(Ricorsi dichiarati inammissibili)
(Normativa di riferimento: C.p. art. 640-ter)
(Normativa di riferimento: D.lgs., 21/11/2007, n. 231, art. 55, c. 9)
Il fatto relativo all’utilizzo abusivo di carta di credito
Con sentenza in data 26 aprile 2018, la Corte di Appello di Potenza confermava la pronuncia del Tribunale di Vallo della Lucania del 30 gennaio 2017 che aveva condannato V. G. e V. A. alle pene di legge in quanto entrambi ritenuti responsabili del delitto di utilizzo abusivo di carta di credito di cui all’art. 55 d.lvo 231/2007.
Motivi nel ricorso per Cassazione nell’ipotesi di truffa informativa
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati, tramite il difensore di fiducia avv.to N. F., deducendo violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla qualificazione giuridica dei fatti che andavano ricondotti all’ipotesi della truffa informatica di cui all’art. 640 ter cod. pen. poiché gli imputati avevano carpito fraudolentemente i codici di accesso e non erano entrati in possesso della carta così da potere integrare il contestato e ritenuto reato.
Il ragionamento della Cassazione
I ricorsi proposti venivano stimati manifestamente infondati e pertanto erano dichiarati inammissibili alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si evidenziava prima di tutto che, in tema di distinzione tra le due figure delittuose di utilizzazione abusiva di carte di credito e truffa informatica, la stessa Corte di Cassazione avesse già avuto modo di affermare che l’indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di una carta di credito integra il reato di cui all’art. 55, comma nono, D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e non il reato di truffa, che resta assorbito in quanto l’adozione di artifici o raggiri è uno dei possibili modi in cui si estrinseca l’uso indebito di una carta di credito (Sez. 2, n. 48044 del 09/09/2015, Rv. 265363) posto che il delitto di frode informatica, a differenza di quello di cui all’art. 55 n. 9 del D.Lgs. n. 231 del 2007, richiede necessariamente che si penetri abusivamente nel sistema informatico bancario e si effettui illecite operazioni sullo stesso al fine di trarne profitto per sé o per altri (Sez. 2, n. 50140 del 13/10/2015, Rv. 265565).
Posto ciò, una volta fatto presente che l’art. 55 comma 9 citato prevede la sanzione penale per “chiunque, al fine di trarne profitto per se’ o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, e’ punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per se’ o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonche’ ordini di pagamento prodotti con essi”, si metteva altresì in risalto come apparisse evidente che, se per consumare tale delitto non è indispensabile il materiale possesso della carta di credito o di pagamento essendo anche solo sufficiente il possesso dei codici della stessa carta e dei codici personali utilizzati a fini di profitto personale od anche a vantaggio di terzi, viceversa, la frode informatica ex art. 640 ter cod. pen. sanziona la condotta di colui il quale, “alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno” e richiede quindi, quale elemento differenziale e specifico, l’accesso al sistema e non anche il semplice utilizzo di dati personali comunque illecitamente acquisiti.
Tal che se ne faceva conseguire come la condotta di chi effettui operazioni di pagamento mediante una carta di credito o di pagamento di cui non risulti titolare anche senza il materiale possesso della carta stessa ma utilizzando il numero ed i codici personali della medesima carta di cui è venuto illegittimamente in possesso integra il delitto di cui all’art. 55 citato e di conseguenza, poiché nel caso in esame i ricorrenti avevano fatto utilizzo della carta e dei codici senza esserne titolari per effettuare pagamenti presso un sito on line gli stessi, non avendo fatto accesso ad alcun sistema informatico riservato, ad avviso della Corte, apparivano essere i responsabili del delitto loro esattamente contestato.
La decisione definitiva della Cassazione
La sentenza è condivisibile in quanto in essa è stato correttamente ritenuto sussistente il delitto di utilizzazione abusiva di carte di credito anziché quello di truffa informatica.
Non essendo infatti avvenuto nella fattispecie in esame nessun abusivo accesso informatico (criterio questo che, come appena visto prima, è necessario accertare per potersi ritenere configurabile il reato di cui all’art. 640 ter c.p. e che oltre tutto distingue questa fattispecie criminosa da quella preveduta dall’art. 55, c. 9, D.lgs., 21/11/2007, n. 231), va da sé che la qualificazione giuridica, così come posta in essere nel capo di imputazione, era giusta.
E’ del pari evidente che, invece, ove in situazioni analoghe, si verifichi un accesso di questo tipo, e, nonostante ciò, si contesti il delitto di utilizzazione abusiva di carte di credito, tale errore di diritto potrà essere rilevato in sede giudiziale.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento