L’attività istruttoria del Pubblico Ministero presso la Corte dei conti

Redazione 23/12/02
di dott. Angelo Canale – Vice procuratore generale Corte dei conti

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Ricevuta, attraverso rapporti, denunce, esposti, articoli di stampa o altra fonte, la “notizia damni” il Procuratore Regionale, se non ritiene che sussistano le condizioni per una immediata archiviazione (ad esempio, per manifesta infondatezza della denuncia), deve provvedere all’accertamento dei fatti : deve cioè svolgere, con gli strumenti giuridici messigli a disposizione dalle norme, una attività “istruttoria” preliminare.

Com’è noto, l’art. 74 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 attribuiva già al Procuratore Generale presso la Corte dei conti il potere di chiedere in comunicazione atti e documenti in possesso di qualsiasi autorità amministrativa o giudiziaria e di disporre accertamenti diretti.

Per circa sessant’anni il potere di accertamento del Pubblico Ministero presso la Corte dei conti si è basato su quest’unica norma.

La genericità e la indeterminatezza di tale disposizione non mancavano, nella pratica applicazione, di suscitare una serie di dubbi : poteva o non poteva il Procuratore Generale sottoporre i pubblici dipendenti ad audizioni personali, cioè vere e proprie acquisizioni testimoniali delle quali nella norma citata non vi era esplicito riferimento? L’audizione personale poteva rientrare nell’ambito degli “accertamenti diretti” ? Chi e in che modo doveva svolgere gli accertamenti diretti disposti dallo stesso Procuratore? Cosa fare in caso di mancata collaborazione delle amministrazioni presso le quali erano custoditi i documenti chiesti “in comunicazione”?

Ebbene, a fronte di oggettive incertezze e nell’assenza di un quadro definito di regole, ciascun procuratore era libero di imprimere alla propria attività istruttoria un proprio “stile”, cosicché vi era chi riteneva di dover svolgere una istruttoria esclusivamente “cartolare”, evitando di proposito il rapporto diretto con il presunto responsabile del danno; viceversa, vi era chi perseguiva il contatto diretto e personalmente eseguiva diretti accertamenti; altri rigorosamente chiedevano alle stesse amministrazioni danneggiate e mai a terzi di svolgere a mezzo dei propri servizi ispettivi “accertamenti”, altri ancora già avevano stabilito un efficace rapporto operativo con la Guardia di finanza o con l’Arma dei Carabinieri e a tali organi delegavano per lo più acquisizione di atti.

Una tale non omogenea e poco penetrante attività, che ovviamente si collocava a monte del rapporto processuale e per tale ragione non era sottoposta a verifica da parte del giudice, tuttavia trovava un opportuno temperamento : si riteneva infatti che le acquisizioni del P.M. fossero finalizzate essenzialmente alla formulazione della domanda giudiziale, essendo poi suscettibili di integrazioni istruttorie da parte del giudice.

La relativa limitatezza dello scopo, che si riteneva raggiunto con l’indicazione di principi o di meri indizi di prove, piuttosto che con la piena allegazione di prove precostituite da utilizzare nel giudizio, pareva in qualche misura “compensare” la limitatezza ovvero la genericità dei poteri di accertamento.

Il quadro , come si sa, è mutato con le previsioni contenute negli artt. 16 del D.L. 13 giugno 1991 n.152 convertito nella L.12 luglio 1991 n.203 (che ha stabilito la possibilità in capo alla Corte dei conti di disporre ispezioni ed accertamenti diretti anche a mezzo della Guardia di Finanza), 2, comma 4 del D.L. 15 novembre 1993 n.453 convertito in L.19/1994 (che ha attribuito al Pubblico Ministero presso la Corte dei conti il potere di delegare adempimenti istruttori a funzionari delle Pubbliche Amministrazioni e di avvalersi di consulenti tecnici), 5, comma 6 della medesima norma.

Quest’ultima norma stabilisce che il Procuratore, nelle istruttorie di sua competenza, può disporre :

l’esibizione di documenti, nonché ispezioni ed accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni ed i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico di bilanci pubblici;

il sequestro di documenti;

audizioni personali;

perizie e consulenze

Il quadro, come si è detto, è mutato, ma residuano incertezze ed elementi di criticità.

Certamente oggi, alla luce dei più penetranti poteri istruttori attribuiti al Pubblico Ministero, può argomentarsi che l’attività preprocessuale svolta da questi abbia assunto i caratteri della vera e propria attività istruttoria , finalizzata non tanto a consentire allo stesso P.M. di verificare l’esistenza o meno delle condizioni per promuovere l’azione di responsabilità, quanto alla precostituzione di prove da utilizzare nel giudizio, ferma restando l’autonoma valutazione delle stesse da parte del giudice e il diritto alle diverse od opposte allegazioni probatorie della parte convenuta.

