***
L’avveramento della condizione, sia essa risolutiva o sospensiva, sta a significare che gli effetti del contratto, rispettivamente, si producono o vengono meno fin dal momento in cui si è stipulato il negozio.
Invero, la regola della retroattività non è assoluta. È, infatti, previsto che, o per volontà delle parti o per la sua sussistenza di determinate circostanze, gli effetti si producono soltanto nel momento in cui la condizione si attua.
In più l’obbligo di restituzione dei frutti sorge nel momento dell’avveramento. Infine, nel caso di condizione risolutiva, se il contratto è a prestazione continua, l’avveramento dell’evento dedotto lascia impregiudicati gli effetti del l’atto che si siano prodotti medio tempore.
Il principio della retroattività degli effetti della condizione non pare del tutto coerente con la funzione della clausola condizionale, intesa come strumento di evidenziazione di interessi. Più esattamente: se si assume che solo con l’avveramento della condizione si completano gli elementi costitutivi della fattispecie, ciò sta a significare che prima dell’avveramento non vi sarebbero i presupposti dell’efficacia dell’atto. Difatti là dove la condizione è legale l’atto risulta efficace solo al verificarsi (o al mancare) di questa.
Né la retroattività si spiega con il fatto che nel manifestare il loro consenso, anche se condizionato, le parti hanno rivelato di volersi immediatamente impegnare sul piano giuridico, pur se subordinatamente al verificarsi (o al mancare) di un dato evento.
L’esistenza della manifestazione volitiva comporta esclusivamente che è nato un rapporto giuridico, non già che lo stesso sia in grado di esplicare tutte le sue conseguenze, una volta che l’evento dedotto si sia verificato (o sia mancato).
Nel caso di vendita con riserva della proprietà – fattispecie che si può, almeno sotto certi profili, ricondurre alla figura del negozio condizionato – il contratto esplica immediatamente alcuni dei suoi effetti, mentre solo il passaggio della titolarità del bene compravenduto è differito al momento in cui interviene il pagamento dell’ultima rata del prezzo.
La retroattività sembra, piuttosto, necessitata dal fatto che i diritti sub condicione hanno rilevanza anche rispetto ai terzi: essi possono circolare e possono essere opposti.
La retroattività, cioè, è dipendente dalla «realità».
Nell’esame della norma dell’art. 1357 c.c. si è già notato che l’esistenza di una condizione non limita le facoltà di disposizione del titolare del diritto; ma gli atti di disposizione seguono lo svolgimento della vicenda condizionale.
Se gli effetti della condizione non si producessero retroattivamente, gli acquisti aventi ad oggetto diritti sospensivamente condizionati dovrebbero essere, a loro volta, risolutivamente condizionati all’evento dedotto nella prima condizione; viceversa: gli acquisti di diritti sottoposti a condizione risolutiva dovrebbero essere sottoposti a condizione sospensiva.
Una simile conseguenza è stata esclusa dagli stessi redattori del Codice, come risulta non solo dalla Relazione al Re, ma anche dalla disciplina prevista per alcune ipotesi tipizzate di atto condizionato quali la donazione con condizione di reversibilità e la vendita con patto di riscatto .
In un sistema in cui l’atto giuridico è normalmente destinato a produrre solo effetti fra coloro che lo hanno posto in essere e nel quale, poi, le dichiarazioni di volontà sono impegnative solo per chi le ha espresse, la retroattività diventa l’unico modo per estendere a soggetti terzi gli effetti del negozio come voluto dagli stipulanti, senza con ciò contraddire il principio di relatività (art. 1372 c.c.).
Dalla retroattività scaturisce la opponibilità della condizione, intesa, però, come rilevanza per i terzi di una data situazione giuridica, indipendentemente dal l’esistenza, o meno, di strumenti di pubblicità.
Negli atti di trasferimento dei beni immobili, la condizione, eventualmente apposta, risulta conoscibile dai terzi, per mezzo della trascrizione.
