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Sommario: 1. La disciplina delle operazioni portuali alla luce della vigente normativa. – 2. Compiti e funzioni dell’impresa terminalista. – 3. Le operazioni portuali ed i servizi tecnico-nautici alla luce degli interventi giurisprudenziali. – 4. I servizi tecnico-nautici dopo la della legge 30.06.2000 n. 186: chiose a margine.
1. DISCIPLINA DELLE OPERAZIONI PORTUALI ALLA LUCE DELLA VIGENTE NORMATIVA.
La parte più rilevante della disciplina di riforma dei porti italiani, introdotta con la legge 28 gennaio 1994 n. 84, è quella relativa alla riorganizzazione delle principali attività d’impresa svolte all’interno dei porti nazionali, vale a dire le operazioni portuali ed i servizi tecnico-nautici (da non confondere con i servizi portuali). A dieci anni esatti dall’introduzione della L. n. 84/1994, il dibattito, che ha diviso dottrina e giurisprudenza in merito alla natura e all’esercizio delle operazioni portuali e dei servizi tecnico-nautici, può dirsi sostanzialmente concluso. E’ per tale motivo che, ad avviso di chi scrive, solo oggi può analizzarsi in maniera compiuta e sistematica la disciplina, frutto di non pochi travagli, attualmente vigente in materia.
A mente dell’art. 16 della L. n. 84/1994, le operazioni portuali sono definite come “il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e d’ogni materiale, svolti nell’ambito portuale”. A riguardo la legge da un lato prevede che “le Autorità portuali o, laddove non istituite, le Autorità marittime disciplinano e vigilano sull’espletamento delle operazioni portuali e dei servizi portuali[1], nonché sull’applicazione delle tariffe indicate da ciascun’impresa (…Omissis…)”; dall’altro lato che “l’esercizio delle attività” relative a tali operazioni “espletate per conto proprio o di terzi è soggetto ad autorizzazione dell’Autorità portuale o, laddove non istituite, dell’Autorità marittima[2]” (art. 16, co. 2). Rispetto, quindi, alla disciplina previgente alla L. n. 84/1994, l’attività relativa alle operazioni portuali non è più esercitabile soltanto a mezzo di concessione, ma è accessibile a qualunque impresa dotata d’apposita autorizzazione. Sottacendo dei non indifferenti risvolti giuridici relativi alla diversa qualificazione giuridica del potere autoritativo (concessione o autorizzazione) attribuito all’Autorità amministrativa (portuale o marittima), tale scelta di fondo sembra idonea a far evolvere il sistema portuale italiano verso un’effettiva competizione tra imprese, a vantaggio dell’efficienza delle operazioni portuali e degli utenti portuali. A tal fine alle Autorità portuali o, dove non istituite, alle Autorità marittime è espressamente richiesto di rilasciare le autorizzazioni per l’esercizio delle operazioni portuali, “assicurando, comunque, il massimo della concorrenza nel settore” (art. 16, co. 7).
Il più agevole accesso al mercato delle operazioni portuali garantito dalla L. n. 84/1994 non significa, tuttavia, l’indiscriminata apertura dei porti e delle banchine senza alcun limite numerico a qualsiasi soggetto interessato. In particolare, l’art. 16, co. 4 lett. a), richiede, infatti, all’Autorità all’uopo preposta di valutare ogni richiesta di autorizzazione innanzitutto sulla base dei “requisiti di carattere personale e tecnico-organizzativo, di capacità finanziaria, di professionalità degli operatori e delle imprese richiedenti, adeguati alle attività da espletare, tra i quali la presentazione di un programma operativo e la determinazione di un organico di lavoratori alle dirette dipendenze … (omissis) …”. Il che, in altri termini, implica una valutazione rivolta ad assicurare che soltanto le imprese più capaci siano abilitate (rectius: autorizzate) ad utilizzare gli spazi portuali, avendo riguardo anche alla circostanza secondo la quale il porto è un luogo comunque ristretto, nel quale solo un numero finito (rectius: limitato) di imprese può ragionevolmente operare. Di conseguenza, diventa essenziale per l’Autorità portuale o marittima dotarsi di criteri selettivi per valutare tutte le possibili imprese richiedenti, e garantire l’accesso al mercato dei servizi e delle operazioni portuali solo a quelle con le migliori credenziali, e cioè quelle dotate di peculiari caratteristiche e capacità imprenditoriali, nonché di un programma di sviluppo ed investimenti idoneo a garantire benefici ritorni economici per il porto e per l’indotto che da esso trae il proprio sostentamento.
