento del diritto al lavoro, collegato ad esigenze di ordine personale e a valori di natura sociale, si richiama, infatti, al principio d’uguaglianza sancito dall’art.3 della Costituzione, per garantire tutti i lavoratori, rispetto ai quali lo Stato si assume l’obbligo di rimuovere gli ostacoli impedienti la loro partecipazione alla vita collettiva.
In tale ottica la dichiarazione dell’art.4 della Carta costituzionale appare non tanto limitativa del potere del datore di lavoro in ordine all’attuazione o risoluzione del rapporto di lavoro, quanto estensiva della garanzia del lavoratore su tutta l’area del mercato del lavoro e non solo all’interno dell’azienda. Ne è prova la tendenza del nostro ordinamento giuridico, sempre più evidente, ad estendere la portata del contenuto del diritto al lavoro dal livello della disciplina dei rapporti individuali a quello della rilevanza sociale della condizione soggettiva del lavoratore.
Si profila così la più ampia tutela della sua posizione, estesa anche alla considerazione del valore del “diritto professionale” di ciascun prestatore di lavoro. Tale diritto investe non solo le modalità d’attuazione del rapporto lavorativo, ma anche le condizioni ambientali in cui esso si esplica, configurandosi pertanto come tutela della libertà, della salute e della dignità di persona- lavoratore.
Nella normativa giuslavoristica più recente, infatti, assume sempre maggiore rilevanza il riconoscimento della dignità della personalità del lavoratore come valore trascendente l’idea del suo essere “parte debole” nella dinamica del rapporto di lavoro, perché investe la persona nella sua dimensione sociale. Ciò non toglie che nel lavoro dipendente, la subordinazione socio- economica si presenti come un elemento caratteristico cui l’ordinamento giuridico riconnette la specifica normativa protettiva.
Tuttavia, la considerazione del profilo personalistico in materia di rapporti di lavoro ha fatto sì che si valorizzasse, rispetto all’originaria legislazione di tutela del lavoratore, la protezione globale della sua persona per favorire una concreta evoluzione sociale. Si è progressivamente sviluppata, così, la tendenza ad accentuare, da un lato, il profilo sanzionatorio della normativa a carico del datore di lavoro limitandone i poteri e l’autonomia decisionale, dall’altro, ad incidere sul soggetto che svolge la prestazione di lavoro con norme mirate alla formazione- informazione e all’assunzione di specifiche responsabilità anche da parte del lavoratore.
Vi sono, infatti, norme[1] che ampliano il contenuto del ruolo della posizione del dipendente nell’ambito dell’organizzazione del rapporto di lavoro, ed afferiscono alla tutela di interessi dei quali il lavoratore è portatore anche all’esterno del luogo di svolgimento della prestazione, poiché assumono contenuti non solo economico- professionali ma anche personali e sociali.
Alla rilevanza del ruolo attivo del lavoratore, così come si configura nella più recente normativa, è sottesa la spinta, che già animava il costituente, verso una “cultura della prevenzione” il cui perno sia la “cultura della dignità” della persona, che costituisce fondamento ideologico imprescindibile di ogni ulteriore evoluzione sia sul piano sociale sia sul piano sociale e civile.
I valori della libertà, dignità e riservatezza, così come la rilevanza della condizione di “benessere” psico- fisico del lavoratore, tendono ad ampliare la gamma delle disposizioni normative inerenti i limiti imposti alla discrezionalità delle scelte del datore di lavoro. Anche l’esercizio del potere di controllo trova una rigorosa delimitazione nell’art.6 dello Statuto dei lavoratori e nell’art.4 con il richiamo alla dignità e alla riservatezza che limita l’interferenza nella sfera morale del subordinato. L’ammissibilità dei controlli anche a distanza, in relazione ai caratteri organizzativi della prestazione di lavoro e alla tutela dell’integrità fisica dei prestatori, viene condizionata alle indicazioni fornite dai lavoratori stessi e dalle loro Rappresentanze Sindacali, restando sottratta alla mera valutazione discrezionale del datore di lavoro. Per il diritto alla riservatezza si è positivamente registrata nel nostro ordinamento giuridico una certa influenza della giurisprudenza tedesca che tende a riportare tale diritto nella sfera del più generale diritto della personalità all’auto- determinazione. Ciò perché nel nostro sistema giurisprudenziale il diritto alla riservatezza rappresenta non solo un bene giuridico tutelato come diritto soggettivo, ma è anche l’espressione di un’esigenza fortemente sentita in campo sociale ed europeo.
Sebbene la Costituzione non menzioni la tutela della riservatezza garantendola espressamente, così come dell’onore e dell’integrità psico- fisica, poiché questi beni sono riconosciuti tali e tutelati dall’ordinamento civilistico, nonché considerati come attinenti alla protetti penalmente, acquista sempre più rilevanza la necessità di individuare i casi nei quali altri soggetti possano interferire nella sfera privata della persona- lavoratore e definire precisi limiti al di là dei quali si configura la violazione della sua dignità e riservatezza. Tale esigenza ha iniziato a trovare riscontro nelle disposizioni del titolo primo dello Statuto dei lavoratori con la previsione di concrete garanzie contro ogni attentato alla libertà morale e alla dignità del lavoratore. Sono beni che connotano il bagaglio della persona e come tali esulano dalla sfera d’esercizio del potere di disposizione del datore di lavoro in relazione alla materiale utilizzazione della forza- lavoro prevista dall’obbligazione contrattuale.