Incertezze e criticità derivano da un impianto ancora privo di importanti regole e dei caratteri di sistematicità e di chiarezza che a mio giudizio non possono non distinguere l’istruttoria di un processo.

Sembra quasi che il Legislatore, che si accingeva a mitigare nel complesso il regime della responsabilità amministrativa, introducendo importanti istituti e significative limitazioni all’esercizio dell’azione, abbia voluto per contrappeso dare maggiori poteri istruttori al Pubblico Ministero e che su quella strada ad un certo punto non abbia voluto o potuto andare oltre.

Si ha la sensazione, io almeno ho questa sensazione, di un’opera incompiuta, dalla quale scaturisce una istruttoria claudicante ; di una istruttoria che spesso per essere completa ha necessità del concorso fattivo di terzi, dell’amministrazione danneggiata, delle persone informate dei fatti e persino dello stesso presunto responsabile.

Ed infatti “quid juris ?” se i documenti da sequestrare non vengono spontaneamente consegnati, ovvero se se la persona convocata per una audizione personale non si presenta? Ovviamente l’ordinamento fornisce le soluzioni ma talvolta non è agevole individuarle.

Qualcuno non manca di sottolineare il carattere ancora eccessivamente inquisitorio dell’istruttoria svolta dal P.M. presso la Corte dei conti e le conseguenti limitazioni, in questa fase, dei diritti di difesa del presunto responsabile; non possono tuttavia neppure sottacersi le difficoltà che incontra il P.M. nell’accertamento dei fatti; tale accertamento può essere ostacolato, ad esempio, dalla mancata esplicita previsione, per i destinatari delle richieste istruttorie, di obblighi di fare e di sanzioni, eventualmente pecuniarie ed “interne” al sistema della responsabilità amministrativa, in caso di colpevole inerzia.

In vero, è pacifico che l’obbligo di ottemperare alle richieste istruttorie sussiste e che l’inosservanza può essere sanzionata in sede penale; ma un siffatto “sistema”, con l’intervento del P.M. penale, è tuttavia macchinoso e può avere l’effetto di frenare comunque l’istruttoria svolta dal P.M. contabile.

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La ricerca della prova (degli elementi essenziali della responsabilità amministrativa), o più esattamente degli elementi da sottoporre alla valutazione del giudice, costituisce dunque il comune denominatore ed il fine dell’attività istruttoria del Pubblico Ministero “contabile”.

Egli deve “provare” l’esistenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa e per far ciò, come si è detto, la legge gli conferisce taluni “poteri”.

Qui vanno fatte, a parere di chi scrive, alcune preliminari osservazioni.

La prima è questa : l’istruttoria del P.M. presso la Corte dei conti è caratterizzata da una ampia discrezionalità dei mezzi, ovviamente nell’ambito di quelli indicati dalla legge.

Il PM può scegliere di svolgere direttamente accertamenti, ovvero può scegliere di delegarli ad altri, funzionari o Guardia di Finanza; può ordinare l’esibizione di atti, ovvero può estrarne copia, ovvero, ancora, può disporre il sequestro degli stessi atti in originale; può decidere se disporre l’audizione personale di persone informate dei fatti, ovvero può farne a meno, e così via.

La scelta dei mezzi, come si vede, è libera e tuttavia, ad esempio, sarebbe assurdo e sproporzionato disporre accertamenti a mezzo della Guardia di Finanza, che vi impiega personale altamente specializzato (tali sono i militari assegnati ai nuclei di polizia tributaria) , in relazione a fattispecie dannosa di modestissima rilevanza, ovvero per l’acquisizione di atti ufficiali facilmente reperibili od ottenibili a semplice richiesta.

Senza far riferimento all’obiettivo di un rapporto equilibrato tra i costi – certi – dell’istruttoria ed i benefici – incerti – che potrebbero derivare dall’esercizio, in quella fase solo ipotetico, dell’azione di responsabilità ( i cui esiti solo in parte potrebbero poi essere suscettibili di una valutazione patrimoniale, costituendo anche e nel contempo l’affermazione di principi importanti per la civile convivenza, come il principio di legalità), resta comunque la necessità che vi sia una proporzione tra i mezzi da impiegare per l’accertamenti dei fatti ed i fatti stessi.

Da ciò deriva che prima di scegliere lo strumento istruttorio più idoneo il magistrato del pubblico ministero dovrà condurre un esame preliminare della fattispecie pervenuta all’attenzione della procura regionale e solo in base agli esiti di una tale valutazione deciderà il da farsi e soprattutto il “come”.

