Ai giornali online si applicano le norme penali previste per la stampa su carta?

Redazione 14/01/19
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Negli ultimi anni il problema dell’estensione della disciplina sulla stampa ai giornali online è stato interessato da importanti pronunce giurisprudenziali che hanno segnato una piccola rivoluzione.

Norme penali applicabili alla stampa su carta

Il c.d. statuto della stampa su carta è costituito da diverse norme penali, talune favorevoli e altre sfavorevoli al reo.

Innanzitutto, l’art. 21, co 3 e 4, Cost. prevede una fondamentale norma di garanzia, in base alla quale “si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’ Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto”. È dunque possibile procedere con il sequestro della stampa soltanto nei soli casi previsti dalla legge e per atto motivato dell’autorità giudiziaria.

L’art. 57 c.p. contiene invece una norma di sfavore, in quanto prevede la responsabilità penale omissiva del direttore del giornale per i reati commessi dagli autori con il mezzo della stampa.

Sempre in senso sfavorevole, gli artt. 5 e 16 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 prevedono poi il reato di stampa clandestina.

Gli artt. 13 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 e 595, comma 3, c.p. prevedono, inoltre, degli aggravamenti di pena allorché il reato di diffamazione sia commesso con il mezzo della stampa.

Con riferimento alle norme di sfavore (incriminazioni e aggravamenti di pena), in passato l’orientamento giurisprudenziale consolidato è sempre stato nel senso di non ritenere applicabile alla stampa online le norme penali previste per la stampa su carta. Ciò in base alla considerazione che, altrimenti argomentando, si perverrebbe a una applicazione analogica in malam partem, in contrasto con il principio di legalità imposto dall’art. 25 Cost.

Si è sempre sostenuto, infatti, che la lettera dell’art.  1 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 offrisse una nozione di stampa che non consentiva un’applicazione estensiva (questa sì astrattamente ammissibile in relazione alle norme di sfavore, a differenza dell’applicazione analogica) alla stampa online. In base alla norma appena citata “Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”.

Tale definizione di stampa è stata tradizionalmente riferita tanto alle norme di sfavore contenute nella legge 8 febbraio 1948 n. 47 (recante la nozione di stampa in discorso), quanto alle norme di sfavore contenute nel codice penale.

È però pacifico che il divieto di analogia rappresenti un ostacolo solo con riferimento alle norme incriminatrici o, comunque, alle norme di sfavore per il reo. È invece possibile l’applicazione analogica in bonam partem, salvo che le norme di favore abbiano natura eccezionale.

Una rivoluzione giurisprudenziale

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 17 luglio 2015, n. 31022 sono intervenute con riferimento all’ambito di applicazione dell’art. 21, comma 3, Cost. Nonostante la pronuncia attenesse all’ambito di applicazione di una norma di favore (dunque astrattamente applicabile anche in via analogica), le Sezioni Unite hanno dapprima effettuato un’interpretazione evolutiva del termine “stampa” contenuto nell’art. 21, comma 3, Cost. In seconda battuta, le Sezioni Unite hanno altresì proposto una nuova interpretazione estensiva della nozione di stampa contenuta art.  1 della legge 8 febbraio 1948 n. 47.

Nel primo caso, le Sezioni Unite hanno affermato che qualora il termine “stampa” contenuto nell’art. 21, comma 3, Cost. non fosse riferibile anche alla stampa online “si verrebbe a determinare […] un’evidente situazione di tensione con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.. Si legittimerebbe, infatti, un irragionevole trattamento differenziato dell’informazione giornalistica veicolata su carta rispetto a quella diffusa in rete, con la conseguenza paradossale che la seconda, anche se mera riproduzione della prima, sarebbe assoggettabile, diversamente da quest’ultima, a sequestro preventivo. È necessario, pertanto, discostarsi dall’esegesi letterale del dettato normativo e privilegiare una interpretazione estensiva dello stesso, sì da attribuire al termine ‘stampa’ un significato evolutivo, che sia coerente col progresso tecnologico e, nel contempo, non risulti comunque estraneo all’ordinamento positivo, considerato nel suo complesso e nell’assetto progressivamente raggiunto nel tempo”.

Secondo le Sezioni Unite del 2015 con riferimento all’art. 21, comma 3, Cost. occorre accedere a un concetto di stampa “in senso figurato”. Per stampa deve intendersi il prodotto editoriale che presenta i requisiti ontologico (struttura) e teleologico (scopo della pubblicazione) propri di un giornale.

In particolare, la struttura (elemento ontologico) è costituita dalla “testata” (cioè l’elemento che identifica il giornale) e dalla periodicità  delle pubblicazioni.

Lo scopo della pubblicazione (elemento teleologico) si concretizza nella raccolta, nel commento e nell’analisi critica di notizie legate all’attualità (cronaca, economia, costume, politica) e dirette al pubblico, perché ne abbia conoscenza e ne assuma consapevolezza nella libera formazione della propria opinione.

Non sono quindi stati ritenuti inclusi nella nozione di stampa appena descritta i blog, le newsletter, le mailing list e i social network.

Le Sezioni Unite del 2015 sono poi pervenute anche a ritenere possibile un’interpretazione estensiva della nozione tecnica di stampa contenuta nell’art.  1 della legge 8 febbraio 1948 n. 47: “E’ possibile, invero, un differente approccio al significato del termine ‘riproduzione’. La riproduzione può ben essere intesa come potenziale accessibilità di tutti al contenuto dello stampato; la produzione di un testo su internet è funzionale alla possibilità di riprodurne e leggerne il contenuto sul proprio computer. L’immissione dell’informazione giornalistica in rete, inoltre, lascia presumere la diffusione della stessa, che diventa fruibile da parte di un numero indeterminato di utenti, il che integra la nozione di ‘pubblicazione’”.

Nonostante le Sezioni Unite si siano pronunciate con riferimento alla norma garantistica prevista dall’art. 21 Cost., la possibilità di effettuare un’interpretazione estensiva del termine “stampa” ha riaperto il dibattito anche con riferimento all’ambito di applicazione delle norme che prevedono norme di sfavore.

La nozione di stampa delineata dalle Sezioni Unite del 2015 è stata infatti utilizzata dalla Corte di Cassazione ai fini di individuare l’ambito di applicazione delle aggravanti previste dagli artt. 13 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 e 595, comma 3, c.p.

La Cassazione, con sentenza dep. in data 1 febbraio 2017, n. 4873, ha affermato che Facebook, sulla scorta della nozione fornita dalle Sezioni Unite del 2015, non può essere qualificato come “stampa”, difettando i requisiti strutturale e teleologico sopra descritti. Non è dunque applicabile l’aggravante prevista dall’art. 13 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 nel caso di diffamazione avvenuta tramite la “bacheca” di Facebook. È invece ben possibile applicare l’aggravante prevista dall’art. 595, comma 3, c.p., atteso che essa viene espressamente riferita anche al caso in cui la diffamazione sia avvenuta attraverso “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.

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