Pertanto, in questa prospettiva, la legge attribuisce all’Autorità portuale o marittima anche il potere di stabilire un numero massimo di imprese autorizzate ad operare nel porto (art. 16, co. 7) e la durata delle relative autorizzazioni, da rapportarsi “al programma operativo proposto dall’impresa”, salvo comunque il potere dell’Autorità portuale o marittima di verificare periodicamente il rispetto dei programmi da parte delle imprese autorizzate, oltrechè naturalmente di revoca dell’autorizzazione anche per il caso di mancato rispetto del programma (artt. 16, co. 4 lett. b) e 6).
2. LA FUNZIONE DELL’IMPRESA TERMINALISTA.
Il possesso di un’autorizzazione all’esercizio delle operazioni portuali può, in taluni casi, accompagnarsi al diritto di disporre in modo sostanzialmente esclusivo di spazi ed aree portuali. E in pratica, al possesso di una concessione demaniale in ambito portuale, vale a dire di un terminal (o terminale) nel porto. L’impresa che accoppia autorizzazione e concessione è così definita “impresa” od “operatore terminalista” (terminal operator), ed è, in effetti, il soggetto attorno al quale ruotano, in un sistema che potremmo definire “reticolare”, tutte le altre, eventuali, imprese autorizzate.
Va ricordato, infatti, che i servizi resi in occasione dello scalo in un porto da parte di una nave sono diversi: ad esempio una nave che trasporta contenitori, oltre ai servizi tecnico-nautici di pilotaggio, ormeggio ed eventuale rimorchio, ai servizi d’interesse generale (quali la raccolta dei rifiuti), nonché alle operazioni doganali e agli altri adempimenti collegati a queste ultime, riceve normalmente i servizi di rizzaggio e derizzaggio dei contenitori da movimentare, carico e scarico degli stessi e loro posizionamento sulla nave e a terra, movimentazione dei pezzi all’interno del terminal portuale, spuntatura degli stessi, controllo dei sigilli e delle chiusure, oltreché controllo dei pesi. Ai servizi standard di cui sopra, possono poi aggiungersene altri, quali quelli di provvista ed approvvigionamento della nave, di bunkeraggio (rifornimento delle navi) e il servizio d’assistenza antincendio per determinate categorie di merci (c.d. merci pericolose).
Com’è agevole comprendere, i servizi che costituiscono il “cuore” delle operazioni portuali sono quelli prestati dal terminalista ed in particolare quelli prestati con l’ausilio d’attrezzature fisse di banchina (le gru), per le quali è normalmente necessario disporre di aree portuali in via esclusiva, di qui la previsione di un atto concessorio. In un sistema così delineato il terminalista finisce per svolgere il ruolo di “catalizzatore e canalizzatore” della titolarità dei servizi resi all’utente: è solitamente il terminalista a stipulare accordi con le altre imprese autorizzate (di regola, contratti d’appalti di servizi) volti a coprire l’intero ciclo dei servizi richiesti da una nave in funzione dell’espletamento di operazioni portuali.
Ciò determina, in definitiva, all’interno del porto una peculiare struttura “di mercato”, e cioè la presenza di numerose imprese operanti a livelli contigui della filiera produttiva, tutte tese ad offrire all’utente quanto da egli richiesto al momento dell’ingresso in porto, e cioè un pacchetto di servizi integrato e tendenzialmente globale, da rendersi peraltro contestualmente e nel medesimo luogo.
3. LE OPERAZIONI PORTUALI ED I SERVIZI TECNICO-NAUTICI ALLA LUCE DEGLI INTERVENTI GIURISPRUDENZIALI.
Le ipotesi di monopolio naturale per lo svolgimento delle operazioni portuali, come sopra descritte, non sembrano particolarmente frequenti, per lo meno laddove riferite all’intera gamma delle operazioni portuali erogate all’interno di un porto.
Viceversa, meno improbabile appare il caso di monopoli naturali (o comunque di attività riservate ad un numero ristretto di operatori) rispetto ad alcuni servizi e segnatamente rispetto ai c.d. servizi tecnico-nautici ancillari alla navigazione; ciò anche a causa dello stretto collegamento tra l’esercizio di tali servizi e l’adempimento di specifici obblighi di servizio pubblico, previsti al fine di garantire la sicurezza dei porti e la prevenzione degli eventi dannosi nel loro ambito.