Tutto ciò sembra scontato e assolutamente pacifico, eppure non sono infrequenti i casi di deleghe attribuite con formule del tipo “si trasmette l’allegata denuncia, per indagine e rapporto”, senza che sulla denuncia in questione sia stato condotto l’esame preliminare che avrebbe fatto emergere subito l’irrilevanza della fattispecie, ovvero la possibilità di percorsi istruttori più consoni alla natura dei fatti o alle esigenze probatorie.

Un’altra osservazione si collega ad uno dei caratteri della responsabilità amministrativa che il Legislatore specificamente ha voluto sottolineare, il carattere personale della responsabilità.

Tale connotato, ad avviso di chi scrive, implica, sul fronte della ricerca della prova, una particolare attenzione volta ai comportamenti individuali concretamente assunti.

E ciò anche se gli stessi possano apparire, ad una valutazione che si rivela superficiale, confusi ed assorbiti in un comportamento collegiale.

Spesso, in presenza di fattispecie dannosa derivante da un atto formalmente collegiale (delibera di consiglio o di giunta), l’accertamento probatorio si esaurisce con l’individuazione dei soggetti che hanno formalmente partecipato alla formazione della volontà collegiale, e tanto basta.

Ma la responsabilità, anche nell’ambito degli organi collegiali, resta pur sempre personale!

Di conseguenza il P.M. , attraverso l’acquisizione del verbale della seduta, delle fonoregistrazioni o delle trascrizioni stenografiche, delle relazioni illustrative e degli eventuali pareri, in ipotesi anche di testimonianze, dovrà accertare nella sostanza “la parte da ciascuno presa” per essere certo di chiamare in giudizio chi realmente, al di là del dato meramente formale, ha concorso volontariamente e con colpa grave alla formazione dell’atto deliberativo dannoso.

Mi rendo conto che una analisi che miri ad individuare pur nell’ambito di organi collegiali le vere responsabilità personali non è facile ed è laboriosa e tuttavia è anche giusta, perché consente di evitare di sottoporre ad un processo, per tale ragione iniquo, chi in ipotesi ha ritenuto di esprimere un voto favorevole sulla base della erronea o falsa prospettazione di una situazione di fatto.

Del resto a cosa serve affermare il carattere personale della responsabilità se poi già nella fase istruttoria gli accertamenti non sono finalizzati ad individuare l’apporto causale “personale”, cioè “la parte da ciascuno presa” nella causazione del danno?

A mio modo di vedere, il P.M. presso la Corte dei conti , liberandosi da certe prassi, deve sempre più spostare la propria attenzione dagli atti e dalle carte alle azioni ed ai comportamenti; le une e gli altri spesso non possono essere “ricostruiti” ricorrendo solo alle prove storiche e documentali, ma privilegiando le audizioni personali, le prove testimoniali (da acquisire in dibattimento, dopo averle accuratamente indicate e aver formulato i relativi capitoli), e tutta la gamma delle prove logiche.

Mi rendo conto come possa apparire non naturale parlare di prove logiche o per deduzioni in casa di chi ha formato nei decenni la giurisprudenza in materia di legittimità formale degli atti ovvero, su altro fronte, ha per lo più svolto istruttorie basate sulle carte : ritengo nondimeno che proprio i nuovi e più penetranti poteri istruttori attribuiti al P.M. presso la Corte dei conti indichino la strada , questa strada, da percorrere per una “giusta” istruttoria.

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Entriamo quindi nel dettaglio dei c.d. poteri istruttori.

Il Procuratore regionale, come si è detto, può svolgere direttamente gli accertamenti, ovvero può delegarli, in tutto o in parte.

Di norma, anche per quanto previsto all’art. 16 del D.L.152/1991, la delega è disposto a favore della Guardia di Finanza; ma può essere disposta a favore di altri organi e di funzionari della p.a. chiamati in tal modo a prestare collaborazione al P.M. ai sensi dell’art.2, comma 4 della L.19/1994.

Con il primo atto istruttorio “esterno” (ordine di esibizione di documenti, etc.) il delegato provvederà a notificare all’amministrazione presso la quale si svolgono gli accertamenti diretti o alla parte (presunto responsabile o persone sottoposte ad audizione personale), la delega conferitagli.

La “delega” è un atto formale, sottoscritto dal P.M. delegante; ritengo che essa debba essere quanto più circostanziata possibile, con indicazione sintetica della fattispecie dannosa e degli specifici atti istruttori oggetto di delega; la delega deve essere finalizzata all’accertamento di fatti e non possono essere richiesti al delegato apprezzamenti e valutazioni in ordine, ad esempio, all’elemento psicologico della responsabilità.

