Sommario: Premessa. – 1) Il rimedio giustiziale nella legge 241/1990. – 2) Il rimedio giustiziale nel d.lgs. 33/2013 come modif. dal d.lgs. 97/2016. – 3) Il ricorso gerarchico improprio ex d.P.R. 1199/1971 quale efficacie strumento giustiziale. – 4) L’effetto deflattivo svolto dalla Commissione per l’accesso. 5) Il rimedio giustiziale obbligatorio per favorire il cittadino e attenuare il contenzioso.
Premessa
Il cittadino che riceve un diniego totale, parziale, oppure non riceve alcuna risposta dalla pubblica amministrazione ad una istanza di accesso documentale ex legge 241/1990 o di accesso civico generalizzato ex d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016, per cercare di ottenere quanto richiesto può seguire due strade:
- presentare ricorso al Tribunale Amministrativo regionale (opzione giurisdizionale), sapendo bene di dover sostenere un costo non indifferente;
- presentare prima di adire il TAR un ricorso amministrativo all’organo competente (opzione giustiziale).
Per l’opzione a) c’è poco da dire, il ricorso al TAR ed eventualmente al Consiglio di Stato ha un costo: il contributo unificato, l’avvocato (obbligatorio al Consiglio di Stato).
Per l’opzione b) il discorso è articolato e va approfondito, infatti sarà il tema del presente lavoro.
Per far ciò, esaminiamo il procedimento di accesso ai documenti disciplinato dalle due norme, e in particolare: l’opzione giustiziale contro il diniego.
Il rimedio giustiziale nella legge 241/1990
La legge 7 agosto 1990, n. 241 concernente: “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, all’articolo 27 istituisce la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (CADA) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Alla Commissione è stata affidata (fin dal testo storico) la vigilanza sull’attuazione del principio di piena conoscibilità dell’attività della pubblica amministrazione. Alla Commissione inoltre è stato dato il compito di redigere una relazione annuale sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, da trasmettere alle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e di proporre al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso.
La legge 11 febbraio 2005, n. 15 “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa” con l’articolo 17 ha modificato radicalmente il comma 4 dell’articolo 25, assegnando alla CADA il potere di decidere in merito ai ricorsi amministrativi presentati contro il diniego totale o parziale, ovvero il differimento adottato dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. La modifica in sostanza attribuisce alla CADA un’importante funzione giustiziale[1]: in altre parole: il richiedente ricevuto dalla p.a. un diniego all’accesso, prima di adire il tribunale amministrativo regionale, può presentare un ricorso amministrativo alla Commissione.
Anche il Difensore civico svolge la funzione stragiudiziale ex articolo 25 comma 4 della legge 241/1990 di riesame dei dinieghi agli accessi agli atti[2], applicando come la Commissione la legge sul procedimento amministrativo e il d.P.R. 184/2006 “Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”. Con un procedimento assolutamente univoco stabilito a livello nazionale nelle citate norme, il Difensore civico esamina i ricorsi e le leggi regionali che disciplinano le funzioni dello stesso non possono certamente interferire e tantomeno derogare la disciplina nazionale dell’accesso agli atti ex l. 241/90 e dell’accesso ambientale ex d.lgs. 195/2005 (l’articolo 7 del d.lgs. 195/2005 per la tutela del diritto di accesso rimandala alla procedura dell’art. 25 comma 4 legge 241/1990).
A tutt’oggi tale rimedio giustiziale previsto dall’art. 25 comma 4 della legge 241/1990[3] secondo alcuni autori appare “affievolito”, questo perchè al ricorso segue più che una decisione in senso tecnico (come ad esempio può essere quella disciplinata dall’articolo 5 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 concernente: Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi) una sorta di “invito” alla p.a. a rivedere il procedimento e riconsiderare il rifiuto all’accesso, che se non si conclude con una conferma motivata del diniego, non ha l’effetto di annullare lo stesso, ma determina l’accoglimento ex lege della specifica richiesta del ricorrente[4].