Prima dell’intervento risolutore da parte del legislatore (L. n. 186/2000), sul tema del monopolio dei servizi tecnico-nautici non è mancato un vivace dibattito che vale la pena esaminare.
Preliminarmente, occorre sgomberare il campo dalla tesi secondo cui le ragioni di un siffatto monopolio sarebbero solo d’origine storica. La tesi appare insostenibile se non relazionata con ragioni di carattere economico-tecnico (sicurezza all’interno del porto), oltre che giuridico.
Per quanto concerne le ragioni economiche, il motivo è di facile spiegazione, infatti, rispetto agli obblighi di garanzia dei servizi i prestatori degli stessi devono sostenere una serie di costi svincolati dalle fluttuazioni della domanda e dalla logica del mercato, la cui copertura può, normalmente, essere garantita soltanto dalla possibilità di “spalmare” su tutti gli utenti una quota parte degli oneri di servizio pubblico. In tal senso, un’apertura di tali mercati alla concorrenza dovrebbe, comunque, evitare che ad alcuni sia consentito di offrire (soltanto) i servizi più remunerativi (dal punto di vista operativo e/o temporale), “scremando” la parte più redditizia del mercato ed impedendo, di fatto, l’autofinanziamento e/o il sostentamento del servizio pubblico per altri. In particolare, com’è noto, assai di frequente l’organizzazione dei servizi in esame, con caratteristiche e finalità di tipo pubblicistico imposte dalle esigenze d’efficiente e sicura gestione dei porti e della navigazione, implica sunk costs la cui copertura a costi (e cioè prezzi) ragionevoli può essere raggiunta soltanto in presenza di un output piuttosto consistente, e dunque, quantomeno, in presenza di un numero minimo d’utenti che devono risultare, comunque, serviti soltanto da un unico soggetto erogatore. Una delle ipotesi proposte per ovviare a tale prospettiva, sarebbe quella di individuare, volta per volta, le soluzioni più idonee atte a garantire tali servizi e l’adempimento dei relativi obblighi di servizio pubblico alle condizioni più efficienti e meno onerose per gli utenti e per la collettività, oltreché nella massima misura compatibile con le esigenze della concorrenza e del mercato. Il che consentirebbe, talora, la praticabilità di soluzioni diverse dalle usuali e rigide forme di monopolio, a favore invece di modelli di mercato più flessibili che mantengano e stimolino una significativa pressione concorrenziale.
Per quanto concerne, invece, la seconda delle ragioni suddette (sicurezza in ambito portuale) il monopolio sembra inevitabile stante le caratteristiche del servizio, tali da renderne assai più complessa — o addirittura impossibile — l’erogazione laddove si abbandoni il modello dell’impresa unica per ciascun porto a discapito della sicurezza all’interno del porto stesso (per quanto attiene il diritto amministrativo giova ricordare che una deroga alla libertà di circolazione è ammessa per motivi d’ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica).
Se, quindi, rispetto alle operazioni portuali ed ai servizi rientranti nel ciclo ad esse relativo (c.d. servizi portuali di cui al D.M. n. 132/2001) la competizione tra imprese presenti sul mercato risulta la soluzione ottimale e più efficiente, non così vale per altre attività svolte nei porti, a causa di determinate caratteristiche delle medesime che, invece, impongono una regolamentazione del mercato in forza della quale solo un unico soggetto sia abilitato a fornire determinati servizi. Ciò vale, appunto, per i c.d. servizi tecnico-nautici ancillari alla navigazione, resi nell’interesse della nave (e solo indirettamente delle merci), e funzionali al mantenimento d’adeguati standards di sicurezza della navigazione ed in particolare negli spazi portuali ed in quelli ad essi antistanti.
Segnatamente, si tratta dei servizi resi alla nave in occasione del suo arrivo o della sua partenza dal porto, volti ad assicurare che quest’ultima arrivi, si muova, manovri, ormeggi, sosti e riparta in condizioni da non cagionare pericoli nei ristretti spazi portuali, in cui risulta più elevato il rischio d’incidenti, con potenziali danni a cose, a persone, alle infrastrutture portuali e/o all’ambiente.