Queste ultime notazioni hanno una ragione : non è raro il caso che la estrema genericità della delega lasci il delegante nel dubbio se possa o meno sottoporre il presunto responsabile ad audizione personale, ovvero se possa procedere al sequestro di atti; allo stesso tempo non sono rari i casi in cui si chiede alla Guardia di Finanza di accertare, insieme ad elementi di fatto, se sussiste o meno l’eventuale colpa grave.

Personalmente credo che la “delega” debba riguardare esclusivamente l’accertamento di fatti, dal quale ovviamente sono escluse valutazioni di competenza del magistrato istruttore (com’è quella sulla sussistenza o meno, sia pure sulla base degli elementi di fatto raccolti, della “colpa grave”); credo che i “fatti” da accertare debbano essere indicati nello stesso atto di delega, così da fornire al personale operante delle indispensabili linee guida.

Ritengo, più in generale, che gli “strumenti “ istruttori delegabili siano costituiti dagli atti indicati ai punti a) , b) e c) del comma 6 dell’art.5 L.19/1994; non è delegabile la nomina di periti e consulenti del P.M. (lettera d) norma citata).

Sono pertanto sicuramente delegabili l’ordine di esibizione di documenti, ispezioni ed accertamenti diretti, le audizioni personali (diverse beninteso da quella prevista dal 1° comma del richiamato art. 5 L.19/94, che com’è noto è richiesta dall’invitato); non vedo difficoltà a considerare delegabile, sotto il profilo dell’an, pure “il sequestro di documenti”, anche se ritengo che un simile provvedimento, la cui esecuzione è ovviamente affidata all’organo delegato, debba più opportunamente essere valutato di persona dal Pubblico Ministero e contenuto in uno specifico, motivato provvedimento del magistrato, eventualmente “sollecitato” da chi sul campo sta procedendo agli accertamenti diretti.

Taluni ritengono non delegabili le audizioni personali ed il sequestro di atti, ma se posso convenire sulla opportunità di lasciare al magistrato le valutazioni se procedere o meno a tali atti, non mi è chiaro su quale considerazione di ordine giuridico si basa la non delegabilità degli atti anzidetti, nel silenzio della relativa norma.

Né, come in qualche testo erroneamente è scritto, il sequestro di documenti nella fase dell’istruttoria ante causam si deve svolgere “secondo le norme del codice di procedura civile”; tali norme, come si sa, disciplinano il sequestro di documenti in corso di causa e nulla hanno a che vedere con il sequestro previsto dall’art. 5, comma 6 della L.19/1994, la cui fonte giuridica è per l’appunto la norma testè citata, che attribuisce al P.M. il potere di disporre il sequestro (mentre quello previsto dall’art.670 c.p.c. è “autorizzato” dal giudice presso il quale è incardinato il processo e si esegue nei modi precisati dall’art. 605 c.p.c. e segg.).

La “delega” deve indicare possibilmente il termine entro il quale rassegnare la relazione conclusiva, mentre è opportuno , nei casi di indagini di particolare interesse e complessità, che gli accertamenti delegati siano seguiti , attraverso diretti contatti con il personale operante, dal magistrato istruttore, così da indirizzare l’attività accertativa verso la migliore soddisfazione delle esigenze probatorie.

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La lettera a) del comma 6 dell’art. 5 L.19/1994 prescrive che il P.M., nelle istruttorie di sua competenza, può disporre l’esibizione di documenti, nonché ispezioni ed accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni ed i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico dei bilanci pubblici.

Va fatta, a parere di chi scrive, una preliminare osservazione.

Sembra che il Legislatore abbia voluto distinguere l’esibizione di documenti dalle ispezioni e dagli accertamenti diretti per significare che la prima può avvenire anche al di fuori di una ispezione in corso, mentre è assolutamente pacifico che costituiscono un comune esercizio della potestà d’ispezione l’accesso ai documenti e la relativa acquisizione in copia.

Sicchè nel disporre una “ispezione” è implicito l’ordine di esibizione di documenti.

1. La richiesta di esibizione di documenti, alla quale corrisponde una situazione di soggezione del soggetto che ha la disponibilità dei documenti, consiste nell’acquisire in visione l’originale del documento ritenuto utile ai fini istruttori; di fatto, per praticità, la richiesta è soddisfatta con l’acquisizione di copia del documento.

Allo scopo di conferire certezza alla provenienza dell’atto e al suo contenuto (e per evitare contestazioni difensive in sede dibattimentale) è opportuno che la copia sia autenticata nei modi di legge.

E’ anche opportuno che la richiesta di documenti contenga, se conosciuti, gli elementi identificativi degli stessi.

Sul tema delle acquisizioni documentali mi soffermo per sottolineare un elemento di criticità : di regola, anche nei casi in cui la richiesta di atti è formulata per il tramite della Guardia di Finanza, le amministrazioni si riservano di ricercare gli atti e di produrli in un momento successivo.