Ma, là dove manchi, un regime di pubblicità si può spiegare solo in conseguenza della retroattività perché il terzo deve subire le conseguenze dell’avveramento (o del mancare) della condizione, anche nell’eventualità in cui egli non sia stato reso edotto dal suo dante causa dell’esistenza della clausola condizionale.
Cosi, chi abbia alienato sotto condizione risolutiva, in virtù della retroattività, può agire, come titolare del bene, nei riguardi dell’eventuale terzo acquirente, una volta verificata la condizione o, meglio, l’evento in essa dedotto.
Il nesso esistente fra retroattività e realità degli effetti della condizione si palesa ulteriormente, se si consideri che la retroazione, quando si verifica per realizzare solo finalità di ripristino, si articola con modalità diverse da quelle in cui si compiono gli effetti della condizione.
Basti considerare, infatti, che nel caso della risoluzione il sistema restitutorio è quello proprio dell’indebito; mentre nel caso di condizione risolutiva vengono ricostituite solo le soluzioni di titolarità, lasciando sostanzialmente inalterate le vicende che, nel periodo interinale, si sono determinate come conseguenze del normale esercizio delle facoltà proprietarie.
Il limite della retroattività
La regola della retroattività non è assoluta.
È, infatti, consentito alle parti derogarvi convenzionalmente. Queste possono stabilire che gli effetti della condizione si producono in un momento diverso da quello della stipulazione e dell’avveramento o dal mancare della condizione.
La possibilità concessa alle parti dipende, ovviamente, dall’autonomia che esse hanno nel regolare i propri interessi. Il valore di questi accordi però, per il principio di relatività, dovrebbe essere limitato ai soli stipulanti con la conseguenza che, rispetto ai terzi, la condizione produrrebbe sempre effetti retroattivi, con l’unica eccezione prevista dalla legge.
Questa conclusione che, peraltro, sembrerebbe confermare il collegamento fra retroattività e realità, non pare, però, condivisibile.
Infatti in base alla norma dell’art. 1357 c.c. gli atti di disposizione compiuti in pendenza della condizione seguono la vicenda condizionale e la loro efficacia si compie specularmente all’efficacia dell’atto al quale sono collegati.
Ciò, tuttavia, non significa che le eventuali deroghe convenzionali siano automaticamente estese ai terzi, anche in assenza di un esplicito e specifico richiamo nel regolamento dell’atto «sub condizionato».
L’estensione ai terzi della deroga convenzionale agli effetti dell’atto si realizza solo se il titolare del diritto sub condicione ne abbia disposto, riportando la clausola condizionale nella sua interezza.
Diversamente, la deroga convenzionale non potrà valere per il terzo eventuale avente causa. Ma tale irrilevanza non comporta l’applicazione della regola della retroattività, sebbene la responsabilità del dante causa per avere disposto di diritti che non gli appartenevano.
La situazione si presenterà analoga a quella della alienazione di cosa altrui e, in particolare – supposta in ogni caso la menzione dell’esistenza della condizione – di vendita di cosa altrui, nella consapevolezza dell’acquirente.
La facoltà data alle parti di derogare alla retroattività implica, di regola, che di tale prerogativa le parti si avvalgano, attraverso una esplicita determinazione.
Si potrebbe però considerare anche l’eventualità di una deroga deducibile in via interpretativa o posta in via integrativa per rendere l’attuazione del rapporto contrattuale conforme con la buona fede.
Così, nel caso in cui la condizione sia stata prevista per limitare nel tempo (dies a quo) diritti di credito, l’efficacia non retroattiva degli effetti dell’avveramento della condizione (sospensiva) sembrerebbe assolutamente ragionevole indipendentemente da esplicite indicazioni convenzionali.
La questione è riferibile ad una serie di ipotesi molto frequenti nella pratica degli affari: i contratti (di scambio) nei quali l’adempimento della prestazione in danaro risulti subordinata al conseguimento di un mutuo.