I servizi tecnico-nautici ancillari alla navigazione sono essenzialmente quattro: il pilotaggio, il rimorchio, l’ormeggio e il battellaggio. Il pilota del porto ha il compito di guidare la nave in entrata o in uscita da un porto, e di coordinare il transito della nave con tutti gli altri movimenti in corso nelle acque portuali e/o negli altri spazi acquei “sensibili” rispetto al rischio d’incidenti. Il rimorchiatore, a richiesta del comandante, traina la nave o la spinge nelle fasi di manovra in avvicinamento, in transito o in partenza dal porto. L’ormeggiatore fa attraccare correttamente la nave in arrivo alle banchine o alle boe, assicura la nave all’ormeggio, vigila affinché la nave ormeggiata in porto o alle boe resti in sicurezza per tutta la durata della sosta in porto, intervenendo in caso di necessità o d’emergenza, coopera con l’equipaggio in fase di disormeggio della nave in partenza, liberando quest’ultima dagli ormeggi ed attendendo alla banchina o alla boa che la nave si sia allontanata safely dalle acque portuali ed abbia preso il mare. Il barcaiolo svolge un servizio di supporto logistico alla nave ed alle persone o merci, provvedendo, laddove richiesto, a svolgere un ruolo di collegamento tra la nave e la terraferma.
I servizi tecnico-nautici sono servizi nell’ambito dei quali appaiono senz’altro presenti caratteristiche e/o obblighi tradizionalmente riconducibili a quelli di un servizio pubblico. Essi, infatti, sono istituiti per il soddisfacimento d’esigenze di pubblico interesse, adempiono ad una funzione di carattere sociale (quella della sicurezza) sono disponibili e vengono erogati senza soluzione di continuità 24 ore al giorno 365 giorni all’anno con caratteristiche d’universalità. Ma non soltanto: i servizi sono prestati a favore di chiunque ne faccia richiesta, con qualunque tipo di nave e di condizioni meteo-marine, sulla base di tariffe, regole e modalità operative imposte dalla pubblica amministrazione attraverso atti a carattere autoritativo.
I servizi tecnico-nautici risultano tuttora regolati dal codice della navigazione agli artt. 62 ss., 86 ss. e 101 ss. e dal suo regolamento agli artt. 98 ss., 138 ss., 208 ss. (contra, TAR Sicilia – Sez. Catania n. 224/99). In effetti, lo schema del codice prevede per il pilotaggio, il rimorchio, l’ormeggio e il battellaggio modelli regolamentati di mercato, che conservano la loro attualità anche successivamente alla “rivoluzione copernicana” avvenuta con la L. n. 84/1994.
Sul piano sistematico, ed in particolare con riferimento alle generali regole di concorrenza, rilevano peraltro altre disposizioni non previste né nel codice, né nella L. n. 84/1994: si tratta, più precisamente, sul piano del diritto interno, dell’art. 8 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 (normativa che costituisce la disciplina italiana antitrust) e della L. n. 186/2000; su quello del diritto comunitario, che, com’è noto, rileva in modo determinante nella materia, dell’art. 90.2 del Trattato CE. Queste norme stabiliscono limiti all’applicazione delle regole di concorrenza nell’ambito di mercati regolamentati, e costituiscono quindi il naturale riferimento anche per i servizi tecnico-nautici (TAR. Lazio 12 gennaio 1996 n. 61); tuttavia questo principio non sembra essere stato accolto da parte della giurisprudenza amministrativa, per il vero minoritaria (TAR Sicilia – Sez. Catania n. 224/99) che, nel recente passato ha considerato, con argomentazioni non sempre convincenti, la riserva prevista dalle leggi suddette tacitamente abrogata a seguito dell’introduzione della L. n. 84/1994. Tale orientamento è maturato sul presupposto, ad avviso di chi scrive forviante, che nell’alveo delle operazioni portuali, introdotto dal legislatore dell’84, dovessero essere ricondotti anche i servizi tecnico-nautici, ancillari alla navigazione. L’impossibilità di condividere tale tesi, del resto, risulta avvalorata da quanto affermato da altra parte della giurisprudenza amministrativa (TAR. Lazio 12 gennaio 1996 n. 61; C.G.A. 14 giugno 2000 n. 495) in tema di differenza sostanziale tra le operazioni portuali disciplinate dalla L. n. 84/1994 e i servizi tecnico-nautici, adesso definiti e circoscritti dalla legge 30.06.2000 n. 186. In particolare, prima dell’entrata in vigore della L. n. 186/2000 era stato osservato che “le operazioni portuali — comprendenti, ai sensi dell’art. 16, co. 1 L. n. 84/1994, “il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e d’ogni altro materiale, svolti nell’ambito portuale — sono concettualmente e giuridicamente distinte sia dai servizi portuali che da quelli tecnico-nautici (pilotaggio, battellaggio, rimorchio e ormeggio) che, a causa dello stretto collegamento tra il loro esercizio e l’adempimento di specifici obblighi di servizio pubblico (tendenti a garantire la sicurezza dei porti e la prevenzione degli eventi dannosi nel loro ambito senza soluzione temporale nell’arco di ventiquattro ore), danno luogo ad ipotesi di c.d. monopolio naturale, come tale insopprimibile” (TAR. Lazio 12 gennaio 1996 n. 61; cfr. contra TAR Sicilia – Sez. Catania n. 224/99).