Una simile prassi è comune e di solito non determina complicazioni.

Tuttavia occorre considerare che essa talvolta consente alle amministrazioni di “confezionare” il materiale documentale, con il rischio che da esso, se non previamente conosciuti dal magistrato istruttore, siano espunti elementi utilissimi ai fini della ricostruzione dei fatti che hanno preceduto la formazione degli atti richiesti e soprattutto ai fini della individuazione delle responsabilità personali.

La comune esperienza amministrativa, ad esempio, ci insegna che in un fascicolo d’ufficio il funzionario responsabile custodisce non solo gli atti ufficiali e formali, ma anche annotazioni, lettere interne, appunti, etc.

E la comune esperienza di pubblici ministeri ci insegna che di norma, a meno che non si ricorra al sequestro dell’intero fascicolo o alla acquisizione e fotocopiatura dello stesso da parte della Guardia di Finanza, annotazioni, appunti informali, etc. non sono allegati ai documenti consegnati a cura dell’amministrazione.

Eppure proprio annotazioni informali, sigle, minute, appunti possono fornire al pubblico ministero la chiave più esatta per la ricostruzione dei fatti e delle personali responsabilità, più di quanto possa fare un documento formale.

Anni fa una annotazione a matita in calce ad un telegramma proveniente dalla Commissione Europea determinò una citazione in giudizio, risultando provate tanto la conoscenza del contenuto del telegramma, quanto la volontaria mancata assunzione delle doverose iniziative.

Di questa rivelatrice annotazione probabilmente non avremmo mai saputo niente se l’attività istruttoria del P.M. si fosse limitata alla mera acquisizione documentale.

Non avremmo mai saputo niente del reale stato della contabilità della Missione Arcobaleno se avessimo atteso il deposito formale del rendiconto delle spese.

Da tutto ciò consegue l’opportunità che nei limiti del possibile – quando non ricorrono le condizioni per disporre il sequestro degli atti – si provveda, alla presenza della parte e quindi in contraddittorio, alla immediata fotocopiatura dei documenti da acquisire.

Le ispezioni disposte dal P.M. sono attività autoritative finalizzate alla ricostruzione storica e documentale dei fatti oggetto di istruttoria.

Nella potestà d’ispezione, conferita dalla legge al P.M. e da questi di norma delegata, sono comprese più azioni organiche, tutte coordinate verso l’anzidetto unitario fine : come l’accesso nei luoghi, la ricognizione degli stessi, i rilievi fotografici, l’ordine di esibizione di atti e le ricostruzioni documentali, l’eventuale sequestro di atti, le audizioni personali.

Le ispezioni de quibus non appartengono al genere delle ispezioni amministrative, dal momento che l’organo titolare del potere d’ispezione non è un organo amministrativo; non vi è poi rapporto gerarchico tra il P.M. e l’ufficio “ispezionato”, né vi è un rapporto intersoggettivo all’interno del quale l’ispezione sia manifestazione di un controllo di carattere istituzionale; lo stesso contenuto e le finalità delle ispezioni in discorso ne escludono il carattere amministrativo e di controllo.

Esse si inseriscono nell’ambito di una attività istruttoria giudiziale, sia pure nella fase preprocessuale, nella quale possono peraltro esaurire i propri effetti, se il P.M. ritiene che non sussistano, sulla base degli esiti dell’istruttoria, le condizioni di legge per l’esercizio dell’azione di responsabilità.

Il potere d’ispezione attribuito dalla legge al P.M. presso la Corte dei conti è pertanto uno dei poteri compresi nella potestà di acquisizione di fatti all’istruttoria ed eventualmente al processo.

Al potere attivo d’ispezione del P.M. corrisponde, dal lato passivo, una situazione di soggezione (non istituzionale, in quanto dura finchè durano i presupposti giuridici che consentono l’esercizio della potestà ispettiva) che si qualifica come obbligo giuridico.

L’inadempimento di tale obbligo dà luogo ad un procedimento di esecuzione diretta : ad esempio, l’inadempimento di obbligo di permettere l’ispezione dà luogo ad un accesso coattivo; allo stesso modo l’inadempimento dell’obbligo di esibire un documento dà luogo allo spossessamento coattivo dello stesso.

Appartenendo al genere delle ispezioni giudiziali, c’è tuttavia da stabilire quali limiti incontrino le ispezioni ex art. 5, 6° comma L.19/1994.

Sul punto , come si sa, la legge speciale nulla ci dice, limitandosi ad attribuire il potere d’ispezione e non disciplinandolo.