Ove si applicasse la regola della retroattività si dovrebbe ritenere che l’obbligato sarebbe tenuto al pagamento degli interessi con decorrenza anteriore al giorno in cui le somme mutuate siano nella sua disponibilità. Una soluzione di questo tipo, però, frustrerebbe lo scopo della clausola condizionale, in quanto graverebbe il debitore delle somme di danaro di oneri che egli intende evitare, proprio attraverso la condizione.
Sembra, inoltre, opportuno sottolineare che il problema della retroattività degli effetti della condizione è posto essenzialmente con riferimento alla efficacia dell’intero contratto, e non con riguardo alle ipotesi in cui la condizione si riferisca esclusivamente ad un patto o ad uno degli obblighi scaturenti dal l’atto.
A questa conclusione porta la stessa lettera della norma, là dove individua come eventuale ragione di limitazione della retroattività la «natura del rapporto», intesa, plausibilmente, come relazione negoziale in tutto il suo complesso.
Questa osservazione conduce ad una ulteriore riflessione: la retroattività attiene esclusivamente al vincolo contrattuale. La condizione, infatti, come strumento per evidenziare specifiche ragioni individuali che rappresentano altrettanti presupposti contrattuali, vale per segnalare il momento in cui sorge il vincolo giuridico, non anche i suoi effetti.
Nel caso in cui la condizione si riferisce ad un singolo patto, il vincolo giuridico è già pienamente sorto fra le parti; la condizione vale solo per circoscrivere un determinato aspetto dell’assetto di interessi. Ancor più evidente è la funzione limitativa della condizione là dove questa incide sull’efficacia di singoli diritti o obblighi negoziali.
In entrambe le ipotesi alla condizione può ricollegarsi la funzione di definire le modalità di attuazione di specifiche situazioni, in ragione del verificarsi o del mancare dell’evento dedotto in condizione. In altri termini: è la condizione stessa che regola la situazione, con la conseguenza che la affermazione di una sua necessaria retroattività potrebbe vanificare la sua stessa funzione.
Il problema, peraltro, può porsi anche in situazioni opposte, nelle quali la condizione è prevista con riferimento all’intero regolamento contrattuale, con esclusione di uno o più patti in esso contenuti.
Si pensi ad esempio al caso di un contratto preliminare di compravendita di immobile sottoposto alla condizione sospensiva della approvazione o della variazione di strumenti urbanistici. In questo tipo di accordo compare spesso un patto in cui si pone, a carico del promittente acquirente, l’obbligo di prestare garanzia o di dare cauzione, indipendentemente dall’avverarsi o meno del l’evento condizionante.
Lo scopo della parte è assicurare al promittente venditore un compenso per aver limitato, seppure temporaneamente, le proprie facoltà di disposizione. Ove si applicasse la regola della retroattività, questo scopo sarebbe, però, vanificato.
In definitiva, alla condizione deve attribuirsi una efficacia funzionale alla realizzazione dello scopo per il quale i contratti l’hanno prevista.
A tal fine gli effetti della condizione potranno o anzi dovranno essere stabiliti, non già aprioristicamente o in base alle sole specifiche determinazioni espresse dalle parti, ma attraverso una indagine sugli scopi che le stesse parti hanno convenuto e con l’individuazione delle finalità, che la condizione assolve, emergenti dall’interpretazione della volontà degli stipulanti.
Limiti di apponibilità della condizione
La legge stabilisce espressamente i casi in cui è fatto divieto alle parti di arricchire il contenuto dell’atto, apponendovi una condizione.
Le prescrizioni normative, peraltro, non riservano, in caso di violazione del divieto, un eguale trattamento per tutte le fattispecie.
In alcuni casi il legislatore ha stabilito la irrilevanza della clausola condizionale, con le conseguenze che l’atto rimane perfettamente valido, ma la manifestazione di autonomia delle parti contrattuali non riceve il sigillo della rilevanza giuridica (art. 2010 c.c.).
Altre volte, invece, il legislatore preferisce far seguire alla trasgressione la caducazione dell’intero atto (art. 457, c. 2°, c.c.).