Posto dunque che le caratteristiche dei servizi in esame sembrerebbero giustificare la presenza sul mercato d’imprese erogatrici universali in condizioni di monopolio, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di vedere se, ed eventualmente a quali condizioni, fosse possibile “autoprodurre” tali servizi da parte degli utenti con l’impiego di proprio personale qualificato e di propri mezzi nautici.
Com’è noto, il diritto di autoproduzione è sancito in via generale nel nostro ordinamento dall’art. 9 della legge n. 287 del 1990. Tuttavia per quanto concerne la praticabilità, in via generale, dell’autoproduzione dei servizi tecnico-nautici a sgomberare il campo da ogni dubbio è intervenuto un parere reso dal Consiglio di Stato in relazione all’ormeggio, ma con un’ampiezza di motivazione idonea ad essere applicata anche per gli altri servizi: “Il diritto di autoproduzione previsto dall’art. 9, co. 1, della legge n. 287 del 1990, è un diritto soggettivo perfetto, esercitabile e tutelabile erga omnes, attributivo di potestà e facoltà liberamente esercitabile dai privati”.
Il diritto di autoproduzione non ha, tuttavia, una portata assoluta. La L. n. 287/1990 all’art. 9, co. 2 delinea i limiti dell’autoproduzione e la ritiene non consentita nei casi in cui in base alle disposizioni che prevedono la riserva (a favore di determinate imprese cui sono garantiti diritti esclusivi sul mercato) risulti che la stessa è stabilita per motivi d’ordine pubblico e difesa nazionale. La norma rinvia alla disposizione normativa fonte del monopolio pubblico, quale criterio per accertare la presenza di un limite all’autoproduzione. Nella specie, secondo parte della giurisprudenza amministrativa la normativa di riferimento è rinvenibile negli artt. 208 e 214 r.c.n.. L’esegesi della disciplina regolamentare dimostra che l’attività d’ormeggio, ma ciò si ritiene possa valere anche per gli altri servizi tecnico-nautici, è un servizio d’ordine pubblico, strutturato in guisa da garantire la sicurezza pubblica della navigazione e la sicurezza interna dei porti. A tal fine gli artt. 208 ult. comma e 214 r.c.n. assoggettano il servizio d’ormeggio ad una rigorosa disciplina amministrativa, sotto la sorveglianza dell’Autorità marittima. La portata delle suddette norme del Regolamento del Codice della Navigazione esprime la ratio iuris della riserva monopolistica consistente nella sicurezza pubblica. In tal senso sul piano ermeneutico l’art. 9, comma 2, della L. n. 287/1990, è da interpretare in senso ampio: “La sicurezza pubblica corrisponde alle condizioni essenziali per assicurare le ottimali situazioni di navigazione, ancoraggio e stazionamento della nave all’interno del porto. … (Omissis) … Ne deriva che, ex art. 9, comma 2, della legge n. 287 del 1990, va ritenuto che il diritto di autoproduzione non sia operante per il servizio di ormeggio disciplinato dagli artt. 208-214 del reg. cod. nav.” (Cons. Stato, sez. II, 30 agosto 1996 n. 1726) e per analogia neanche per gli altri servizi tecnico-nautici. In ogni caso, il mantenimento della struttura monopolistica del mercato dei servizi tecnico-nautici in ciascun porto, come già accennato, si accompagna ad una forte presenza e controllo da parte della pubblica amministrazione con riguardo all’erogazione di tali servizi. In particolare, così argomentando, appare del tutto naturale che l’art. 14, comma 1 bis[3] della L. n. 84/1994 preveda criteri e meccanismi di formazione delle tariffe la cui determinazione dovrà essere autoritativamente stabilita dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sulla base di un’istruttoria alla quale partecipano anche l’Autorità marittima, le rappresentanze unitarie delle Autorità portuali, oltreché naturalmente i soggetti rispettivamente erogatori e ricevitori dei servizi; istruttoria che dovrà essere condotta tenendo conto dei costi medi del servizio richiesto dall’utenza, al lordo degli investimenti e delle spese necessarie al rispetto degli standard di sicurezza e di operatività imposti ai prestatori, degli oneri di servizio pubblico gravanti sui suddetti prestatori (che dovranno essere pagati dall’utenza), nonché di un ragionevole profitto, ovvero di un’adeguata retribuzione per i servizi resi. Comunque, le tariffe stabilite non potranno essere tali da determinare discriminazioni tra utenti, e tanto meno discriminazioni basate sulla nazionalità di questi ultimi (solitamente volte a favorire gli armatori nazionali rispetto a quelli esteri).