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Il rimedio giustiziale nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016
Per l’accesso civico generalizzato (anche noto come Freedom of Information Act, FOIA) disciplinato dall’articolo 5 comma 2 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e s.m.i., il legislatore affida al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) il ricorso contro il diniego totale o parziale dell’accesso o la mancata risposta ad una richiesta di accesso civico generalizzato (comma 7). Il RPCT investito della questione decide con provvedimento motivato entro il termine di venti giorni, sentito eventualmente il Garante per la protezione dei dati personali.
In questo caso non c’è dubbio che il procedimento rientri nella fattispecie del ricorso gerarchico proprio, con procedura ed effetto ex articolo 5 del d.P.R. 1199/1971, ovvero con la possibilità da parte del RPCT di annullare o riformare la decisione di rigetto all’accesso civico generalizzato.
Il successivo comma 8 offre al ricorrente una scelta: qualora il diniego totale o parziale dell’accesso o la mancata risposta provenga delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il richiedente può presentare ricorso al difensore civico competente per ambito territoriale, in alternativa al ricorso al RPCT[5]. Se il difensore civico ritiene illegittimo il diniego o il differimento questi informa il richiedente e lo comunica all’amministrazione competente invitandola a riesaminare la vicenda. Se questa non conferma il diniego o il differimento entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l’accesso è consentito per legge. Anche in questo caso, come precedentemente illustrato per la legge 241/1990, la funzione giustiziale del Difensore civico appare debole, poco incisiva, caratterizzata da un procedimento che non porta all’adozione di una decisione ex articolo 5 del d.P.R. 1199/1971 in grado di annullare o riformare il diniego, pertanto non efficace per il cittadino.
Il ricorso gerarchico improprio ex d.P.R. 1199/1971 quale efficacie strumento giustiziale
Abbiamo visto che la legge 241 del 1990 affida alla Commissione per l’accesso e al Difensore civico l’opzione giustiziale[6], scegliendo una procedura soltanto assimilata al ricorso gerarchico improprio[7], ma che non ne possiede le necessarie caratteristiche risolutive.
Viceversa, il legislatore per d.lgs. 33/2013 affida l’opzione giustiziale al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, scegliendo senza esitazioni la via del ricorso gerarchico proprio, con l’ulteriore possibilità di chiamare in causa il difensore civico con tutti i limiti evidenziati.
A parere di chi scrive, anche per il d.lgs. 33/2013 sarebbe stato più logico scegliere soltanto la via del ricorso gerarchico improprio e affidare alla Commissione la competenza per il ricorso contro i dinieghi o le mancate risposte nei confronti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, e al Difensore il ricorso contro i dinieghi o le mancate risposte delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali (ed enti collegati).
Questo perché il ricorso gerarchico improprio può rappresentare un’effettiva e credibile alternativa al ricorso giurisdizionale, con la possibilità di indirizzare la massiccia scelta del cittadino per la via giudiziaria verso quella amministrativa[8]. E’ chiaro che la via giustiziale per essere valida e competitiva deve possedere caratteristiche risolutive, ovvero seguire una procedura esplicita, rigorosa e tempestiva[9].
Quindi, non vi è dubbio che la decisione sul ricorso adottata da un’autorità diversa, non legata da un rapporto di gerarchia con quella dalla quale il provvedimento è stato emanato (ricorso gerarchico improprio[10]), darebbe maggiore garanzia d’imparzialità al ricorrente[11], innalzando il grado di fiducia del cittadino verso l’alternativa giustiziale.
Si potrebbe obiettare che alcune regioni sono sprovviste della figura di garanzia del Difensore civico, sia a livello provinciale che regionale, perciò i cittadini residenti nelle stesse in caso di diniego di accesso civico non avrebbero modo di usufruire del rimedio stragiudiziale e quindi per far valere le loro ragioni sarebbero costretti a ricorrere esclusivamente al Tribunale amministrativo regionale.
Questo, tuttavia, è un falso problema in quanto la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi con direttiva del 28 dicembre 2015 adottata in assenza di specifica disposizione legislativa, ha riconosciuto la propria piena competenza a decidere, nel merito, anche sulle istanze di riesame presentate ai sensi dell’articolo 25, comma 4 della legge 241/1990, avverso i dinieghi di accesso delle amministrazioni regionale e degli enti locali, nel caso di accertata assenza del difensore civico sia nell’ambito territoriale di riferimento provinciale che regionale, e tale lodevole iniziativa potrebbe essere utilmente inserita nella legge 241/1990 e nel d.lgs. 33/2013.