Le ragioni di queste diverse soluzioni normative debbono ricercarsi essenzialmente nella diversa rilevanza che assume l’autonomia privata nei vari tipi di atto. Più precisamente, là dove l’autonomia privata ha un suo spazio operativo, l’ordinamento ne tiene conto, almeno per svolgere una valutazione di segno negativo.
Nella fattispecie in cui non è dato ai privati di esplicare un proprio assetto di interessi, la determinazione privata è considerata come insussistente.
Nonostante i contenuti della disciplina positiva, si pone il problema di stabilire se vi siano, o meno, dei limiti all’apponibilità della condizione, al di là delle ipotesi contemplate dalla legge.
In dottrina si è negata la possibilità di inserire condizioni negli atti giuridici in senso stretto. Qui gli effetti sono stabiliti direttamente dalla legge, senza possibilità per gli autori dell’atto di compiere integrazioni.
Altri autori, invece, escludono l’opponibilità di condizioni per impedire che la sfera degli interessi giuridici altrui possa essere modificata rispetto agli standards tipici determinati dalle leggi.
Condizione legale
La norma in commento si riferisce esclusivamente alla c.d. condicio facti.
Nella catalogazione del fenomeno condizionale si distingue, però, fra condizione volontaria e condizione legale.
La distinzione deriverebbe dalla diversa fonte del fenomeno condizionale, nel primo caso la volontà delle parti, nell’altro la stessa legge.
La cesura fra le due fattispecie (concreta) non è sempre netta.
Innanzitutto esistono norme che delineano come un fenomeno condizionale eventi collegati direttamente alla determinazione volitiva delle parti negoziali.
È questo il caso della sostituzione in materia di disposizione testamentaria, dove le espressioni del testo normativo suggerirebbero il riferimento alla figura della condizione legale, mentre in realtà la fattispecie si configura come una condizione (volontaria) tacita o implicita.
Lo stesso può dirsi della donazione con condizione di reversibilità.
Neppure sono riconducibili nell’ambito della condizione legale tutte quelle ipotesi in cui la legge subordina il verificarsi di un certo effetto alla realizzazione di una determinata circostanza.
Di questi casi la legge ne contempla molti, ma solo alcuni sono qualificabili nei termini sopra indicati.
Esempi tipici si hanno nella successione del debito altrui, laddove la liberazione dell’originario debitore si attua per un’espressa dichiarazione del creditore (art. 1273, c. 2° e art. 1274, c. 3° c.c.). Restano, invece, estranei alla categoria i casi di ratifica del contratto concluso dal rappresentante senza potere, la electio amici, nel contratto per persone da nominare. In queste ipotesi la manifestazione di volontà dell’interessato determina direttamente l’effetto al quale è rivolta.
È controverso se fra condizione volontaria e condizione legale vi sia o meno identità di disciplina.
Secondo un autore, che considera la condizione come un elemento necessario per la realizzazione di una determinata fattispecie giuridica, non ci sarebbero diversità fra l’una e l’altra specie di condizione. Per altri è scorretto assimilare le due figure. La condizione legale, diversamente da quella volontaria, sarebbe un elemento necessario per la validità dell’atto, non per la sua efficacia.
Invero, esistono situazioni in cui l’evento previsto dalla legge è circostanza necessaria solo per la produzione degli effetti.
Ad esempio: l’attribuzione a titolo di liberalità o mortis causa a favore di un ente morale riconosciuto, è valida, anche se non interviene il provvedimento amministrativo di autorizzazione (art. 17 c.c.), che la rende solo efficace.
All’opposto il decreto di omologa degli accordi di separazione personale fra i coniugi è elemento imprescindibile per la validità della separazione consensuale.
Di incerta qualificazione resta il provvedimento di riconoscimento stabilito dal Codice, quale necessario presupposto per l’attuazione delle attribuzioni fatte a favore di enti morali non ancora riconosciuti.
Altrettanto incerta può essere la qualificazione come condicio juris del provvedimento amministrativo di abitabilità nei trasferimenti immobiliari.
La condizione legale, dunque, a differenza della condizione volontaria, attiene solo in qualche ipotesi alla sfera degli effetti dell’atto. In questa eventualità sussistono delle evidenti analogie con la condicio facti.