Sotto quest’ultimo profilo, va senz’altro ricordato un importante caso risolto dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in tema di servizi di pilotaggio, ove sono stati affermati i seguenti principi: “Un regime di tariffe differenziate per i servizi di pilotaggio pregiudica un’impresa di trasporto …(Omissis)… nella sua qualità di prestatore di servizi di trasporto marittimo in quanto esse si ripercuotono sul costo di questi servizi e sono quindi tali da sfavorirlo rispetto ad un operatore economico che fruisca del regime tariffario preferenziale. … (Omissis) … Pertanto … (Omissis)… il principio della libera prestazione dei servizi, in particolare il principio di non discriminazione nel settore dei trasporti marittimi tra Stati membri, osta all’applicazione, in uno Stato membro, per servizi di pilotaggio identici, di tariffe diverse a seconda che l’impresa che effettua trasporti marittimi tra due Stati membri gestisca una nave ammessa o meno al cabotaggio marittimo, il quale è riservato alle navi battenti la bandiera di detto Stato …(Omissis)… inoltre, l’art. 90, n. 1 e l’art. 86 del Trattato CE vietano ad un’autorità nazionale che approvi le tariffe stabilite da un’impresa investita del diritto esclusivo di offrire servizi di pilotaggio obbligatorio su una parte sostanziale del mercato comune di indurla ad applicare tariffe diverse alle imprese di trasporto marittimo a seconda che queste ultime effettuino trasporti fra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale, nella misura in cui ciò è pregiudizievole per il commercio tra gli Stati membri (CGCE 17 maggio 1994, n. C-18/93)”.
Quindi, sotto questo profilo, si riafferma, con una portata che va al di là della specifica disciplina portuale, l’operatività, anche all’interno di mercati regolamentati, del principio volto ad assicurare pari opportunità d’iniziativa economica a tutte le imprese utenti delle prestazioni e/o attività oggetto di regolamentazione.
In una situazione di questo tipo, ad avviso di chi scrive, si può quindi ritenere che, delle varie soluzioni possibili, il monopolio dei servizi tecnico-nautici, sia, ancora oggi, il modello microeconomico più appropriato, non solo in virtù dell’ancora vigente normativa del codice della navigazione (nonostante l’entrata in vigore della L. n. 84/1994), ma anche sulla base dell’applicazione dei principi comunitari rilevanti al riguardo (contra, TAR Sicilia – Sez. Catania n. 224/99). Il che, peraltro, implica l’esigenza di un controllo da parte dell’Autorità competente (nella fattispecie quella marittima, secondo la conferma che di essa opera lo stesso art. 14 della L. n. 84/1994), onde garantire che i servizi in esame si svolgano con la massima efficienza in funzione delle specifiche caratteristiche geografiche del porto e dell’eventualità che, in determinati casi e per determinate navi, il coordinamento e l’attuazione dei loro movimenti negli spazi marittimi portuali avvenga ai costi più bassi possibili per gli utenti, fermo restando, comunque, il loro obbligo di contribuzione agli oneri di servizio pubblico, di cui sono sicuramente gravati i servizi tecnico-nautici, ancillari alla navigazione.
