(Ricorso rigettato)
(Normativa di riferimento: C.p. art. 570 bis)
Il fatto
La Corte di appello di Milano confermava la condanna di G.M. alla pena di euro seicento di multa per il delitto di cui alla L. n. 54 del 2006, art. 3, così diversamente qualificato il fatto contestato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, omettendo di versare l’assegno di mantenimento fissato in Euro 1.500,00 mensili, con condotta dal mese di novembre 2010 in permanenza.
Si rilevava in particolare come la Corte distrettuale avesse escluso la sussistenza della denunciata violazione del principio di cui all’art. 521 c.p.p., per effetto della mutata qualificazione giuridica del fatto, e si richiamava, per ritenere insussistente un impedimento idoneo a scriminare la condotta, una precedente sentenza della Corte di appello di Milano, divenuta irrevocabile il 13 gennaio 2017, con la quale, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado, per periodo immediatamente precedente a quello oggetto di contestazione, era stata affermata la responsabilità dell’imputato solo agli effetti civili.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione denunciando vizio di applicazione della legge penale e vizio di motivazione della sentenza impugnata che, a sua opinione, non avrebbe esaminato le censure difensive proposte con i motivi di gravame.
In particolare, si deduceva come, in presenza di sentenza di assoluzione intervenuta in primo grado in relazione al reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, non essendo stato provato lo stato di bisogno della minore e della condotta omissiva che abbia determinato il venire meno dei mezzi di sussistenza, a prescindere dall’ammontare del contributo al mantenimento stabilito, il giudice di appello, per giungere a condanna, avrebbe dovuto adottare una motivazione rafforzata, viceversa carente mentre al contrario la Corte distrettuale aveva, invero, erroneamente richiamato la sentenza irrevocabile del 13 gennaio 2017, incorrendo altresì in vizio di travisamento della prova dal momento che anche detta sentenza aveva assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, perché il fatto non sussiste e la riforma era limitata alle sole statuizioni civili, con applicazione di norme, anche di natura processuale e probatoria, relative esclusivamente all’inadempimento della prestazione civilistica.
Si rilevava, inoltre, come la L. n. 54 del 2006, art. 3, non fosse applicabile alla concreta fattispecie poichè il ricorrente non era mai stato coniugato con la madre della minore, beneficiaria dell’assegno di mantenimento, conclusione avvalorata dai principi stabiliti da una sentenza della Cassazione (la sentenza n. 2666 del 7 dicembre 2016) che aveva ritenuto non applicabile la tutela della disciplina penalistica di cui all’art. 3, legge cit. alle assegnazioni patrimoniali che concernono figli di genitori non coniugati, garantite attraverso il ricorso alle azioni civili ovvero alla disciplina di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, ma, come anticipato, nel caso, ritenuta insussistente.
Si faceva infine presente come la sentenza impugnata, richiamata quella irrevocabile nei confronti del medesimo imputato, avesse ritenuto non accertata l’impossibilità di adempiere alla prestazione.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Cassazione rigettava il ricorso proposto alla stregua delle seguenti considerazioni.
Nel dettaglio, tra le doglianze proposte, la Corte rilevava come fosse infondata la deduzione difensiva secondo la quale i giudici di merito non avessero preso in considerazione la circostanza che il ricorrente non era mai stato sposato con la madre della minore, beneficiaria del trattamento economico stabilito dal giudice civile, in quanto i genitori semplicemente convivevano e, pertanto, come fosse insussistente il reato di cui alla L. n. 54 del 2006, art. 3 perchè applicabile solo all’ipotesi di omesso versamento dell’assegno in favore di figli nati da genitori coniugati e, quindi, in relazione ad epiloghi del rapporto coniugale per separazione, divorzio o nullità del matrimonio stante il fatto che la tesi sostenuta dall’imputato era stata affermata in una isolata decisione di questa Corte (Sez. 6, n. 2666 del 07/12/2016, B, Rv. 268968).