L’effetto deflattivo svolto dalla Commissione per l’accesso ai documenti
E’ innegabile che l’attuale modello procedimentale di ricorso alla Commissione (e al Difensore civico) abbia degli oggettivi limiti, come è stato evidenziato da autorevole dottrina[12] e ripetutamente denunciato anche dalla Commissione stessa nelle Relazioni nel corso degli anni.
Invero, la Commissione ha ripetutamente sollecitato il legislatore a conferirle maggiori poteri per garantire il diritto di conoscibilità degli atti della p.a. Sul punto, esponiamo uno stralcio della: “Relazione per l’anno 2016 sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione” trasmessa dalla Commissione alle Camere e al Presidente del Consiglio: (…) Tuttavia, in caso d’inadempienza da parte dell’amministrazione, la Commissione per l’accesso è sfornita di efficaci poteri coercitivi e per ottenere l’ottemperanza all’obbligo di concedere l’accesso. Il ricorrente si dovrà quindi necessariamente rivolgere al TAR. Sul problema dell’inottemperanza dell’amministrazione a fronte della decisione della Commissione che abbia riconosciuto il diritto di accesso agli atti si è più volte pronunciata la Commissione per l’accesso nel corso degli anni. Anche nel 2014, come negli anni precedenti, ha sempre deciso confermando il difetto di poteri ordinatori in capo alla Commissione ed indicando la competenza specifica del giudice amministrativo. In particolare, la Commissione ha ribadito che: in caso di perdurante ritardo dell’amministrazione nel concedere l’accesso, pur dopo una decisione favorevole al cittadino in sede di ricorso, la Commissione – nell’esercizio della propria attività consultiva o giustiziale – non può obbligare l’amministrazione, difettando in capo alla prima poteri ordinatori nei confronti della p.a. (ex art. 25 L. n 241/90), fatta salva l’eventuale possibilità del cittadino di adire il competente Giudice amministrativo, dotato di poteri coercitivi per dare attuazione concreta al diritto di accesso. In proposito, la Commissione sottolinea che tale carenza di poteri, di fatto, in molti casi, finisce con l’inficiare la piena efficacia dello strumento di tutela amministrativa, costringendo il cittadino, per ottenere l’accesso a doversi comunque rivolgere all’autorità giurisdizionale.
La Commissione per l’accesso, nell’ambito dell’esercizio dei propri poteri di impulso attribuiti ai sensi dell’articolo 27 della legge n, 241 del 1990 ritiene necessario sollecitare un intervento del legislatore finalizzato a dotarla dei necessari poteri coercitivi, sostitutivi o sanzionatori, utili ad ottenere dalle amministrazioni inadempienti l’effettivo accesso alla documentazione richiesta, in caso di accoglimento dei ricorsi. (…).
Ma c’è di più.
Infatti, nonostante i limitati poteri come più volte ribadito in questo breve scritto, la Commissione ha svolto dal 2006 ad oggi, uno straordinario lavoro di alleggerimento del contenzioso giurisdizionale, mettendo in campo un potente quanto prezioso effetto deflattivo.
Di seguito alcuni eloquenti dati estratti anch’essi dalla Relazione 2016 della Commissione (pubblicata sul proprio sito www.commissioneaccesso.it):
“(…) Tale strumento di tutela offerto al cittadino, non solo favorisce l’esercizio effettivo del diritto d’accesso nei confronti dell’amministrazione pubblica, ma, tenuto anche presente il non trascurabile costo di un eventuale ricorso giurisdizionale, contribuisce anche ad una consistente riduzione del contenzioso giurisdizionale, come illustrato dalla seguenti Figure 23 e 24, dalle quali si evince che su un totale di 8691 ricorsi trattati dal 2006 al 2016, solamente 146 decisioni della Commissione per l’accesso sono state successivamente impugnate dinanzi al TAR.
In particolare nel 2016 su 1405 ricorsi esaminati, sono state impugnate solamente 15 decisioni della Commissione per l’accesso al TAR (nel corso dell’anno 2015 le decisioni impugnate al TAR erano state 16 su 1270 ricorsi; nel corso del 2014 erano 15 su 1181 e nel 2013 erano 19 su un totale di 1095 ricorsi).