Lo Statuto dei lavoratori non solo si richiama ai doveri del datore per tutelare la personalità del lavoratore, ma inserisce anche il “debito di sicurezza” e di tutela della salute del dipendente nell’area degli obblighi a carico del creditore della prestazione, configurando così un sistema di doppia tutela, contrattuale ed extracontrattuale, a garanzia di tutti i lavoratori. Essa costituisce un necessario aspetto della tutela della personalità del lavoratore sancita anche dall’art.2087 del Codice civile e il cui fondamento normativo risiede in tutto il monito costituzionale desumibile anche dall’art.41 Cost. teso allo sviluppo della personalità del lavoratore, subordinando perfino la libertà d’iniziativa economica alla tutela della sicurezza e al rispetto della dignità umana e considerando la salute come diritto primario del cittadino- lavoratore e interesse fondamentale della collettività.
La consapevolezza dello stretto rapporto organico di interdipendenza tra integrità psico- fisica e ambiente di lavoro ha orientato sin dagli anni ’70 il legislatore ad inquadrare la tutela della persona del lavoratore nel vasto ambito dell’assistenza sanitaria sul piano della sicurezza sociale. Il particolare rilievo dato dal legislatore alle esigenze di tutela della salute e della salubrità dell’ambiente è dimostrato dall’attenzione alla determinazione delle disposizioni in materia di igiene e sicurezza onde evitare tutti i possibili fattori d’inquinamento nocivi alla salute dei dipendenti.
La tendenza, apparsa molto chiara nella legislazione più recente, a favorire lo sviluppo di un’attività di partecipazione e controllo dei lavoratori sulle misure idonee a garantire la loro salute e incolumità, si trova già esplicitata nello Statuto, ove si legittima l’intervento sistematico delle Rappresentanze dei lavoratori nelle risoluzioni dei problemi inerenti la tutela della loro salute e sicurezza, ed è particolarmente evidenziata nella normativa degli anni ’90 di recepimento delle direttive europee. Il Decreto legislativo 626/94 obbliga specificamente i lavoratori ad attenersi a regole fondamentali di comportamento, consone alla salvaguardia della propria e altrui salute. Viene posta in risalto per la prima volta, nell’ottica di un ruolo attivo dei lavoratori, la responsabilità di ciascun dipendente per la propria “autotutela” sul posto di lavoro, esplicitando i doveri e le norme da rispettare per non causare danni alla propria persona e a quella dei colleghi che vi lavorano accanto e per collaborare proficuamente alla realizzazione e al mantenimento delle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro.
Parallelamente all’accentuarsi del valore della responsabilità dei lavoratori si sono notevolmente ampliati i profili sanzionatori a carico del datore di lavoro che non ottempera alle disposizioni prevenzionali, essendo soggetto a sanzioni pecuniarie, amministrative e penali, con la possibilità di dover affrontare anche la spesa del risarcimento civilistico. Le nuove frontiere del danno alla persona, infatti, fanno sì che si affianchi al cosiddetto “danno morale derivante da reato” dell’art.2059 Codice civile, la figura giuridica del danno biologico, con la conseguente risarcibilità anche di danni derivanti da sofferenze e patemi d’animo. Nell’ampio dibattito accesosi intorno alla natura, alla consistenza e alla sua collocazione nell’area del danno risarcibile, offre un costante contributo di chiarezza l’espressione “danno ingiusto” dell’art.2043 Codice civile, poiché stabilisce che non ogni danno è risarcibile, ma solo quello che l’ordinamento ritiene meritevole di riparazione ponendo l’obbligo risarcitorio a carico del soggetto responsabile. L’art.1226 codice civile, oltretutto, concede al giudice la facoltà di procedere alla valutazione del risarcimento stabilendone equitativamente l’entità, sempre però previa verifica della necessaria esistenza del nesso di causalità.
Il problema dell’individuazione del danno risarcibile è di estrema attualità in questi ultimi anni a causa del preoccupante aumento della frequenza dei danni da stress, dovuti alle vessazioni subite nel posto di lavoro e meglio conosciute come fenomenologia del mobbing. La lesione anche della salute psichica del lavoratore e le ripercussioni negative su tutto il rapporto di lavoro che ne conseguono, hanno consentito l’ingresso nel nostro ordinamento di nuovi profili di tutela anche di questo aspetto della figura del prestatore di lavoro, in un quadro generale che coinvolge, oltre alle parti del rapporto, tutti gli operatori del diritto, gli istituti preposti e la stessa Comunità Europea nell’ottica di una protezione globale della persona del lavoratore.
Dott. Salvatore Aprile
e-mail : s.aprile.web@virgilio.it
[1] che si possono correlare al “dovere di fedeltà” al datore di lavoro statuito nella normativa giuslavoristica, quali gli artt. 2104 e 2105 Codice civile.
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