Difatti, si osservava come tale giurisprudenza fosse stata, tuttavia, superata da un più recente orientamento alla stregua del quale si è ritenuto che, in tema di reati contro la famiglia, è configurabile il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, anche in caso di omesso versamento, da parte di un genitore, dell’assegno periodico disposto dall’autorità giudiziaria in favore dei figli nati fuori dal matrimonio (Sez. 6, n. 14731 del 22/02/2018, S, Rv. 272805; Sez. 6, n. 12393 del 31/01/2018, P, Rv. 272518; Sez.6, n.25267 del 06/04/2017, S. Rv. 270030) rilevandosi al contempo come si fosse addivenuti a tale conclusione alla luce della interpretazione sistematica della disciplina sul tema delle unioni civili e della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli, introdotta dalla L. 20 maggio 2016, n. 76, e dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha inserito l’art. 337 bis c.c..
Difatti, mediante tali normative, si era compiuta una rilettura della L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, in base al quale le disposizioni introdotte da tale legge si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati il quale articolo a sua volta, ad avviso della Corte, doveva essere ricondotto a tutte le disposizioni previste dalla legge citata, comprese quelle che attengono al diritto penale sostanziale, in quanto una diversa soluzione avrebbe determinato una incostituzionale diversità di trattamento, accordandosi una più ampia e severa tutela penale ai soli figli di genitori coniugati rispetto a quelli nati fuori dal matrimonio.
Posto ciò, a questo punto della disamina, gli ermellini si interrogavano sulla tenuta di tale approdo ermeneutico a seguito della modifica normativa dell’art. 570 c.p., intervenuta con D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 22 marzo 2018 e in vigore dal 6 aprile 2018, con il quale si era data attuazione ad una delle deleghe contenute nella L. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. “legge Orlando“), e in particolare a quella – prevista dall’art. 1, comma 85, lett. q) della suddetta legge – relativa all’introduzione del principio della “riserva di codice” nel nostro ordinamento penale atteso che il richiamato decreto aveva innestato nel codice sostanziale una previsione, l’art. 570 bis c.p., rubricata “violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio” che, nel prosieguo sanziona, con le pene previste dall’art. 570 c.p., la condotta del “coniuge” che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economia in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli, e dunque questo precetto normativo, così formulato, riproponeva, non in modo letterale, le previgenti disposizioni penali contenute alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, ed alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, norme che, conseguentemente, erano state espressamente abrogate dal D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 7, lett. b) e o).
Orbene, a fronte di tale novum legislativo, il Supremo Consesso si poneva il problema di appurare se, sul piano della successione di leggi penali nel tempo, il nuovo art. 570 bis c.p. si fosse effettivamente limitato ad un diverso collocamento ordinamentale di norme incriminatrici il cui contenuto non era stato oggetto di modifica, ovvero se vi fossero profili di non perfetta sovrapponibilità tra l’attuale art. 570 bis c.p., ed i previgenti L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, ed L. n. 54 del 2006, art. 3, e, ove siano rintracciabili detti profili, come tali modifiche avrebbero potuto incidere in relazione ai fatti compiuti prima della entrata in vigore della nuova disposizione, e ciò perché: se, sul piano semantico, la nuova previsione dell’art. 570 bis c.p. si pone in termini decisamente innovativi per l’ampio riferimento alla sanzione penale derivante dall’inadempimento di “ogni tipologia di assegno dovuto“, viceversa, per altro aspetto, si rivela dirompente rispetto alla fattispecie in esame per il riferimento, quale soggetto attivo del reato, al coniuge, riferimento che ripropone la problematica del coordinamento della disciplina penalistica con il contenuto della L. n. 54 del 2006, art. 4, che, a seguito della interpretazione fornitane dalla Cassazione, aveva esteso l’intera disciplina recata dalla legge anche ai procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati.