Questa carenza di normazione generale e speciale nondimeno si rinviene anche nelle ispezioni amministrative , mentre l’unica normativa di riferimento, salvo rarissimi casi, pare essere solo quella che, nell’ambito del c.p.c. e del c.p.p., disciplina le ispezioni giudiziali, ragion per cui si è posto il problema se per quanto attiene ai limiti e alle formalità sia possibile assimilare le prime (le ispezioni amministrative) alle seconde (le ispezioni giudiziali).

Ad esempio sono state ritenute assimilabili alle ispezioni giudiziali penali quelle, amministrative, finalizzate tuttavia all’esercizo di potestà amministrative repressive (le ispezioni tributarie).

Analogo ragionamento si può sviluppare per le ispezioni ex art.5, 6° comma L.19/1994, che pertanto incontrerebbero gli stessi scarsi limiti delle ispezioni giudiziali penali. Nondimeno, anche a voler assimilare le ispezioni disposte dal P.M. contabile a quelle giudiziali civili (soluzione più coerente se avessero, e non l’hanno, una finalità di controllo o meramente informativa) si osserva che l’ispezione giudiziaria civile è contenuta nei limiti fondamentali del grave danno per l’assoggettato (onore della persona, riservatezza familiare, tecniche aziendali, processi produttivi delle imprese) e di ciò che è coperto dal segreto, aziendale, professionale, industriale.

E’ appena il caso di accennare che le ispezioni , così come più in generale l’attività accertativa svolta dal procuratore regionale (cfr. Corte cost. n.104/1989 e n.209/1994), non possono tradursi in una indiscriminata e generalizzata attività di controllo; non possono prescindere da una notizia damni e devono essere funzionali a concrete esigenze probatorie; le operazioni eseguite nel corso dell’ispezione, così come l’esito della stessa, sono racchiuse sempre in una relazione scritta.

Gli accertamenti diretti , a differenza dell’ispezione, che è un insieme organico e coordinato di azioni, costituiscono specifici accertamenti, finalizzati all’acquisizione di elementi di fatto ben determinati.

Il Legislatore li ha infatti voluti distinguere dalle ispezioni, per cui se le prime sono costituite da un complesso coordinato di attività comunque vincolate nel fine e legittimate dal presupposto giuridico della esistenza di una specifica notizia damni al cui accertamento, previa formale apertura di vertenza, anche l’ispezione deve essere specificamente indirizzata , si può argomentare che i secondi – cioè gli accertamenti diretti – sono costituiti da specifiche acquisizioni, restando inalterati il presupposto legittimante ed il fine.

Ma si può anche ritenere che con l’espressione “ispezioni ed accertamenti diretti” si sia voluta intendere la medesima attività accertativa, sottolineandone per l’appunto il carattere “diretto”.

Nella prassi tuttavia capita che si usino indifferentemente le espressioni “ispezione” ed “accertamento diretto”; anzi di regola c’è una qualche remora a disporre “ispezioni”, pur essendo il potere di accertamento compreso nella potestà di ispezione e risolvendosi gli “accertamenti diretti” in una attività sostanzialmente ispettiva.

Talvolta nell’ambito degli “accertamenti diretti” si richiedono all’amministrazione “relazioni illustrative” : in realtà non sembra che queste possano essere qualificate come esiti di “accertamenti”.

3. Sul sequestro di documenti. Tra i vari poteri istruttori non c’è dubbio che quello che consente il “sequestro” dei documenti sia caratterizzato da un più evidente tratto autoritativo.

Il sequestro dei documenti si traduce nello spossessamento coattivo di atti ed è motivato non (solo) dall’inadempimento dell’obbligo di esibizione, ma (soprattutto) da una valutazione di opportunità : il P.M. può ritenere di acquisire tempestivamente ed in originale gli atti per finalità istruttorie, allo scopo di evitare aggiustamenti postumi, manomissioni, sottrazioni di documenti significativi in danno della puntuale ricostruzione dei fatti nella fase preprocessuale, nonché per preservare la prova documentale in vista dell’eventuale processo.

Per tali ragioni il provvedimento di sequestro di documenti una volta che sia notificato all’amministrazione va eseguito subito e sotto la diretta responsabilità del personale incaricato della esecuzione, che provvederà, in contraddittorio, alla puntuale verbalizzazione di quanto sequestrato.

In proposito i militari della Guardia di Finanza seguono dei modelli comportamentali che soddisfano pienamente ogni esigenza operativa ed informativa.

Non si può dire in generale quando ricorrere al “sequestro” : è una decisione discrezionale del P.M., ancorché debitamente motivata ; si può tuttavia considerare l’inopportunità di procedere allo spossessamento coattivo di documenti quando gli stessi siano agevolmente acquisibili e fotocopiabili, ovvero quando non vi sia proporzione tra l’esercizio di un potere che resta comunque coercitivo e la natura della fattispecie o la modesta entità del danno che ha dato origine all’istruttoria.