Il rapporto medio tra decisioni della Commissione e ricorsi al TAR nell’arco temporale che va dal 2006 al 2016 è pari all’ 1,68% di decisioni impugnate in sede giurisdizionale.
Nell’anno 2016 il tasso di ricorsi in sede giurisdizionale delle decisioni della Commissione è stato pari all’1,06% (nel 2015 il tasso di impugnative al Tar è stato dell’1,26%, in lieve diminuzione rispetto a quello registrato nell’anno 2014, in cui si era registrato già un decremento del tasso di impugnazione in sede giurisdizionale delle decisioni della Commissione; nel 2014 il dato si era attestato sull’1,27% a fronte dell’1,64%del 2013, del 2,11% del 2012 e del 2,76% registrato nell’anno 2011). (…)“.
Ebbene, credo sia giunto il momento di tradurre in legge i ripetuti suggerimenti della Commissione, così da potenziare l’attività giustiziale della stessa (e del Difensore civico), adeguando il procedimento di riesame (o ricorso) alle disposizioni previste dal d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. In tal modo i predetti Organi adotteranno una decisione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 5 del citato d.P.R., con la possibilità di annullare o riformare il provvedimento di diniego o di differimento dell’accesso agli atti.
Per di più, si potrebbe prevedere in una eventuale modifica delle norme in commento, che in caso di mancata conclusione del procedimento di accesso civico generalizzato, con l’ostensione della documentazione nei successivi dieci giorni dalla trasmissione della decisione della Commissione o del Difensore civico all’amministrazione interessata e al richiedente, quest’ultimo possa chiedere al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza l’applicazione del comma 5 dell’articolo 43 del d.lgs. 33/2013 e s.m.i.
Stessa cosa per l’accesso documentale: in caso di mancata conclusione del procedimento di accesso con l’ostensione della documentazione nei successivi dieci giorni dalla trasmissione della decisione della Commissione o del Difensore civico all’amministrazione interessata e al richiedente, quest’ultimo potrebbe chiedere al titolare del potere sostitutivo l’applicazione del comma 9 dell’art. 2 della legge 241/1990 e s.m.i.
Il rimedio giustiziale obbligatorio per favorire il cittadino e attenuare il contenzioso
Ora, valutato che il procedimento di ricorso gerarchico improprio ex d.P.R. 1199/1971 è un efficace rimedio giustiziale da inserire nelle norme in esame, perchè non utilizzarlo come Alternative Dispute Resolution (ADR) per attenuare il contenzioso giurisdizionale?
In sostanza, il carico di lavoro dei magistrati amministrativi potrebbe essere alleggerito, almeno per ciò che riguarda i ricorsi contro il diniego di accesso documentale e civico generalizzato, inserendo una disposizione che obblighi il cittadino a percorrere preventivamente la strada del ricorso stragiudiziale alla Commissione o al Difensore civico, sul modello della Commission d’accès aux documents administratifs francese CADA, istituita con la legge n. 78-753, del 17 luglio 1978[13], oppure come è previsto nella Repubblica federale di Germania dove per poter accedere alla tutela giurisdizionale (in generale), prima si ricorre obbligatoriamente (il rimedio prende il nome di Vorverfahren) avanti alla pubblica amministrazione[14], o ancora, come funziona nel Regno Unito con gli administrative tribunals, un soggetto terzo che fa parte dell’amministrazione e non della giurisdizione, in grado di valutare i ricorsi dei cittadini contro i provvedimenti[15]. In altre parole, il ricorso (o riesame) dovrebbe essere presentato ad un organismo non gerarchicamente collegato all’ente che ha negato l’accesso, prima di adire ai tribunali amministrativi[16].