Circoscritta tale criticità giuridica in questi termini, gli ermellini osservavano prima di tutto come la lettura incentrata sul tenore letterale della norma, per l’inequivoco riferimento al coniuge, avesse già indotto la giurisprudenza di merito, ove non ricorrano le condizioni per applicare la previsione di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza al figlio minore ovvero inabile al lavoro di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, a fare ricorso, per la violazione consistente nell’omessa corresponsione di assegno in favore di figli recate dalle decisioni giudiziarie in favore di figli nati fuori dal matrimonio, alla fattispecie di cui all’art. 570 c.p., comma 1 e, a tal proposito, veniva evidenziato che, da un lato, il soggetto attivo del reato di cui all’art. 570 c.p., è il genitore senza ulteriori specificazioni giacché la norma è posta a tutela della famiglia in senso ampio e non solo di quella fondata sul vincolo del matrimonio, e, dall’altro, che la violazione degli obblighi di assistenza materiale nei confronti del figlio ben si può realizzare attraverso la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento fissato dal Tribunale civile.
Premesso ciò, si postulava come l’interpretazione fondata sul dato letterale della disposizione di cui all’art. 570 bis c.p., che sottostà all’opzione interpretativa appena illustrata, non costituisce, peraltro, l’unica opzione ermeneutica praticabile essendo per contro necessario concentrare l’attenzione, piuttosto che sul dato semantico, sulla natura e portata della delega conferita con la L. n. 103 del 2017, e, cioè, una delega di natura meramente compilativa che autorizza la traslazione delle figure criminose già esistenti nel corpus del codice, senza contemplare alcuna modifica sostanziale delle stesse tenuto conto che l’intenzione del legislatore delegato di riordinare la materia è desumibile anche dalla relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo in cui si afferma che il nuovo art. 570 bis c.p. “assorbe le previsioni di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, e di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, aggiungendo che la modifica, da un lato, non incide sul regime di procedibilità di ufficio, la cui corrispondenza a Costituzione è stata comunque ripetutamente affermata dalla Corte costituzionale (da ultimo con sentenza n. 220 del 2015), dall’altro, contempla le ipotesi (già previste mediante rinvio agli artt. 5 e 6 della stessa legge) di scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio oltre che quella dell’assegno dovuto ai figli nelle medesime evenienze“.
A sostegno dell’assunto appena esposto, la Suprema Corte evidenziava come, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia, qualora la delega abbia ad oggetto, come nella specie, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti, queste finalità giustificano un adeguamento della disciplina al nuovo quadro normativo complessivo, conseguito dal sovrapporsi, nel tempo, di disposizioni emanate in vista di situazioni ed assetti diversi, ma non anche l’adozione di soluzioni innovative rispetto al sistema legislativo previgente che richiede la emanazione di principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (Corte Cost., sentenza n. 170 del 2007 e n. 239 del 2003).
Tal che gli ermellini osservavano come, all’interno di tale quadro complessivo (normativo e giurisprudenziale) di riferimento, si dovesse, dunque, collocare la formale abrogazione della L. n. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, e della L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, non potendo ritenersi verificata, in conseguenza del meccanismo dell’abrogazione, anche un’abolizione delle corrispondenti figure di reato transitate nel nuovo corpus normativo e ciò soprattutto perché, ad avviso della Corte, la riscrittura delle norme, peraltro non testuale, non aveva formalmente investito la L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, secondo il quale “le disposizioni della legge si applicano… nonchè ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” stante anche il fatto che, secondo l’interpretazione datane dalla stessa Cassazione con la sentenza n. 25267 del 2017, la tutela penale recata dalla L. n. 54 del 2006, art. 3, e della disciplina recata dalla L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies, in forza della disposizione di cui alla L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, che svolgeva la funzione di norma di chiusura del sistema, riguardava anche i figli di genitori non coniugati avuto riguardo all’espresso riferimento (procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati), obblighi di natura economica ridisciplinati dalla L. n. 54 del 2006, art. 1, quindi dagli artt. 155 e 155 sexies c.c..