Tale conclusione, del resto già in passato sostenuta da chi scrive, prima dell’intervento legislativo (L. n. 186/2000) era stata, da ultimo, avvalorata anche dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, in sede d’appello alla citata sentenza del TAR Sicilia – Sez. Catania n. 224/99, che nel giudicare in merito alla possibilità di ricondurre nell’alveo del concetto di operazioni portuali anche i servizi tecnico-nautici ancillari alla navigazione, si è pronunciato evidenziando, una volta per tutte, la distinzione tra operazioni portuali e servizi tecnico nautici. Anche secondo il C.G.A. le operazioni portuali di cui all’art. 108 c.n. e all’art. 16 della L. n. 84/1994 “che hanno ad oggetto la movimentazione delle merci nell’area portuale”, sono concettualmente e giuridicamente distinte dai servizi portuali o tecnico-nautici (pilotaggio, battellaggio, rimorchio e ormeggio) in quanto “riguardano essenzialmente le navi e non le merci” e, le stesse, a causa dello stretto collegamento tra il loro esercizio e l’adempimento di specifici obblighi di servizio pubblico (tendenti a garantire la sicurezza dei porti e la prevenzione degli eventi dannosi nel loro ambito senza soluzione temporale nell’arco delle 24 ore) “non possono essere svolte da soggetti casuali, ma solo da soggetti forniti di professionalità e mezzi idonei” (C.G.A. 14 giugno 2000 n. 495). A tal riguardo il C.G.A. ha anche stabilito che solo alle operazioni portuali, così come definite dall’art. 108 c.n. e dall’art. 16 della L. n. 84/1994, sono riferibili gli effetti di liberalizzazione conseguenti alla nota sentenza della Corte di Giustizia CE del 10 dicembre 1991, n. 179/90, e che la disciplina di battellaggio non è in contrasto con il diritto antitrust comunitario, né con quello nazionale. Il Supremo organo di giustizia amministrativa ha, altresì, specificato che la L. n. 84/1994 non ha implicitamente abrogato l’art. 116 c.n. nè gli artt. 215 e ss. r.c.n. rimanendo, pertanto, vigente la precedente disciplina che regola il servizio di battellaggio nei porti e che prevede l’intervento dell’Autorità marittima per quanto attiene la disciplina e la vigilanza del servizio, in modo da assicurarne la regolarità, nell’espletamento dello stesso, secondo le esigenze del porto entro il quale il servizio si svolge.
In tal senso, quindi, il Comandante del Porto conserva le funzioni di sicurezza previste dal codice della navigazione ed attraverso le stesse esercita, in esplicitazione al potere di vigilanza che gli compete, un controllo nei confronti di tutti coloro che espletano un’attività all’interno dei porti, controllo che, in virtù di quanto già stabilito dal supremo giudice di legittimità (C. Cass. sentenza 28.11.1999 R.G.N. 10416/96, Rep. 244), consente allo stesso di garantire il rispetto delle norme di sicurezza della navigazione all’interno dei porti.
Il Supremo organo di giustizia amministrativa ha inoltre precisato che le persone giuridiche (differenti dai tipici operatori portuali: piloti, ormeggiatori, rimorchiatori e barcaioli) non hanno alcun titolo per l’ottenimento dell’autorizzazione necessaria per l’espletamento delle attività tecnico nautiche né hanno diritto soggettivo all’iscrizione nei registri all’uopo preposti.
In buona sostanza, posto che, come un’autorevole dottrina insegna, l’eventuale autorizzazione allo svolgimento dei servizi in questione rilasciata dall’Autorità amministrativa non è altro che un provvedimento mediante il quale l’amministrazione, nell’esercizio di un’attività autoritativa a carattere preventivo, provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo o ad una potestà pubblica, che, fanno già capo al soggetto istante, si può affermare che il C.G.A. abbia ritenuto che, in capo a soggetti (persone giuridiche) differenti dai tipici operatori portuali (piloti, ormeggiatori, rimorchiatori e barcaioli), non sussista alcun diritto soggettivo all’esercizio dei servizi de quibus, configurandosi, eventualmente, un interesse legittimo al corretto utilizzo del potere autorizzativo in capo all’amministrazione.
Infine, per quanto riguarda il già discusso aspetto inerente il diritto di autoproduzione di cui all’art. 9 della L. n. 297/90 del servizio de quo, il C.G.A. ha ribadito, come già affermato dalla costante giurisprudenza di merito, che l’espletamento diretto di un servizio di trasporto con mezzi nautici e personale proprio in favore degli armatori non può essere ricompreso neanche nell’ambito di un rapporto di raccomandazione, di guisa che le agenzie marittime non possono espletare, nemmeno in favore degli armatori rappresentati, tale servizio, non rientrando lo stesso nel concetto di autoproduzione (C.G.A. 14 giugno 2000 n. 495).