La stessa Unione Europea spinge per incentivare l’utilizzo di Alternative Dispute Resolution (ADR), per la risoluzione di contrasti tra la pubblica amministrazione e il cittadino mediante l’intervento di un organo esterno alla p.a.[17]. Per il Consiglio d’Europa: …” è auspicabile promuovere procedure alternative di risoluzione delle controversie a monte e a valle del processo, per evitare la congestione dei tribunali”[18]. Naturalmente dovranno essere assicurate adeguate procedure così come chiarito dalla Corte di Giustizia[19]: … il ricorso a sistemi ADR è possibile nel caso siano previste opportune garanzie e sia considerata la possibilità per le parti di accedere al contenzioso in tribunale nel caso di fallimento della mediazione. In sostanza, l’utilizzo delle ADR deve garantire efficienza e qualità della giustizia su tutto il territorio europeo[20].
Non vi è dubbio che il nostro ordinamento riconosca in capo alla pubblica amministrazione, la possibilità di azionare strumenti giustiziali, come il ricorso amministrativo, per risolvere contrasti sorti con il cittadino; l’espressione “funzione giustiziale” indica infatti quell’attività della p.a. mirata a eliminare, in modo imparziale e in contradditorio un conflitto nato con lo stesso[21]. E’ tuttavia innegabile che il nostro sistema registri una netta tendenza alla risoluzione delle controversie mediante la via giudiziaria anziché quella amministrativa[22]. Lo sforzo legislativo di potenziamento degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie attuato negli ultimi anni in vari campi è certamente apprezzabile, soprattutto perché il giudice va visto come una risorsa del sistema, da invocare nelle fattispecie di maggiore rilevanza. Quindi, l’attenzione del legislatore, o meglio l’auspicio dell’osservatore, è che siano messi in campo rimedi alternativi riguardanti controversie tra cittadini e pubblica amministrazione[23].
L’esigenza d’individuare tali rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale, principalmente per scopi deflattivi[24], è stata più volte evidenziata anche dal massimo organo della giustizia amministrativa.
Vale la pena riportare integralmente il paragrafo 8 della Relazione del Presidente De Lise sull’attività della Giustizia amministrativa per l’anno 2011:
“Gli strumenti deflativi del contenzioso: Alternative Dispute Resolutions-ADR
Come in diverse occasioni ho avuto modo di affermare, uno strumento deflativo del contenzioso potrebbe essere il ricorso a forme alternative alla giurisdizione, fra le quali le cd. Alternative Dispute Resolutions-ADR, su cui oggi l’Unione Europea insiste molto.
Le ragioni del successo che queste iniziative stanno riscuotendo negli altri ordinamenti sono: l’esigenza di deflazionare il carico del contenzioso, con conseguente possibilità di assicurare una protezione più effettiva delle pretese azionate; la tempestiva risoluzione delle controversie; l’opportunità di una decisione “elastica” e nel dominio delle parti, con la ricerca di soluzioni improntate all’equità; la specializzazione del soggetto chiamato a dirimere le questioni.
L’idea di fondo – che è anche alla base del concetto europeo di ADR – è che la giurisdizione va considerata come una risorsa non illimitata, da riservare alle questioni più rilevanti. Pertanto, nell’interesse del cittadino, occorre introdurre forme di tutela che ne assicurino la soddisfazione, con le dovute garanzie di terzietà, al di fuori del sistema processuale ordinario.
Sulla scia della recente riforma della mediazione introdotta nel giudizio civile (d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28), almeno per alcune materie, si potrebbe tornare a prevedere il previo ed obbligatorio sperimento di ricorsi amministrativi, garantendo la terzietà e la specializzazione degli organi competenti a deciderli.
È dunque da auspicare che il Parlamento provveda ad una riforma in tal senso – che peraltro non sembra comportare oneri finanziari – eventualmente mediante delega al Governo. In quest’ultimo caso si potrebbe ipotizzare la costituzione di una Commissione a composizione mista, come è avvenuto per il Codice del processo amministrativo, che consenta un adeguato confronto fra gli appartenenti alle categorie interessate.
Noi non ci sentiremo “svalutati” se si rafforzeranno le alternative al nostro lavoro. Anzi, ci sentiremo trattati come una risorsa preziosa, da preservare”[25].
