La formazione progressiva del contratto: quando si conclude?

Redazione 22/01/19
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La risposta a tale domanda assume importanza fondamentale sul piano dei rimedi e sulla consistenza della pretesa risarcitoria.

Formazione progressiva del contratto

Secondo la migliore dottrina ricorre la “formazione progressiva del contratto” nell’ipotesi in cui il contratto, anziché perfezionarsi in modo “istantaneo” con lo scambio secco di proposta e accettazione, si perfeziona “attraverso il continuum di un dialogo delle parti fatto di discussioni e ipotesi, richieste ed offerte, concessioni e rifiuti sui diversi punti del contratto in itinere: una serie più o meno lunga di passaggi che le parti percorrono insieme prima di arrivare alla conclusione del contratto. La parola che designa questo processo è: trattativa[1].

Nella prassi negoziale, man mano che la trattativa procede, si formano degli accordi su alcuni punti del contratto, attraverso lo scambio vari documenti precontrattuali (term sheets, memorandum of understanding, minute, puntuazioni, lettere di intenti). Al contempo, però, su altri punti l’accordo non c’è ancora.

L’individuazione dell’esatto momento in cui può dirsi stipulato un contratto assume importanza fondamentale nella prospettiva rimediale. Solo in presenza di un contratto perfezionato, l’eventuale rifiuto di una parte di adempiere a quanto contenuto nell’accordo parziale comporterà un vero e proprio inadempimento contrattuale, con conseguente risarcibilità dell’interesse positivo.

In mancanza della nascita di un vincolo contrattuale, la sussistenza di un accordo parziale potrà tutt’al più consentire di ravvisare i presupposti per una eventuale responsabilità precontrattuale, con conseguente risarcibilità del solo interesse negativo.

Nascita del vincolo contrattuale

Secondo la migliore dottrina, sul piano generale, la soluzione della questione va affidata a due regole essenziali[2].

In base ad una prima regola, per la conclusione del contratto è necessario che si raggiunga l’accordo su tutti i punti venuti in discussione; mentre, se anche su un solo punto tra quelli in discussione resta disaccordo o pende una riserva di trattativa, il contratto non si conclude.

Secondo la dottrina prevalente, tale regola si applica a prescindere dalla natura essenziale o secondaria dell’elemento su cui pende il disaccordo[3]. Diffusa anche in giurisprudenza è l’affermazione circa la necessità che “tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori” (v. ad es. tra le molte Cass. 11 maggio 2010, n. 11371, Cass. 2 ottobre 2007, n. 20701, Cass. 20 giugno 2006, n. 14267, Cass. 22 settembre 2008 n. 23949, Cass. 20 giugno 2006, n. 14267, Cass. 18 gennaio 2005 n. 910).

È importante ovviamente distinguere l’ipotesi in cui pende il disaccordo o una riserva di trattative ulteriori dall’ipotesi in cui le parti abbiano raggiunto l’accordo sugli elementi essenziali del contratto, ma abbiano deciso di non regolare taluni punti non essenziali. In questo secondo caso, il contratto potrà dirsi concluso e sarà integrato dalle fonti eteronome ex art. 1374 c.c.

In base a una seconda regola essenziale, infatti, per la conclusione del contratto può essere sufficiente l’accordo parziale su alcuni soltanto dei punti discussi, mentre su altri non c’è ancora accordo, purché le parti manifestino la loro comune volontà in tal senso[4]. Per esempio, nel caso di compravendita, le parti potrebbero ben decidere che il contratto è concluso una volta raggiunto l’accordo sull’oggetto e sul prezzo, senza aver raggiunto l’accordo sul luogo di consegna (in mancanza di successivo accordo questo sarà definito in via di integrazione del contratto applicando l’art. 1510 c.c.). Ciò che assume rilievo dirimente è la chiara volontà delle parti di considerarsi contrattualmente vincolate, nonostante l’incompletezza dell’accordo.

Anche secondo la Suprema Corte[5] è possibile ritenere concluso un contratto quando venga accertato che le parti hanno voluto considerare come vincolante un determinato assetto di interessi nonostante l’incompletezza dello stesso (cioè “nonostante che per taluni aspetti possano rendersi necessarie ulteriori specificazioni il cui contenuto può configurarsi quale oggetto di un obbligo che trova la sua fonte nel contratto già concluso”)[6].

Al contempo, la Cassazione ha altresì precisato che la configurabilità del vincolo contrattuale può essere esclusa pur in presenza di un accordo completo sull’assetto negoziale, qualora manchi l’attuale effettiva volontà delle parti di considerare concluso il contratto[7].

Sul piano probatorio, però, la giurisprudenza ritiene sussistente una presunzione semplice di avvenuto perfezionamento contrattuale in presenza di un documento recante un assetto negoziale che appare completo, la quale può essere vinta laddove sia dimostrata l’insussistenza di una volontà attuale di accordo negoziale[8].

Volume consigliato:

Note

[1] V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2001, p. 137

[2] V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 137 s.

[3] Per tutti si vedano C. M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 1987, p. 232, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, p. 876, V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2001, p. 138.

[4] V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2001, p. 138; C. M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 1987, p. 232, Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Utet, Torino, 1999, p. 155.

[5]  Cass. 11 maggio 2010, n. 11371, Cass. 20 giugno 2006, n. 14267, Cass. 22 settembre 2008 n. 23949 e Cass. 18 gennaio 2005 n. 9109.

[6]  Cass. 22 settembre 2008 n. 23949.

[7]  Ad es. Cass. 11 maggio 2010 n. 11371, Cass. 2 ottobre 2007 n. 20701, Cass. 20 giugno 2006, n. 14267 e Cass. 18 gennaio 2005, n. 910.

[8] Ex multis Cass., 22 agosto 2008, n. 7857, Cass. 2 dicembre 2008 n. 18618, Cass. 14 luglio 2006 16118, Cass. 16 luglio 2002, n. 10276, Cass. 22 agosto 1997, n. 78579, Trib. Padova 11 settembre 2006 n. 1861, App. Roma 17 giugno 2002

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