In forza di questa analogia è corretto stabilire delle uniformità di disciplina, applicando anche alle fattispecie delle condizioni legali almeno alcune disposizioni di quelle che la legge dispone per la condizione volontaria, quali le disposizioni in tema di pendenze e di effetti dell’avveramento dell’evento dedotto.
(*) Queste pagine sono parte di capitolo del volume collettaneo in tema di disciplina generale del contratto (AA.VV., Gli effetti del contratto,Torino,2003) compreso nel Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione presso la casa editrice Giappichelli, volume dove sono considerati gli argomenti che si indicano nel suo circostanziato indice.
INDICE
PARTE PRIMA
EFFETTI DEL CONTRATTO
CAPITOLO I
LA VINCOLATIVITÀ
(di Giuseppe Vettori)
1. Forza di legge e contratto giusto
2. I contratti dei consumatori
3. I contratti fra imprese
4. Il contratto usurario
5. Un nuovo ordine in formazione
CAPITOLO II
IL MUTUO CONSENSO ALLO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO
(di Massimo Franzoni)
1. Premessa
2. Struttura e natura del mutuo dissenso: eliminazione giuridica dell’atto da sciogliere o cancellazione dei suoi effetti?
2.1. Le diverse tesi sul mutuo dissenso: il contrarius actus ed il contrarius consensus
2.2. La soluzione più rispettosa dell’art. 1372, c. 1º, c.c.
3. Mutuo dissenso: effetti ex tunc oppure ex nunc
4. Il mutuo dissenso di un contratto invalido, inefficace, risolubile, rescindibile o revocabile
5. L’opponibilità ai terzi dello scioglimento di un contratto invalido
5.1. Il mutuo dissenso di donazione confermata: art. 799 c.c.
6. Il mutuo dissenso di contratti ad effetti reali
7. Il regime di pubblicità del mutuo dissenso
8. La forma del mutuo dissenso
8.1. Il mutuo dissenso mediante distruzione materiale del contratto da sciogliere e la forma richiesta per fini diversi dalla validità
9. Le parti del mutuo dissenso
10. Il mutuo dissenso o la modifica dei contratti associativi
11. La capacità di contrattare nel mutuo dissenso
12. Le vicende del mutuo dissenso: il ripristino conseguente allo scioglimento dell’atto
13. L’opponibilità ai terzi del mutuo dissenso
14. Casistica sul mutuo dissenso: il contratto concluso dal falsus procurator, per persona da nominare, la cessione del contratto, il contratto a favore di terzo
15. Il mutuo dissenso nei contratti con rilevanza verso i terzi: la cessione del credito, la locazione
16. Il mutuo dissenso e la prelazione legale
17. Il mutuo dissenso e la simulazione
17.1. La simulazione assoluta
17.2. La simulazione relativa
CAPITOLO III
GLI EFFETTI DEL CONTRATTO NEI CONFRONTI DEI TERZI
(di Giuseppe Vettori)
1. Il c. 2° dell’art. 1372
2. Rilevanza ed opponibilità
3. La responsabilità del terzo per violazione del contratto
CAPITOLO IV
I CONTRATTI AD EFFETTI REALI
(di Giuseppe Vettori)
1. Premessa
2. La circolazione dei beni: le soluzioni adottate negli ordinamenti europei. La tensione verso soluzioni uniformi
3. L’acquisto di cose mobili e la Convenzione di Vienna
4. L’acquisto dei titoli di credito
5. Gli acquisti di cose immobili e la trascrizione: gli atti trascrivibili e la trascrizione del preliminare
6. Principio consensualistico e autonomia privata
7. Effetto traslativo e individuazione
8. Il ruolo del contratto nell’assetto dei beni: obbligazioni reali e vincoli di destinazione
CAPITOLO V
RILEVANZA ED OPPONIBILITÀ DEL CONTRATTO NEL FALLIMENTO
(di Massimo Franzoni)
1. Premessa
2. Il fallimento come terzo avente causa
3. L’inopponibilità dei contratti che presuppongono l’esercizio di un’impresa
