Confisca: principi e tipologie
La confisca è una misura di sicurezza patrimoniale.
Il paradigma a cui fare riferimento è quello della confisca ex art. 240 c.p., cioè la c.d. confisca reale.
Essa consiste nell’acquisizione coattiva, senza indennizzo, da parte dello Stato di beni legati ad un reato da un nesso di “pertinenzialità”. La confisca reale, infatti, ha ad oggetto (i) il profitto del reato, (ii) il prezzo del reato, nonché (iii) il prodotto del reato.
La confisca del profitto, del prezzo e del prodotto del reato (cioè di beni che al reato sono legati a filo doppio) serve a privare il reo della disponibilità di beni che tengono viva nel reo l’idea del reato, incentivandolo alla commissione di ulteriori futuri illeciti. Lo scopo della loro espropriazione è infatti quello di neutralizzare la pericolosità sociale del reo.
Proprio nella funzione di neutralizzare la pericolosità sociale del reo poggia la differenza delle misure di sicurezza rispetto alla pena. Benché l’art. 27 Cost. assegni alla pena una funzione rieducativa (a cui in parte è ricollegabile senz’altro anche l’obiettivo di neutralizzare la pericolosità del soggetto), è indubbio che la pena sia saldamente agganciata al passato e parametrata sul fatto commesso.
La misura di sicurezza invece è precipuamente volta a neutralizzare una pericolosità sociale persistente la cui manifestazione è stata solo occasionata dalla commissione di un reato. La valutazione in ordine alla pericolosità sociale è, quindi, necessariamente attuale.
Anche per questa ragione sussistono delle ipotesi in cui la misura di sicurezza non necessariamente si affianca alla pena. Così è nell’ipotesi di reato impossibile ex art. 49 c.p. e di accordo finalizzato alla commissione di un reato ex art. 115 c.p.
Le differenze appena delineate spiegano il motivo per cui il legislatore costituzionale non ha espressamente previsto anche per le misure di sicurezza il principio di irretroattività sfavorevole, laddove all’art. 25 Cost. si è limitato a precisare che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. E così pure a livello primario all’art. 200 c.p. si stabilisce che il giudice applica la misura di sicurezza in base alla legge vigente al momento della sua applicazione o al momento della sua esecuzione.
Per stemperare gli effetti di questo quadro normativo, qualcuno ha sostenuto che l’art. 200 si riferisce alla legge che disciplina le modalità di esecuzione della misura di sicurezza (non consentendo, invece, l’applicabilità di una misura di sicurezza come conseguenza di un fatto per il quale la misura di sicurezza non era prevista al momento in cui fu commesso). Altri si sono invece limitati a precisare che, in ogni caso, la mancata previsione per le confische del principio di irretroattività sfavorevole sarebbe stemperata dalla considerazione che sarebbe comunque impossibile applicare una misura di sicurezza a fronte della commissione di un fatto che, all’epoca in cui la condotta è stata tenuta, non costituiva reato.
Ciò posto, occorre tenere presente però che negli ultimi anni il legislatore ha introdotto, sotto il nomen iuris di confisca, una serie di istituti che, pur avendo efficacia ablatoria, differiscono dalla confisca di cui all’art. 240 c.p. per la natura dell’oggetto su cui incidono e le finalità cui rispondono (ragion per cui la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, ha affermato che la confisca ha natura proteiforme).
Tanto marcata è però la differenza di questi istituti di nuovo conio rispetto al paradigma tradizionale della confisca che talvolta si è giunti a riqualificarli – sulla scorta della concezione autonomistica CEDU e dei principi Engel – come vere e proprie pene, con conseguente necessaria applicazione del principio di irretroattività sfavorevole.
Così è accaduto nel caso della confisca per equivalente. Tale confisca, anziché avere ad oggetto il profitto, il prezzo o il prodotto del reato, ha ad oggetto cose che abbiano un valore equivalente al profitto o al prezzo. Per questa ragione essa è anche detta “confisca di valore”.