Insomma, il sequestro di documenti è un provvedimento “forte” e va eseguito quando oggettivamente ne valga la pena, cioè quando concrete esigenze istruttorie non siano altrimenti soddisfabili.

Il sequestro di documenti di cui all’art. 5, comma 6, lettera b) della L.19/1994 pare essere una species a sé stante: non è infatti un sequestro amministrativo , né sembra assimilabile in toto al sequestro giudiziale, pur avendo di quello le finalità di acquisizione e preservazione della prova documentale.

Certamente non è il sequestro previsto e disciplinato dalle norme del codice di procedura civile e sotto certi profili, e per le stesse modalità di esecuzione, è maggiormente assimilabile al sequestro disposto dal P.M. penale.

Uno dei problemi, più teorico che reale, che sovente viene sollevato riguarda l’ipotesi in cui l’amministrazione non adempia all’obbligo di consegna dei documenti da sequestrare.

Qualcuno nutre perplessità sulla possibilità di ricercare e acquisire anche coercitivamente i documenti da sottoporre a sequestro.

La questione come si è detto è più teorica che pratica, dal momento che il dirigente pubblico di norma adempie, tuttavia è opportuno soffermarvisi.

Con una preliminare osservazione : il codice di procedura civile, a proposito delle modalità di esecuzione del sequestro di documenti richiesto da una parte ed autorizzato dal giudice, consente all’ufficiale giudiziario, in caso di rifiuto , di avvalersi della forza pubblica.

E quindi di procedere alla ricerca dei documenti sequestrati e allo spossessamento coattivo.

Pertanto se la ricerca e lo spossessamento coattivo sono pacificamente ammessi nel processo civile, nel quale gli interessi in gioco sono “privati”, non si vede quali dubbi nutrire quando il sequestro è disposto da un ufficio del Pubblico Ministero, per finalità di pubblico interesse.

Ma a parte quest’ultima notazione, forse metagiuridica, c’è da considerare che così come lo “spossessamento” anche coattivo degli atti sequestrati costituisce un tratto essenziale, persino “costitutivo” del provvedimento di sequestro, anche la eventualità della “ricerca” degli atti , se del caso coattiva, è esercizio fisiologico del potere di sequestro.

Come a dire che nel sequestro ci sono inscindibilmente la ricerca e lo spossessamento, altrimenti non sarebbe sequestro, sarebbe altro.

Ragionando diversamente dovremmo giungere alla conclusione che un provvedimento coattivo, autoritativo come il sequestro necessiti, per essere portato ad esecuzione, della cooperazione del possessore degli atti, il che è una palese contraddizione ed un assurdo.

Accade di sentir dire che il P.M. contabile non potrebbe procedere alla ricerca degli atti da sequestrare in quanto non rientrerebbe tra i suoi poteri istruttori il potere di disporre la “perquisizione”, atto tipico dell’istruttoria penale.

Ora, a parte il fatto che la perquisizione è una ispezione , c’è da osservare che anche nella istruttoria civile, come si è visto, si procede alla ricerca e spossessamento coattivo, sicchè non è affatto vero che il potere di ricercare la cosa (in ciò consiste la perquisizione) da sequestrare appartiene in via esclusiva al magistrato penale.

Il sequestro di documenti può avvenire tanto presso le pubbliche amministrazioni quanto presso i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze a carico dei bilanci pubblici.

4. Sulle audizioni personali.

Le audizioni personali ex art. 5, 6° comma, lettera c) L.19/1994 sono, come ciascuno può immaginare, un utilissimo elemento di acquisizione di scienza, nella misura in cui siano condotte avendo già previamente individuati gli elementi di fatto che , attraverso le testimonianze, si ha necessità di accertare, eventualmente integrare e provare.

Devono quindi essere focalizzate su punti precisi; possono essere delegate; non necessitano della presenza di un legale.

Tutto ciò implica, per necessità, che lo studio della fattispecie e degli altri elementi di fatto per altra via raccolti deve precedere e non seguire le “audizioni”.

E’ assolutamente pacifico che il magistrato che non ha studiato bene le carte è lo stesso che poi in sede di audizione non è in grado di articolare domande le cui risposte siano funzionali a concrete esigenze istruttorie, ragion per cui non di rado i verbali di audizioni personali si risolvono in fin troppo sintetici sunti di dichiarazioni spontanee.

