Si rileva, per altri versi, che non si è di fronte a una scelta legislativa scontata. Da un lato, si consideri che, in altri ordinamenti, il concetto di causa è del tutto trascurato e ciò che essenzialmente rileva è la prestazione di un consenso manifestato dalle parti in modo libero e consapevole. Dall’altro, si tenga presente che considerare la causa a elemento essenziale del contratto significa anche alimentare il catalogo delle fattispecie potenzialmente destabilizzanti per la certezza dei traffici giuridici, poiché l’eventuale mancanza di un elemento essenziale non può che tradursi in una causa di invalidità del contratto.
Evoluzione del concetto di causa
Nonostante il nostro legislatore abbia optato per attribuire rilievo essenziale al vaglio causale, non è dato rinvenire una definizione espressa di causa su cui parametrare la validità del contratto.
Sulla scorta dell’impostazione di autorevole dottrina (Betti), la causa è stata per lungo tempo intesa come la funzione economico-sociale del contratto, che coincide con la sintesi degli effetti essenziali dello stesso (c.d. causa in astratto). In questo modo, la causa del contratto sarebbe legittima solo in quanto un dato schema contrattuale risulti astrattamente rispondente ai valori propugnati dall’ordinamento giuridico
In relazione ai contratti tipizzati ex lege, la valutazione in ordine alla legittimità della funzione economico-sociale del contratto sarebbe stata compiuta a monte dal legislatore. In questo modo, ogni contratto appartenente al tipo legale, a prescindere dagli scopi concreti perseguiti dalle parti, sarebbe necessariamente legittimo sotto il profilo della causa, cioè della funzione astrattamente svolta dal contratto (risultando così impossibile integrare la fattispecie di illiceità della causa ex art. 1343 c.c. attraverso un contratto tipico). Unico limite a questa assunzione di legittimità della causa dei contratti tipici sarebbe rappresentato dall’art. 1344 c.c., in base al quale “Si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa” (c.d. contratto in frode alla legge).
Diversamente, in relazione ai contratti atipici, il vaglio della loro legittimità dovrebbe passare attraverso il controllo causale della funzione economico sociale del contratto, attraverso cioè la verifica della rispondenza dello schema contrattuale con i valori propugnati dall’ordinamento giuridico.
In senso critico, innanzitutto, è stato rilevato come una simile impostazione risulti fortemente legata alla matrice ideologica dell’epoca in cui venne scritto il codice civile del 1942, risultando per certi versi obsoleta. La causa come funzione economico-sociale del contratto produrrebbe così una forte compressione della libertà dell’iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost.. In secondo luogo, si è evidenziato come l’idea della causa quale sintesi degli effetti ingeneri una inaccettabile sovrapposizione tra causa e tipo. In terzo luogo, si è sottolineato che la concezione della causa come funzione economico-sociale impedirebbe la configurazione di un contratto tipico con causa illecita, ad eccezione che nell’ipotesi di contratto in frode alla legge ex art.1344 c.c..
La concezione della causa del contratto come funzione economico-sociale, per lungo accolta dalla giurisprudenza prevalente, è stata quindi superata nel 2006 dalla Suprema Corte (con sentenza n. 10490/2006). La Cassazione ha ricostruito la causa (non come sintesi degli effetti, bensì) come sintesi degli interessi che il contratto è diretto a realizzare concretamente (teoria della causa c.d. concreta). In questo modo, la circostanza che un contratto sia o meno tipizzato dalla legge perde qualsiasi rilievo, essendo la causa da ricercarsi sempre e comunque negli scopi pratici che, in quella particolare fattispecie, le parti hanno inteso perseguire.
Ad esempio, la Suprema Corte in due successive occasioni (con sentenza n. 16315/2007 e n. 10651/2008) ha ritenuto che la causa del contratto di package turistico non fosse da individuare nel suo mero schema contrattuale e nei suoi effetti, cioè lo scambio del pacchetto di servizi a fronte del prezzo. La Suprema Corte ha invece ritenuto che la causa di questo tipo di contratti coincida con la finalità turistica (lo scopo di piacere) che il contratto è funzionalmente volto a soddisfare. In tal modo la Cassazione ha ritenuto che fosse venuta meno la causa del contratto di fronte al diffondersi di un’epidemia sanitaria nel luogo ove si sarebbe dovuta svolgere la vacanza, con applicazione analogica dell’art. 1463 c.c.
Riflessi sul negozio indiretto e sul contratto in frode alla legge
Questo cambio di prospettiva ha prodotto inevitabili riflessi su alcune figure negoziali, in particolare sul negozio indiretto e sul contratto in frode alla legge. Il passaggio alla nuova concezione di causa del contratto finisce, infatti, con il potenziare la figura del negozio indiretto, mentre potrebbe indebolire il significato dell’istituto del contratto in frode alla legge.
Sotto il primo profilo, si parla di negozio indiretto quando le parti concludono un negozio giuridico con l’intenzione di realizzare gli scopi di un altro negozio. Ad esempio, è possibile produrre gli stessi effetti pratici di una donazione attraverso un mandato irrevocabile ad alienare a terzi senza obbligo di rendiconto: il mandatario consegue comunque la totale disponibilità del bene.
Orbene, la figura del negozio giuridico indiretto non assume grande significato, se visto dall’angolo visuale della causa intesa come funzione economico-sociale del contratto (causa astratta): ai fini della valutazione della causa, verrebbero in rilievo soltanto gli effetti del contratto stipulato, mentre lo scopo indiretto perseguito dalle parti risulterebbe quale semplice motivo giuridicamente irrilevante.
Viceversa, adottando il concetto di causa concreta, che mette al centro lo scopo pratico perseguito dalle parti, è proprio il fine ulteriore a definire la causa dell’operazione contrattuale.
Quanto al contratto in frode alla legge, in base all’art. 1344 c.c. si tratta del contratto che ha causa illecita (ed è quindi nullo) in quanto “costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”.
Fintantoché la causa è stata considerata come la funzione economico-sociale del contratto, con impossibilità di ravvisare un contratto tipico con causa illecita del ai sensi dell’art. 1343 c.c., si è sempre ritenuto che scopo dell’art. 1344 c.c. fosse quello di rendere nulli i contratti tipici con cui le parti perseguono interessi contrastanti con un divieto di legge.
Accogliendo la nozione di causa in concreto, la prospettiva è però destinata a mutare radicalmente.
Se la causa coincide con la ragione concreta dell’affare e non con gli effetti di un determinato schema contrattuale, essa va valutata con riferimento alla fattispecie contrattuale concreta, in relazione agli scopi concretamente perseguiti dalle parti, senza che abbia alcun rilievo la circostanza che lo schema contrattuale utilizzato rientri (o meno) tra quelli tipizzati dalla legge.
Risulta allora del tutto evidente che non vi sono più ragioni per escludere la configurabilità di un contratto tipico con causa illecita.
A questo punto, o l’espressa previsione del contratto in frode alla legge viene spiegato con una finalità diversa da quella di precisare che anche il contratto tipico può avere causa illecita, oppure l’istituto perde qualsiasi utilità pratica, venendo la fattispecie direttamente assorbita dall’art. 1343 c.c. in tema di causa illecita.
Si potrebbe d’altra parte sostenere che, mentre l’art. 1343 c.c. sanzionerebbe il contratto la cui causa si ponga in violazione diretta di norme imperative, l’art. 1344 c.c. sanzionerebbe con la nullità anche il contratto il cui scopo sia (non in violazione diretta di una norma imperativa, bensì) quello di evitare l’applicazione di una norma imperativa.
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