Sul tema, vedi: “Disciplina dell’efficacia della legge penale nel tempo“
Cosa accade alla confisca nel caso di abolitio criminis o declaratoria di incostituzionalità?
Come noto, in base all’art. 673 c.p.p. “nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità”.
Ci si è quindi chiesti quali siano le conseguenze della revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p. sulla confisca.
In prima battuta, si sono registrati due opposti orientamenti.
Secondo una prima impostazione la revoca del giudicato ex art. 673 c.p.p. – conseguentemente tanto all’intervenuta abolitio, quanto alla declaratoria di incostituzionalità – avrebbe comportato la revoca di ogni conseguenza pregiudizievole per il condannato, inclusa la confisca.
All’opposto, in base a una diversa tesi, la confisca era inevitabilmente destinata a sopravvivere alla revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p. – anche qui, indifferentemente che questa conseguisse all’intervenuta abolitio o alla declaratoria di incostituzionalità – giacché essa, appena è disposta, produce immediatamente un acquisto a titolo originario del bene in capo allo Stato (il suo effetto è, quindi, definitivo). Inoltre, in base all’art. 236 c.p. non risulta applicabile alla confisca l’art. 207 c.p., norma quest’ultima che disciplina la possibilità di revocare le misure di sicurezza.
In una fase successiva, una importante sentenza della Cassazione (n. 38857/2016) ha però messo in discussione il dibattito appena delineato con riferimento alla confisca per equivalente. In quel caso la Cassazione, di fronte alla declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice, ha rilevato che gli argomenti a favore dell’intangibilità della confisca non possono essere fatti valere anche con riferimento alla confisca per equivalente, essendo questa una misura sanzionatoria che occorre riqualificare come pena sulla scorta della concezione autonomistica CEDU e dei criteri Engel. La confisca per equivalente, dunque, deve essere trattata come una pena e deve “cadere” insieme alla revoca del giudicato. Ciò con un unico limite: la confisca per equivalente non potrà essere revocata allorché sia già stata eseguita.
Sulla questione è da ultimo intervenuta Cass. n. 8421/2018, proponendo una ricostruzione che appare affatto diversa, con specifico riguardo al caso in cui la revoca della sentenza sia conseguente ad abolitio criminis.
La sentenza pone innanzitutto il principio per cui è del tutto irrilevante che la confisca sia diretta o per equivalente, né rileva che la confisca abbia natura di misura di sicurezza o di pena sulla scorta della concezione autonomistica CEDU.
Ciò che realmente conta, di fronte a una revoca per abolitio criminis, è il fatto che la confisca sia obbligatoria (e non, come in alcuni casi, facoltativa).
L’art. 2, comma 2, c.p. infatti stabilisce che, se in seguito alla condanna vi è stata abolitio criminis, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali (tra i quali effetti rientra la confisca obbligatoria). Così come l’art. 673 c.p.p. impone al giudice di disporre, a seguito della revoca della sentenza, il ritiro di tutte le statuizioni accessorie che presuppongono la condanna (cioè i “provvedimenti conseguenti”), tra cui la revoca della confisca dei beni. Al contempo, l’art. 210, comma 1, c.p. dispone che l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione.
La Cassazione ha poi negato che l’esecuzione della confisca costituisca un limite alla sua revocabilità nel caso in cui il provvedimento ex art. 673 c.p.p. consegua all’abolitio criminis: “il tema dell’esaurimento degli effetti, che potrebbe aver un qualche rilievo rispetto alla revoca della condanna a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità della norma, è invece del tutto irrilevante allorquando l’abrogazione dipenda da una norma sopravvenuta: l’esecuzione della confisca non costituisce elemento ostativo, né a livello concettuale, né a livello operativo, potendosi sempre disporre la restituzione dei beni illegittimamente acquisiti, e cioè di quanto concretamente realizzato dall’esecuzione, siccome lo Stato non può trattenere i beni senza titolo che è venuto meno a seguito della norma abrogatrice”.
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