Da ciò se ne faceva conseguire come, dalla lettura della L. n. 54 del 2006, artt. 3 e 4, enunciata con le sentenze surrichiamate, dovesse emergere un’interpretazione sistematica favorevole ad una totale equiparazione, anche della disciplina penalistica posta a presidio dell’esatto adempimento delle obbligazioni statuite a carico dei genitori, dei figli anche all’esito della cessazione della convivenza e non solo nel caso di vicende patologiche del rapporto matrimoniale a monte, e pertanto, in ragione della mancata abrogazione della L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, e dell’espresso riferimento contenuto ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, la disciplina penale, relativa al mancato rispetto di una pronuncia giudiziale o di uno specifico accordo che impongono al genitore naturale l’obbligo di corrispondere una determinata somma di denaro per il mantenimento del figlio, andava, dunque, contestualizzata con riferimento alla cornice dettata nel codice civile che, nella rubrica dell’attuale Capo II del titolo IX, recita “esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” e, all’art. 337 bis c.c., il quale, disciplinando l’ambito di applicazione, stabilisce che, “in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, si applicano le disposizioni del presente capo”.
Invece, dal momento che l’esegesi letterale dell’art. 570 bis c.p., tra la posizione dei figli nati da genitori conviventi, rispetto alla prole nata in costanza di matrimonio, si pone in netta antitesi con la piena equiparazione realizzata nell’ambito del diritto civile (art. 337 bis c.c. e ss.), la Corte riteneva, nella decisione in commento, come l’unica interpretazione, sistematicamente coerente e costituzionalmente compatibile e orientata, fosse quella dell’applicazione dell’art. 570 bis c.p. – che si limita a spostare la previsione della sanziona penale all’interno del codice penale – anche alla violazione degli obblighi di natura economica che riguardano i figli nati fuori del matrimonio tenuto conto della perdurante vigenza, in quanto norma non abrogata, della L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2 tenuto altresì conto, per un verso, dal riferimento ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati contenuto nella disposizione, per altro verso, dalla disciplina positiva di detti procedimenti recati dall’art. 337 bis c.c. e ss., che, unitariamente e integralmente si applica, anche ai figli nati fuori dal matrimonio.
La Corte osservava al riguardo come, successivamente al superamento del principio della indissolubilità del matrimonio, si fossero succeduti molteplici mutamenti legislativi e giurisprudenziali tra loro eterogenei – questi ultimi spesso ispirati dalla giurisprudenza della Cedu -, che avevano profondamente inciso sulla valenza dell’istituto matrimoniale e sul fondamento e sulla fisionomia della famiglia quali: a) la riforma attuata dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219, e dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha reso unica la condizione dei figli, disponendo il loro inserimento nelle reti di parentela dei genitori a prescindere dalla sussistenza tra loro del matrimonio (artt. 74 e 258 c.c.), nonchè ha generalizzato la regola secondo cui l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi i genitori, indipendentemente dal fatto che tra loro sussistano legami di diritto o di fatto e, in particolar modo, la L. 10 dicembre 2012, n. 219 la quale ha abolito le partizioni che contrassegnavano il rapporto di filiazione a seconda che i genitori fossero, o meno, uniti in matrimonio; b) gli interventi legislativi in materia di negoziazione assistita (D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) e di “divorzio breve” (L. 6 maggio 2015, n. 55, Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi), i quali hanno rimosso e/o attenuato il controllo giudiziale sulla crisi del matrimonio e reso più celere il conseguimento del divorzio.