4. I SERVIZI TECNICO-NAUTICI DOPO LA LEGGE 30.06.2000 N. 186: CHIOSE A MARGINE.
Sulla scorta dell’animato dibattito dottrinale e giurisprudenziale, il legislatore, intervenuto sulla problematica relativa all’espletamento dei servizi tecnico-nautici, ha probabilmente (in tal senso non mancano opinioni contrarie) posto fine all’annoso dibattito (l’intervento si potrebbe dire sia avvenuto al culmine della sua “drammaticità”), trovando una soluzione definitiva con l’introduzione dell’art. 1 della legge del 30.06.2000, n. 186, che ha apportato sostanziali modifiche all’art. 14, 1 bis della L. n. 84/1994. Il legislatore, infatti, ha precisato che: “I servizi tecnico-nautici di pilotaggio, rimorchio, ormeggio e battellaggio sono servizi di interesse generale atti a garantire nei porti dove essi sono istituiti, la sicurezza della navigazione e dell’approdo”. Con l’introduzione di tale norma nel tessuto normativo della L. n. 84/1994, dunque, anche il legislatore ha evidenziato, una volta per tutte, ponendo termine all’annosa questione relativa alla distinzione (rectius: confusione) tra le “operazioni portuali” di cui alla L. n 84/1994 ed i “servizi tecnico-nautici” (c.d. servizi ancillari alla navigazione), che le operazioni portuali sono ontologicamente distinte dai servizi tecnico-nautici (pilotaggio, battellaggio, rimorchio e ormeggio), ribadendo che, solo l’espletamento di questi ultimi, a causa dello stretto collegamento tra il loro esercizio e l’adempimento di specifici obblighi di servizio pubblico, serve a garantire la sicurezza dei porti e la prevenzione degli eventi dannosi nel loro ambito, giustificando pertanto, seppur implicitamente, una prestazione “calmierata” degli stessi.
Inoltre, al fine di determinare dei criteri vincolanti per la regolamentazione e la disciplina, da parte delle Autorità portuali e marittime, dei servizi portuali (da non confondere con gli anzidetti servizi tecnico-nautici), ai sensi del novellato art. 16 L. n. 84/1994, è stato emanato il D.M. n. 132/2001 (cfr. parere Consiglio di Stato del 29 gennaio 2001).
Ad adiuvandum, la consacrata stabilizzazione del regime amministrativo dei servizi tecnico-nautici e delle operazioni portuali così delineata sembra, altresì, comprovata sia dal fatto che il legislatore con la legge 08.07.2003, n. 172 (che potremmo definire un provvedimento omnibus), pur apportando diverse modifiche anche alla L. n. 84/1994, ha lasciato intatto il quadro giuridico-normativo come sopra descritto, sia dalla circostanza che il disegno di legge (atti senato n. 2280), finalizzato al “riordino della legislazione in materia portuale”, tuttora in discussione al Parlamento (assegnato alla 8^ Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni in sede referente, discusso in data 05 maggio 2004), non prevede alcuna variante dell’attuale regime giuridico-amministrativo dei servizi tecnico-nautici.
Concludendo, a parere di chi scrive, l’attuale disciplina dovrebbe aver eliminato, una volta per tutte, quelle “zone d’ombra” che fino ad oggi hanno contribuito ad ingenerare confusione non solo tra gli “operatori portuali” e di quanti ruotano attorno al sistema portuale, ma anche tra chi, nella mancanza di chiarezza, ha cercato di insinuarsi in un sistema come quello portuale che, per i delicati equilibri intrinseci, non può essere lasciato alla libera disposizione di quanti, per fini prevalentemente economici, vogliano indiscriminatamente operarvi.
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(*) Tenente di Vascello (CP), Capo Ufficio Affari Giuridici e Diritto Internazionale Marittimo del Comando Forze da Pattugliamento.
Note:
[1] Le parole: “e i servizi portuali” sono state aggiunte dall’art. 2, comma 1, lett. b), della legge 30 giugno 2000 n. 186.
[2] Capitanerie di porto.
[3] Art. modificato della legge 30 giugno 2000 n. 186.
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