Inerenza all’esercizio d’ impresa e detraibilità Iva. Orientamenti giurisprudenziali

Redazione 08/06/01
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Antonio Paladino
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Il concetto di inerenza all’esercizio d’impresa (che lo si ricordi non è esplicitamente definito dal decreto Iva, ma lo si desume dalla lettura dell’art.19) e il relativo sorgere del diritto alla detrazione dell’imposta, è stato ed è tuttora strenuamente dibattuto e certamente in questa sede non si vuole dare un indirizzo definitivo, ma dare uno sguardo agli orientamenti giurisprudenziali, al fine di chiarificare le norme, evitando così un possibile defatigante contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria.
L’art. 19 del Dpr 633/72 statuisce che per determinare l’imposta dovuta a norma del primo comma dell’art.17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa.
La formulazione della norma, considerata alla luce delle disposizioni originarie previste dall’art.5, punto 6 della legge di delega per la riforma tributaria 9 Ottobre 1971, n.825 (che stabiliva, come criterio direttivo, la detrazione dell’imposta “in dipendenza di atti relativi alla produzione e al commercio di beni e servizi imponibili”), indica chiaramente che opera la detrazione prevista quando vi sia correlazione tra attività esercitata dal soggetto passivo ed i beni e/o servizi acquistati, i quali perciò devono necessariamente inerire all’impresa, anche se non è richiesta la loro utilizzazione effettiva. Per inciso, la normativa comunitaria, (art.17, par.2 della VI direttiva), stabilisce che il diritto alla detrazione compete “nella misura in cui beni e servizi si utilizzano per porre in essere operazioni soggette ad imposta o alle stesse assimilate”.
La disposizione in esame riguarda, pertanto, tutti i beni dell’impresa, anche quelli non strumentali in senso proprio, purché destinati alle finalità della produzione o dello scambio nell’esercizio dell’attività dell’impresa.
Affinché sia operabile la detrazione d’imposta, è condizione necessaria che i costi sostenuti, la cui imposta si dovrà detrarre da quella delle operazioni attive, per la determinazione dell’imposta dovuta o a credito, siano collegati all’esercizio d’impresa, e precisamente il cui utilizzo deve essere incardinato nell’ambito di un ciclo produttivo conducente a valle ad operazioni imponibili (Comm. Trib. Centrale n.2030 del 4.6.93, CTP Milano n.40 del 24.2.98). In tale decisione è pertanto chiaro l’orientamento dei collegi giudicanti: se il costo imputato non concorre a generare operazioni imponibili, non è inerente all’esercizio d’impresa e pertanto non è ammessa in detrazione la relativa Iva.
Ai fini della detraibilità dell’imposta, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per il sorgere del cosiddetto diritto alla detrazione è a carico del soggetto che tale diritto, nell’ambito del computo dell’imposta, allega o comunque intende far valere, in applicazione alla regola generale posta dall’art.2697 C.C., del fatto giuridico da cui discende il suo preteso diritto, gli elementi costitutivi per l’esercizio del diritto, cioè che gli acquisti effettuati riguardino l’attività specifica oggetto dell’impresa nella loro destinazione concreta ed esclusiva. (Comm. Trib. Centrale n.3100 dell’11.6.97, Cass. Sen. n. 2762 del 14.3.98, Cass. Sen. 5981 del 19.5.92).
Sovente, l’onere della prova può non incombere per evidenti ragioni sul ricorrente e quindi non è consentita l’inversione. Tale prova può ritenersi insita proprio nella natura stessa dell’attività e cioè nella complessità del genere di attività commerciale dell’impresa medesima (Comm. Trib. Centrale n.4 del 3.1.1992).
Si è pertanto pervenuti ad inserire un ulteriore tassello: il bene su cui si opera la detrazione dell’imposta, deve avere un’esclusiva e concreta collocazione nel processo produttivo del contribuente. Concreta, poiché deve essere chiara e visibile la sua inerenza all’esercizio d’impresa, così da potersi dimostrare; esclusiva poiché l’utilizzazione di tale bene non può essere ovviamente confusa con fini estranei all’attività che si svolge.
Sulla deducibilità dell’Iva relativa a beni e servizi suscettibili di utilizzazione promiscua manca tuttora, a livello comunitario, una disciplina comune. Disciplina che, in esecuzione al paragrafo 6 dell’art.17della VI Direttiva n.388/77, avrebbe già dovuto essere operativa da almeno un ventennio. E’ prassi consolidata che per i tali beni, va accertata caso per caso l’effettiva destinazione dei beni alle finalità dell’impresa in base alle prove offerte da chi alleghi la deducibilità (Comm. Trib. Centrale n.67 dell’8.1.1993, Comm. Trib. Centrale n. 6845 del 24.10.1990, Comm. Trib. Centrale n.5009 del 21.6.1991). Nel caso ci si trovi in presenza di una società, l’ambito di operatività dell’impresa deve essere valutato con riferimento a tutte le attività (anche quelle al momento non esercitate) indicate nell’oggetto sociale, in vista delle quali la società è stata costituita e al cui esercizio i soci sono tenuti a concorrere (Cass. Sen. n.14350 del 21.12.99).
Inoltre, non è condivisibile la linea interpretativa che vede identificato un bene come “posto al servizio dell’impresa”, e perciò, di riflesso, detraibile. In merito, la Cassazione con Sen. 10919 del 5.10.92 ha bocciato tale interpretazione, in quanto la stessa si palesa priva di concreta aderenza al dato normativo ed alla connotazione oggettiva del tributo in questione; il diritto alla detrazione presuppone un rapporto di inerenza dell’operazione all’esercizio dell’attività del soggetto passivo d’imposta con esclusiva relazione alla destinazione del bene all’impresa (nel caso di specie era stato detratto da parte di un impresa esercente il commercio all’ingrosso di alimentari, il costo per la costruzione di un campo da tennis per il relax dei propri dipendenti).
Oltretutto, anche quando si invochi un’esigenza pratica di utilizzazione del bene per renderlo “inerente” all’esercizio dell’attività svolta (ad esempio un’autovettura), la stessa non costituisce prova (Comm. Trib. Centrale n.7799 del 16.11.1991).
Da ultimo, sono sorti orientamenti reclamanti un innegabile diritto alla detrazione d’imposta scaturente dalla lettura dell’articolo 4, comma 2 del Dpr 633/72, così da correlarlo con il successivo art.19.
Vediamo in dettaglio: “si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio d’impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo, in accomandita semplice, dalle società per azioni e a responsabilità limitata….”
Bisogna prestare attenzione, poiché, in forza della presunzione della norma citata, vanno ricomprese nell’esercizio d’impresa, con la conseguente detraibilità dell’iva assolta a monte, solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dai soggetti societari, ma non anche gli acquisti, i quali rientrano nella disposizione prevista dall’art.19 (Comm. Trib. Centrale n.1983 del 24.5.93).

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