Altro argomento, posto a sostegno di una interpretazione dell’art. 570 bis c.p. in questi termini, riguardava il fatto che le disposizioni recate dalla L. n. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 4, relative alle disposizioni a favore dei figli in caso di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, per effetto della inammissibile selezione delle fattispecie incriminatrici operata dal legislatore delegato, fossero transitate, contrariamente alla parte del disposto normativo richiamato, relativo ai figli dei genitori non coniugati, nella previsione dell’art. 570 bis c.p. e tale lettura, ad opinione dei giudici di legittimità ordinaria, rendeva irrilevante la questione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., sul presupposto che, del tenore letterale della fattispecie di cui all’art. 570 bis c.p., si sarebbe determinata “una irragionevole ed ingiustificata diversità di trattamento nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli nati in costanza o al di fuori del matrimonio” (Tribunale Nocera Inferiore, Sezione penale, ordinanza del 26/4/2018) nonché quella di legittimità costituzionale, relativamente al D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 2, comma 1, lett. c), e art. 7, comma 1, lett. b) e o), nella parte in cui si riteneva abrogata la previsione incriminatrice della violazione degli obblighi di assistenza familiare da parte del genitore non coniugato, per contrasto con gli artt. 25 e 76 della Costituzione (Corte appello Trento, Sezione Penale, ordinanza 21/9/2018).
Pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, ossia alla stregua della lettura sistematica della disposizione di cui all’art. 570 bis c.p., la Corte riteneva come non potesse attribuirsi a tale fattispecie incriminatrice un ambito applicativo più ristretto rispetto a quello riferibile alla L. n. 56 del 2006, artt. 3 e 4, e di conseguenza, stimava non applicabile alla fattispecie in concreto all’esame della Corte l’art. 2 c.p., comma 2, ricorrendo tutti i presupposti fattuali del reato di omesso adempimento degli obblighi di mantenimento in favore della figlia minore, nata da un rapporto di convivenza, obblighi posti a carico dell’imputato dalla sentenza civile del Tribunale di Monza dato che le sentenze di merito avevano individuato nel caso di specie la fonte dell’obbligo a carico dell’imputato, avevano illustrato il protratto inadempimento e avevano escluso che fossero ravvisabili assoluti impedimenti all’esecuzione dell’obbligazione civilistica con argomenti fondati sulle condizioni patrimoniali dell’imputato e sulla mancata modifica delle obbligazioni civilistiche – che mai il ricorrente si era peritato di chiedere – e sulla base di elementi fattuali (la giovane età e l’abilità al lavoro; lo svolgimento di attività lavorativa) del tutto genericamente contrastati con l’odierno ricorso.
Si giungeva quindi a rigettare il ricorso proposto.
Conclusioni
La sentenza in questione non è, a parere dello scrivente, condivisibile.
Senza mettere in discussione le argomentazioni giuridiche ivi fondate, il profilo di criticità, che connota tale decisione, è l’impiego dell’interpretazione sistematica per dare un’interpretazione di una norma incriminatrice oltre il suo dato testuale.
Invece, come asserito dalla Cass. Pen., 3 luglio 1991 (in Foro it., 1991, II, p. 149), “l’interpretazione estensiva si differenzia dal procedimento analogico in questo: che la prima mantiene il campo di validità della norma entro l’area di significanza dei segni linguistici coi quali essa di esprime, mentre l’analogia estende tale validità all’area di simililarità della fattispecie considerata dalla norma” e ciò perché l’interpretazione estensiva è “pur sempre legata al testo della norma esistente; il procedimento analogico è invece creativo di una norma nuova che prima non esisteva”.
Orbene, nel caso di specie, essendo stato ampliato il novero dei soggettivi attivi del reato di cui all’art. 570 bis c.p. anche al genitore non coniugato, ciò sembra determinare la creazione di una fattispecie incriminatrice analoga a quella attualmente vigente, quanto piuttosto costituire un’interpretazione estensiva di un precetto penale.
Invero, operando in tal guisa, non si va ad estendere il significato di un parte del testo previsto dal legislatore (dato che nel significato coniuge non può includersi anche quello di convivente), ma la creazione di un ulteriore elemento costitutivo rappresentato da chi può essere l’autore di questo illecito penale.
Comprendendosi comunque le ragioni di una scelta giuridica di tal genere, ossia conferire un’interpretazione costituzionalmente orientata a questa norma giuridica, sarebbe tuttavia opportuno che intervenisse il legislatore al fine di ricomprendere anche il genitore non coniugato tra coloro che possono rispondere di tale reato.
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