In linea con quanto affermato nei primi momenti di questo intervento, proprio la necessità di accertare le singole, individuali, soggettive responsabilità dovrebbe invece accrescere l’interesse del P.M. presso la Corte dei conti per questo mezzo istruttorio, che comprensibilmente , stante il carattere ancora in larga misura “cartolare” della istruttoria, non riveste un ruolo primario nell’accertamento dei fatti.

Del resto è anche vero che la tipologia di numerose fattispecie dannose è tale che effettivamente le esigenze istruttorie possono ritenersi davvero soddisfatte con le acquisizioni documentali; ma è vero anche il contrario e cioè che esistono fattispecie , in genere quelle di maggior rilievo, per la cui puntuale e vera ricostruzione dei comportamenti dannosi non si può prescindere dalle audizioni personali e dall’analisi incrociata e “critica” degli elementi testimoniali raccolti.

Le “audizioni personali” sono in qualche misura assimilabili alle sommarie informazioni testimoniali dell’istruttoria penale e sono liberamente valutate dal giudice; non costituiscono cioè una fonte di prova se non acquisite nel dibattimento, in contraddittorio con la difesa.

Com’è naturale, le “audizioni” sono verbalizzate ed il verbale entra a far parte del fascicolo istruttorio : spesso la parte, persona informata dei fatti o presunto responsabile, chiede copia del verbale.

Ebbene, consta che a fronte di questa richiesta le risposte sono diverse : c’è chi nulla obietta e consegna la copia dell’atto, c’è chi obietta e non consegna nulla. La norma in proposito tace.

Personalmente ritengo che in una fase ancora istruttoria, comunque coperta dal segreto d’ufficio, non possa essere consentito estrarre copia di atti che in quanto compresi in una istruttoria segretata non possono avere una trattamento diverso da quella : la copia del verbale pertanto non dovrebbe essere rilasciata.

Nella “audizioni” ex art.5, 6° comma L.19/1994 la parte non può essere ammonita a dire la verità pena le conseguenze di legge ed il giudice è libero di valutare il contenuto delle stesse.

Una esperienza da segnalare riguarda l’audizione personale di persone informate dei fatti (per le quali anche in sede di istruttoria penale non è prevista la presenza di un legale) condotta congiuntamente, con verbale con doppia intestazione, dal P.M. penale e dal P.M. presso la Corte dei conti.

L’esperienza, avvenuta nell’ambito delle indagini sul caso della c.d. Missione Arcobaleno, è stata positivamente accolta dalla magistratura penale in una ottica di normale collaborazione tra uffici diversi del pubblico ministero e c’è da augurarsi che non rimanga isolata.

Sulla nomina di periti e consulenti.

Il Pubblico Ministero, nelle istruttorie di sua competenza, può disporre perizie e consulenze, ai sensi dell’art. 5, 6°comma lettera d) L.19/1994, ferma restando la possibilità di delegare adempimenti istruttori a funzionari delle pubbliche amministrazioni e di avvalersi di consulenti tecnici.

La formulazione della norma non è, per la verità, particolarmente felice : in una stessa disposizione si fa riferimento, probabilmente per intendere lo stesso soggetto, al “perito”, al “consulente”, al “consulente tecnico”.

Né è chiaro quale sia, a proposito del “perito” o “consulente tecnico” nominato dal P.M. la normativa di riferimento, posto che quella del c.p.c. è specificamente dedicata al consulente tecnico – ausiliario del giudice, mentre nella presente circostanza il C.T. è ausiliare del P.M., che è pur sempre una parte del processo; in sostanza, anche per gli effetti della consulenza, che non è fonte di prova, il C.T. in discorso è consulente di parte e la parte avversaria ovviamente può contestarne le conclusioni, allo stesso modo come il giudice è libero di apprezzarne il merito senza vincoli.

Nell’attuale situazione normativa il P.M. nomina il C.T. senza obbligo di darne comunicazione a chicchessia; e del resto la finalità della consulenza, che si risolve sempre in un accertamento di fatto pur dedotto dalla regola di esperienza, spesso è proprio quella di aiutare il P.M. ad individuare, tra gli altri eventuali elementi costitutivi della responsabilità, anche il profilo soggettivo, cioè le personali responsabilità.

Sicchè accade che prima della conclusioni della consulenza non ci sia, se non in via di mera ipotesi, una “parte” alla quale assicurare una qualche forma di partecipazione alle operazioni del C.T., le quali pertanto si svolgono “in solitudine”.

L’esame dei poteri istruttori del P.M. contabile, qui condotto sinteticamente e a grandi linee, può a questo punto concludersi, segnalando la necessità che si provveda, a livello regolamentare, a disciplinarne fin nel dettaglio il corretto esercizio, per evitare incertezze applicative in una situazione nella quale si incide sulla sfera dei diritti delle persone ed in una ottica di “giusto processo”.

Redazione

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