Proponibilità del regolamento di giurisdizione e motivo di appello

La natura provvedimentale dell’attività di verifica.

In punto di proponibilità del regolamento di giurisdizione, è noto che – ai sensi del disposto di cui all’art. 10 c.p.a. e del rinvio al codice di procedura civile – finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione; tuttavia, ciò non preclude che – poiché l’accertamento della giurisdizione rappresenta un capo autonomo della stessa, che, la questione formi oggetto di uno specifico motivo di appello, al fine di impedire il passaggio in giudicato sul punto ed anzi, la parte – che aveva sollevato la questione di in primo grado – che voglia contestare la conclusione raggiunta dal primo giudice di tale motivo si intende onerata.

Il Tribunale nella sentenza in esame

Nel caso di specie, il Tribunale di prime cure ha ritenuto che l’oggetto dell’impugnativa attenesse alla fase ancora antecedente a quella dell’esecuzione del contratto, sicché richiamando la costante giurisprudenza in tema di riparto di giurisdizione, ha trattenuto la giurisdizione, non già unicamente sul dato formale del riferimento contenuto nel provvedimento regionale gravato all’organo giurisdizionale presso cui esercitare l’eventuale tutela, quanto piuttosto con riferimento all’approdo giurisprudenziale, secondo il quale è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (cfr., Cons. Stato, ad. plen. n. 6 del 2014; Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710).

Ancorché l’approvazione – ove contemplata – sia considerata, dal punto di vista negoziale, una condicio iuris che agisce sulla efficacia o esecutività del contratto, ma non si inserisce nel procedimento formativo dello stesso, occorre evidenziare che l’obbligazione assunta – nei contratti che vedono come parte la pubblica amministrazione – opera unilateralmente solo per il privato ma non anche per l’Amministrazione finché il contratto stesso non sia stato approvato. E’ solo con l’approvazione, infatti, che l’obbligazione assunta dall’Amministrazione diventa giuridicamente perfetta, derivandone l’assunzione dell’impegno contabile.

Pertanto, l’approvazione non costituisce solo atto dell’accordo negoziale, ma è atto rilevante ai fini della gestione contabile, dando evidenza della ‘asimmetria negoziale’ esistente tra parte privata e pubblica nell’ambito delle procedure negoziali, dalla quale discende che la posizione giuridica del privato, in attesa dell’approvazione non assume la consistenza del diritto soggettivo ma rimane di interesse legittimo ed è pertanto azionabile davanti al giudice amministrativo.

Le Sezioni Unite ord. n. 24411 del 2018

In tale senso depone anche la recente pronunzia delle Sezioni Unite (ord. n. 24411 del 2018) che – seppure con riferimento alla specifica materia dei contratti pubblici ed alla sfera della relativa giurisdizione esclusiva – ha avuto modo di precisare che nella fase successiva all’aggiudicazione definitiva, e sino alla conclusione del contratto, si ‘riespande’ il criterio di riparto ordinario imperniato sulla tradizionale distinzione fra diritto soggettivo e interesse legittimo, da applicarsi a seconda che la domanda sia diretta a tutelare, sotto il profilo del petitum sostanziale, una posizione dell’una o dell’altra natura: a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo, è sufficiente l’esistenza in astratto del potere, rimanendo la verifica della sua esistenza “in concreto” rimessa alla cognizione della fondatezza, o meno, della posizione soggettiva azionata.

Rientrano in questa situazione, dunque, ed appartengono conseguentemente alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, secondo gli ordinari criteri di riparto, gli atti di controllo successivi alla stipula del contratto, ossia gli atti di sua approvazione (di cui all’art. 12, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 163 del 2006), caratterizzati dall’intervento di un potere autoritativo da parte dell’amministrazione aggiudicatrice (nello stesso senso, devono leggersi i principi di cui alle pronunzie della Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710 e del Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17).

Allorquando venga effettuata una verifica per il controllo di stoccaggio dei prodotti vinicoli, al fine di accertarne al conformità all’art. 29 del Reg. CE 1623/2000 (risultando il superamento dei valori relativi agli zuccheri riduttori), si tratta di accertamento su campioni prelevati dal funzionario dell’Ispettorato dell’Ufficio provinciale agricoltura, come previsto dalla Circolare AGEA n. 35 del 2006 e non ripetibile. Il prelievo – regolato nella specie dalla disciplina nazionale e sovrannazionale – è un atto amministrativo, assistito dalla presunzione di legittimità e di conformità alla legge. La fattispecie è diversa dal caso in cui esso sia eseguito nel contesto di un procedimento penale, ipotesi in cui esso deve avvenire nell’ambito delle garanzie predisposte dal codice di procedura penale. Non vi è, dunque, alcun obbligo di garantire la possibilità di revisione (peraltro non prevista a livello normativo), essendo invece sufficiente che il prelievo e la successiva analisi siano effettuati in modo rituale. fronte dell’esito negativo del controllo, l’Amministrazione non poteva che trarne le dovute conseguenze, trattandosi dell’attribuzione di benefici pubblici. E correttamente prendeva in considerazione le segnalazioni AGEA in ordine all’anomalia procedimentale inerente alla ripetizione delle analisi.

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Avv. Biamonte Alessandro

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