Pertanto, come autorevolmente affermato: “E’ ormai arrivato il tempo di pensare seriamente alla previsione di efficaci strumenti di risoluzione dei conflitti alternativi al giudice amministrativo”[26] e a parere dello scrivente, non ci sono dubbi sul tipo di Alternative Dispute Resolution (ADR) da mettere in campo, infatti: “Il solo modello di ricorso amministrativo potenzialmente in grado di soddisfare le istanze di tutela sottese all’esercizio della funzione giustiziale è, a ben vedere, il ricorso gerarchico improprio, nella misura in cui esso si connota per un’assoluta estraneità (a dispetto del nomen) a schemi organizzativi di tipo gerarchico, tale da fornire – almeno sul piano teorico – un modello procedimentale in grado di garantire l’esercizio di un’attività formalmente e sostanzialmente finalizzata alla sola giusta risoluzione di un conflitto”[27].
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Note
[1] I n tal senso: M. Occhiena “I poteri della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi: in particolare, la funzione giustiziale ex lege 214/90 e D.P.R. 184/2006”, in L’accesso ai documenti amministrativi 10.2 Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo – Dipartimento per l’informazione e l’editoria.
[2] 4. Comma 4, art. 25 l. 241/1990 e s.m.i. (…) In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore.
[3] Comma 4, art. 25 l. 241/1990 e s.m.i. (…) Se il difensore civico o la Commissione per l’accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è consentito. (…)
[4] In tal senso: G. P. Cirillo il nuovo sistema della tutela giustiziale e giurisdizionale in materia di accesso ai documenti amministrativi, Seminario “Il nuovo diritto di accesso agli atti amministrativi”, 2006, Milano.
[5] Cfr Delibera ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016, “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs 33/2013”, Allegato, punto 3 La Tutela.
[6] Secondo M. A. Sandulli in “Codice dell’Azione Amministrativa” CEDAM, ed. 2017, pag. 1357, tale attività non può essere ricompresa nella funzione giustiziale della p.a., bensì può essere assimilata ai medi amministrativi alternativi alla giurisdizione A.D.R. Alternative Dispute Resolutions di tipo non aggiudicativo, misure non giurisdizionali di risoluzione delle controversie che – ispirandosi a criteri di terzietà, semplicità, rapidità e gratuità – tendono ad una composizione conciliativa pseudo-negoziale, o comunque non impositiva della lite.
[7] M. G. Della Scala, I ricorsi amministrativi in materia di accesso ai documenti, in L’azione amministrativa aa.vv. Giappichelli Editori, ed. 2016; G. Gardini cit. pag. 16; F. P. Mastrovito, Il Ricorso gerarchico; settembre 2015. Cfr. ex multis: Consiglio di Stato, Sez. VI, del 2003 n. 2938; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 5 maggio 2008, n. 3675; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. 1, 2 novembre 2009, n. 452; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 3 novembre 2009, n. 10747; TAR Lombardia MI, Sez. III, 6 aprile 2009, n. 3166; TAR Lazio Roma, Sez. I, 29 ottobre 2014, n. 10863; Consiglio di Stato, Parere del 14 settembre 2016, n. 1920; TAR Lazio Roma, Sez. I –bis, 15 novembre 2018, n. 11022.
[8] In tal senso: M. A. Sandulli “Codice dell’Azione Amministrativa”, CEDAM ed. 2017, pag. 1357.
[9] In tal senso: C. Tagliente, “Il ricorso gerarchico nel settore della sicurezza alimentare”, su www.giustizia-amministrativa.it; A. Travi, Ricorsi amministrativi, in Dig. Disc. Pubbl., Torino 1997, pag. 394.
[10] Cfr. F. Cuocolo “Istituzioni di Diritto Pubblico”, Giuffrè. 2000; L. Delfino, F. del Giudice “Diritto Amministrativo”., Simone, .2008; E. Casetta “Manuale di Diritto Amministrativo”, Giuffrè, Milano, 2009; F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2005, F, Castiello, “I ricorsi Amministrativi”, Maggioli, 2013.
[11] L. Salvia, “Trasformazioni e modelli di esercizio della funzione giustiziale nell’ordinamento nazionale ed europeo”, Dottorato di ricerca in Diritto pubblico, comprato, internazionale, XXX Ciclo, anno accademico 2016/2017 Università degli Studi di Roma Sapienza; M. Calabrò, Modelli di tutela non giurisdizionale: i ricorsi amministrativi, Report annuale – 2013 –Italia, maggio 2013, IUS Publicum Network Review; M. Calabrò, L’evoluzione della funzione giustiziale nella prospettiva delle appropriate dispute resolution, in Federalismi n. 10/2017.