4. L’inopponibilità dei contratti personali e fiduciari
5. L’inopponibilità dei contratti la cui esecuzione è incompatibile con una procedura concorsuale
6. L’inopponibilità dei contratti privi di interesse per la massa dei creditori
7. L’inopponibilità e la rilevanza dell’appalto
8. Opponibilità e rilevanza della locazione
9. L’opponibilità dell’assicurazione contro i danni
10. Opponibilità ed inopponibilità di altri contratti
10.1. L’inopponibilità dell’arbitrato o della clausola arbitrale al fallimento
11. Efficacia ed opponibilità, quando la scelta di subentrare è effettuata a posteriori: i contratti a prestazioni corrispettive, ineseguiti
12. Il fallimento del compratore
13. Il fallimento del venditore
14. Opponibilità e rilevanza del contratto preliminare
15. L’opponibilità della vendita a rate con patto di riservato dominio e con patto di riscatto
16. L’opponibilità nella vendita di cosa mobile
17. Opponibilità e rilevanza del contratto di somministrazione
18. Gli artt. 72 e 74 l. fall. sono espressioni del principio generale di opponibilità nei rapporti giuridici pendenti
19. L’art. 45 l. fall.: l’opponibilità mediante la trascrizione
20. L’art. 45 l. fall. e gli atti non soggetti a trascrizione: quale regola per l’opponibilità nel trasferimento dei titoli di credito e delle quote di società?
21. L’art. 45 l. fall. e l’art. 1519 c.c
22. Il fallimento e la data certa delle cambiali: l’opponibilità negli atti unilaterali
23. L’inopponibilità del contratto simulato al fallimento
PARTE SECONDA
CONDIZIONE, TERMINE E MODO
(di Maria Costanza)
CAPITOLO VI
CONDIZIONE, TERMINE E MODO
1. Premessa
2. L’evento deducibile in condizione
3. L’evento deducibile in condizione e la deducibilità dell’adempimento
4. Condizione sospensiva e risolutiva
5. La condizione unilaterale
6. La condizione illecita
7. Vitiatur et vitiat e nullità parziale
8. L’invalidità della condizione apposta ad una singola clausola
9. La norma dell’art. 1355 c.c.
10. Condizione meramente potestativa e condizione potestativa
11. La condizione potestativa risolutiva
12. La pendenza della condizione
13. Gli atti conservativi
14. Condizione risolutiva e atti conservativi (rinvio)
15. Atti di disposizione
16. Il comportamento delle parti in pendenza della condizione
17. La finzione di avveramento
18. La causa imputabile
19. Ambito di applicazione della norma e la finzione di non avveramento
20. La retroattività
21. Il limite della retroattività
22. Limiti di opponibilità della condizione
23. Condizione legale
24. Termine
25. Modo
PARTE TERZA
RECESSO DAL CONTRATTO
(di Federico Roselli)
CAPITOLO VII
IL RECESSO DAL CONTRATTO
1. Nozione
2. Il recesso quale atto impeditivo dell’adempimento
3. Recesso successivo all’adempimento
4. Figure contigue e variazioni terminologiche
5. Irrevocabilità del recesso
6. Recesso e forza legale del contratto
7. L’inizio dell’esecuzione del contratto
8. Efficacia temporale del recesso
9. Le funzioni del recesso
10. I presupposti del recesso
11. Il recesso come negozio giuridico
PARTE QUARTA
CONTRATTO E TERZI
(di Aldo Checchini)
CAPITOLO VIII
IL DIVIETO CONTRATTUALE DI ALIENARE (ART. 1379 C.C.)
1. Spunti etimologici
2. I divieti negoziali nella pratica
3. I divieti legali di alienare
4. Cenni storici
5. La questione dogmatica
6. Le direttive fondamentali contenute nell’art. 1379 c.c.
7. Norma di principio o norma residuale?
8. La pretesa «efficacia reale» di alcuni divieti negoziali di alineare: a) Il divieto di cessione dell’usufrutto.
9. (Segue) b) Il divieto di cessione del credito
10. (Segue) c) Il divieto di cedere la quota di s.r.l.
