Misure di sicurezza e retroattività
In base all’art. 25 Cost. “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. Il legislatore costituzionale non precisa, però, se la legge deve essere entrata in vigore prima del fatto commesso (precisazione invece effettuata con riferimento alle pene e alle incriminazioni) .
A livello primario, in base all’art. 200 c.p. il giudice applica la misura di sicurezza in base alla legge vigente al momento della sua applicazione o al momento della sua esecuzione.
Le misure di sicurezza, dunque, non risultano coperte sul piano del principio della irretroattività sfavorevole, né dalle norme costituzionali, né dalla normativa primaria.
Ad ogni modo va precisato che, secondo la dottrina, l’art. 200 si riferisce alla legge che disciplina le modalità di esecuzione della misura di sicurezza (non consentendo, invece, l’applicabilità di una misura di sicurezza come conseguenza di un fatto per il quale la misura di sicurezza non era prevista al momento in cui fu commesso).
Il diverso regime relativo all’efficacia delle norme penali nel tempo con riferimento a pene e a misure di sicurezza si giustifica sulla base della diversa funzione ad esse ricollegabile.
Sia assegnando alla pena funzione retributiva (così l’ordinamento vigente al momento dell’introduzione del Codice Rocco), sia assegnando alla pena la primaria funzione rieducativa espressa dall’art. 27 Cost., è innegabile che essa sia saldamente agganciata al passato e parametrata sul fatto commesso.
La misura di sicurezza invece è precipuamente volta a neutralizzare una pericolosità sociale la cui manifestazione è stata occasionata dalla commissione di un reato. La valutazione in ordine alla pericolosità sociale è, quindi, necessariamente attuale.
Misure di sicurezza patrimoniali: le confische
Il codice penale distingue tra misure di sicurezza personali e misure di sicurezza patrimoniali.
La principale misura di sicurezza patrimoniale è la confisca di cui all’articolo 240 c.p., cioè la c.d. confisca reale.
La confisca consiste nell’acquisizione coattiva, senza indennizzo, da parte dello Stato di beni legati ad un reato da un nesso di “pertinenzialità”.
La confisca reale, infatti, ha ad oggetto (i) il profitto del reato (cioè il vantaggio patrimoniale che il soggetto consegue commettendo un reato), (ii) il prezzo del reato (vale a dire il corrispettivo che un soggetto riceve per commettere un reato), nonché (iii) il prodotto del reato (le cose materiali che traggono origine dal reato stesso).
La confisca del profitto, del prezzo e del prodotto del reato (cioè di beni che al reato sono legati a filo doppio) serve a privare il reo della disponibilità di beni che tengono viva nel reo l’idea del reato, incentivandolo alla commissione di ulteriori futuri illeciti. Per questo la loro espropriazione ha la funzione di neutralizzare la pericolosità sociale del reo.
Negli ultimi anni, però, il legislatore ha introdotto, sotto il nomen iuris di confisca, una serie di istituti che, pur avendo efficacia ablatoria, differiscono dalla confisca di cui all’art. 240 c.p. si differenziano per la natura dell’oggetto su cui incidono e le finalità cui rispondono. È per questo che nella dottrina e nella giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, si suole affermare che la confisca ha natura proteiforme.
Confisca per equivalente
Tra le particolari confische che presentano tratti distintivi accentuati rispetto al modello dell’art. 240 c.p. va senz’altro annoverata la confisca per equivalente, disciplinata dall’art. 322-ter c.p. (norma inserita nella parte speciale del codice penale, relativa ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione)
Tale confisca, anziché avere ad oggetto il profitto, il prezzo o il prodotto del reato, ha ad oggetto cose che abbiano un valore equivalente al profitto o al prezzo. Per questa ragione essa è anche detta “confisca di valore”. Come si vede, essa non ha ad oggetto un bene avente un legame pertinenziale con il reato, ma anzi ha spesso ad oggetto beni di lecita provenienza.
Tratto caratterizzante della confisca per equivalente è poi la sua natura sussidiaria, giacché ad essa si ricorre quando non è possibile applicare la confisca reale.
Quanto al suo campo di applicazione, l’art. 322-ter c.p. prevede la confisca per equivalente in relazione ai delitti previsti dagli artt. 314-320 c.p. (delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione).
A partire dal 2007, la confisca per equivalente è stata prevista anche per i reati tributari, in forza dell’art. 1, comma 143, della L. n. 244/2007 (“Nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”).
Confisca per equivalente e principio di irretroattività sfavorevole
Ci si è chiesti se, in forza della concezione autonomistica CEDU, la confisca per equivalente, alla luce delle sue peculiari caratteristiche, debba essere qualificata come pena piuttosto che come misure di sicurezza, con conseguente applicazione del divieto di retroazione sfavorevole di cui all’art 7 CEDU.
La questione si è posta con particolare riferimento alla possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai reati commessi prima dell’introduzione dell’art. 1, comma 143, della L. n. 244/2007 che, come visto sopra, ha esteso l’applicabilità della misura in questione anche ad alcune fattispecie previste dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Si è dunque sostenuto che, posta l’assenza di un nesso di pertinenzialità con il reato dei beni oggetto della confisca per equivalente, essa non esplica una funzione di neutralizzazione della pericolosità sociale soggetto. Se ne è allora rilevata, piuttosto, la finalità sanzionatoria afflittiva, che secondo la concezione autonomistica delle pene dell’ordinamento CEDU comporterebbe la qualificazione come pena della confisca per equivalente. Ciò comporterebbe la necessità di applicare il principio di irretroattività sfavorevole ex art 7 CEDU, in luogo del principio espresso dall’art. 200 c.p.
Al riguardo, la Corte Costituzionale (con sentenze nn. 97 e 301 del 2009) ha rilevato che “la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un ‘rapporto di pertinenzialità’ (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva, attribuendole, cosí, una natura ‘eminentemente sanzionatoria’, che impedisce l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell’art. 200 cod. pen., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive”.
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