[12] Così G.P. Cirillo op. cit.
[13] In tal senso M. Occhiena, “I poteri della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi: in particolare, la funzione giustiziale ex lege 241/90 e d.P.R. 184/2006, su L’accesso ai documenti amministrativi 10.2 www.commissioneaccesso.it
[14] Interessante è l’articolo in tal senso di S. Rossa, “Il ricorso amministrativo come strumento deflattivo della giustizia amministrativa? L’esempio tedesco.”, 2014
[15] Si veda F. M. Longhi, “La seconda chance: una rivisitazione dei ricorsi amministrativi per una reale alternativa al processo”, 2016 su www.lab-ip.net – Laboratorio per l’innovazione pubblica.
[16] Sul punto si veda anche: S. Fiorenzano, Tutela amministrativa dinanzi alla Commissione per l’acceso, in Il Regolamento sull’accesso ai documenti, Commento al D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, AA.VV. A. Giuffrè Ed. Milano 2006; C. Tagliente, “Il ricorso gerarchico nel settore della sicurezza alimentare”, su www.giustizia-amministrativa, 16 ottobre 2018.
[17] In tal senso M. Calabrò, Modelli di tutela non giurisdizionale: i ricorsi amministrativi, Report Annuale – 2013 –Italia, maggio 2013, su IUS Publicum Network Review; M. Calabrò, L’evoluzione della funzione giustiziale nella prospettiva delle appropriate dispute resolution, in Federalismi n. 10/2017;
[18] Così riporta l’interessante articolo apparso sul blog: www.mediaresenzaconfini.org – ADR e accesso alla giustizia: una importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 19 luglio 2015, commento alla: Corte Europea per i diritti dell’uomo, in Ačimović v. Croatia, 9 Ottobre 2003 r Kutić v. Croatia, 1 Marzo 2002.
[19] Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 18 marzo 2010- Tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale, Cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08.
[20] Così espone C. Tonicello, in “La risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori nel diritto dell’unione europea. La Direttiva ADR e il regolamento ODR”, in www.diritto.it, 2017.
[21] In tal senso: M. Calabrò, “Ricorsi amministrativi e funzione giustiziale. Prospettive di riforma e valorizzazione del ricorso gerarchico improprio”, in dir. e proc. amm. n. 1 del 2012.
[22] Così: M. Giovannini, Il ricorso amministrativo nello spazio giustiziale, in Foro amm. TAR fasc. 2, 2009.
[23] In tal senso: M. Giovannini, op. cit.; S. De Felice, Le A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) nei confronti della pubblica amministrazione, Intervento al Convegno di Studi del 25 settembre 2004 dal titolo: “Risoluzione stragiudiziale delle controversie e gestione d’impresa: nuove prospettive per la conciliazione e l’arbitrato in materia societaria”.
[24] In tal senso: C. Volpe, “Mediazione e giudizio amministrativo” intervento svolto nel convegno su: “Qualità ed effettività nelle tutele extragiudiziali dei diritti, quali scelte condivise per migliorare la giustizia” Università di Cagliari 27-29 settembre 2018, pubblicato su www.giustizia-amministrativa.it il 9 ottobre 2018.
[25] Relazione sull’attività della Giustizia amministrativa, Pasquale de Lise, Presidente del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, Roma, 8 febbraio 2011; in tal senso anche il Presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini nella Relazione presentata per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015
[26] Così P. Cirillo, in “Mediazione e giudizio amministrativo”, intervento svolto nel convegno internazionale: “Qualità ed effettività nelle tutele extragiudiziali dei diritti, quali scelte condivise per migliorare la giustizia?”, organizzato dall’Università degli studi di Cagliari e altri, e svoltosi a Cagliari nei giorni 27 – 29 settembre 2018, su www.giustizia-amministrativa.it
[27] M. Calabrò, L’evoluzione della funzione giustiziale nella prospettiva delle appropriate dispute resulution, www.federalismi.it, n. 10/2017.
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