11. (Segue) d) I divieti condominiali
12. Il requisito dell’interesse apprezzabile nelle «opzioni» previste dalla legge
13. Conclusione: l’art. 1379 c.c. richiama principi inderogabili
14. Il significato dell’interesse apprezzabile
15. I convenienti limiti di tempo
16. Ulteriori problemi di validità della clausola
17. L’inadempimento del divieto
18. Soggezione di altre figure negoziali alla regola dell’art. 1379 c.c.
CAPITOLO IX
IL CONFLITTO FRA PIÙ DIRITTI PERSONALI DI GODIMENTO (ART. 1380 C.C.)
1. Cenni introduttivi
2. L’interpretazione riduttiva
3. L’interpretazione giurisprudenziale «eversiva»
4. Il problema della natura dei diritti personali di godimento e la revisione critica delle categorie dogmatiche; cenni
5. I diritti personali di godimento come categoria autonoma: a) L’attribuzione del godimento e la conseguente soggezione del dante causa
6. (Segue) b) Le vicende del diritto personale di godimento e la necessità di una legittimazione a disporre; critica
7. La distinzione in base al criterio della opponibilità: la pretesa natura reale di alcuni diritti personali di godimento
8. La critica alla tesi realistica e la riaffermazione della natura relativa dei diritti personali di godimento
9. La distinzione che fa capo alla disciplina del possesso e dell’acquisto a titolo originario
10. L’ambito di applicazione dell’art. 1380 c.c.
11. Il conflitto e l’acquisto del godimento
12. La soluzione del conflitto secondo la dottrina e le questioni dogmatiche irrisolte: il c. 1° dell’art. 1380. c.c.
13. (Segue) Il c. 2° e 3° dell’art. 1380 c.c.
14. L’art. 1380 c.c. e le azioni spettanti al concessionario
CAPITOLO X
LA PROMESSA DEL FATTO DEL TERZO (ART. 1381 C.C.)
1. Il codice attuale e le vicende precedenti
2. Le questioni principali da chiarire
3. Fattispecie non regolate dall’art. 1381 c.c.: promessa di fare, promessa in nome altrui, promessa di un indennizzo
4. Le giustificazioni dogmatiche: norma interpretativa; conversione legale
5. Teorie tradizionali
6. L’indennizzo garantisce l’oblato per ciò che rischia nell’interesse del promittente
7. L’obbligazione di adoprarsi, intesa come «cura sine effectu», quale conseguenza eventuale della promessa
8. Il significato della promessa è quello di un impegno negoziale di protezione dell’oblato
9. La promessa del fatto altrui garantisce che l’utilità della prestazione fornita al promissario non sarà inferiore al sacrificio dal lui affrontato
10. Il significato dell’affidamento
11. Il fatto promesso
12. La ricostruzione dell’istituto, le lacune dell’art. 1381 c.c. e la tesi della Cassazione
13. Questioni in tema di indennizzo
14. Cenni sulla struttura del negozio
PARTE QUINTA
CLAUSOLA PENALE E CAPARRA
(di Federico Roselli)
CAPITOLO XI
CLAUSOLA PENALE E CAPARRA
1. La clausola penale. Nozione
2. Funzione risarcitoria e funzione sanzionatoria della clausola penale
3. Aspetti pratici della disputa circa la funzione, risarcitoria o sanzionatoria, della clausola penale
4. Accessorietà della clausola penale all’obbligazione
5. Imputabilità dell’inadempimento sanzionato con la clausola penale
6. L’oggetto della clausola penale
7. Penale per il ritardo nell’inadempimento (pena moratoria)
8. Divieto di cumulo della prestazione principale con la penale
9. Riduzione della penale
10. Se la riduzione possa essere disposta dal giudice d’ufficio
11. Riducibilità della clausola nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione
12. Se la clausola penale possa essere compresa tra le clausole vessatorie
13. La caparra confirmatoria. Nozione
14. Funzione della caparra confirmatoria
15. Accessorietà e realità del patto di caparra confirmatoria
16. Effetti della consegna della caparra
17. La caparra e la multa penitenziale
PARTE SESTA
SIMULAZIONE
(di Aurelio Gentili)
CAPITOLO XII
SIMULAZIONE E TEORIA GIURIDICA
1. Il compito della teoria giuridica in materia di simulazione
2. L’oggetto della teoria e la definizione della fattispecie
3. Metodo descrittivo e metodo prescrittivo nella ricostruzione della disciplina
4. Teoria e dottrine della simulazione: teoria della nullità e teoria dell’inefficacia dell’atto simulato
CAPITOLO XIII
LA SIMULAZIONE NELLA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO: LA TEORIA DELLA NULLITÀ E LA TEORIA DELL’INNEFICACIA
1. La simulazione nelle codificazioni ottocentesche
2. Dalla pandettistica al B.G.B.: la teoria della simulazione in Germania
3. La teoria volontaristica di F. Ferrara
4. La teoria dichiarativistica di G. Messina
5. La teoria precettivistica di E. Betti
6. La teoria causale di S. Pugliatti
7. L’eclettismo della metà del secolo
8. La teoria dell’inefficacia per inesecuzione preordinata nel pensiero di S. Romano
9. La simulazione tra «fattispecie» ed «autoregolamento» nel pensiero di A. Auricchio
10. La simulazione nella dottrina francese
CAPITOLO XIV
LA NOZIONE GIURIDICA DELLA SIMULAZIONE DEL CONTRATTO
1. Premesse metodologiche
2. Volontà, dichiarazione, causa nel contrasto fra contratto simulato e accordo simulatorio
3. Nozione dell’accordo simulatorio e delle controdichiarazioni in senso sostanziale e loro natura negoziale
4. Simulazione totale e parziale
5. Simulazione soggettiva e oggettiva: l’interposizione
6. Simulazione assoluta e relativa: il contratto dissimulato
7. Causa simulandi, illiceità, frode, falso
8. Simulazione e riserva mentale
9. Simulazione e fiducia: inconsistenza della distinzione tradizionale
CAPITOLO XV
SIMULAZIONE, INVALIDITÀ, INEFFICACIA
1. Incoerenza e inutilità della tesi della nullità
2. Nel contratto simulato non manca la «volontà» nel senso rilevante per la validità
3. Nel contratto simulato non manca la causa, né rileva per la validità un intento contrastante
4. Soggetti e oggetto: la natura strutturale del «vizio» di simulazione
5. Diversità di disciplina tra simulazione e nullità
6. Duplice significato e inconsistenza della tesi della inefficacia
7. Simulazione e inesistenza
8. L’«inefficacia» del contratto simulato
CAPITOLO XVI
LE REGOLE DI SOLUZIONE DEI CONFLITTI
1. Regole di prevalenza e conflitti fra le parti
2. Il conflitto con il subacquirente di buona fede
3. I conflitti con i creditori e gli altri terzi
4. La disciplina delle situazioni «fiduciarie»
5. Sintesi della regola di prevalenza
CAPITOLO XVII
LA SIMULAZIONE NELLE IPOTESI DIVERSE DAL CONTRATTO DI SCAMBIO
1. La simulazione oltre i confini del contratto a prestazioni corrispettive
2. La simulazione nella materia delle società
3. Sull’ammissibilità logica di una simulazione del contratto di società e l’inammissibilità della simulazione dell’ente
4. La simulazione nel sistema delle impugnative della società fissato nel codice
5. La simulazione del matrimonio nell’opinione tradizionale e la riforma del diritto familiare
6. La disciplina della simulazione del matrimonio
7. Simulazione ed atti unilaterali
CAPITOLO XVIII
IL GIUDIZIO DI SIMULAZIONE
1. Premesse
2. L’azione di simulazione: natura, interesse, legittimazione, irrilevabilità d’ufficio, litisconsorzio
3. La sanatoria
4. La prescrizione
5. La prova
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