Sollevate alcune questioni innanzi alle Sezioni Unite in riferimento al principio di immutabilità del giudice

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Se il principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, comprensiva anche del momento della formulazione delle richieste delle prove e/o di quello dell’adozione della relativa ordinanza di ammissione, oppure è principio che inerisce solo alla fase dibattimentale dell’assunzione delle prove dichiarative.

Se per il rispetto del principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., in caso di mutamento della composizione del giudice dopo l’assunzione delle prove dichiarative, è sufficiente solo accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento oppure occorre verificare la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati.

(Rimessione del ricorso alle Sezioni unite)

(Normativa di riferimento: C.p.p art. 525, c. 2)

Il fatto

La Corte di appello dell’Aquila dichiarava la nullità della pronuncia di primo grado del 18/04/2017 con la quale il Tribunale di Chieti in composizione collegiale aveva condannato K. B. alla pena di giustizia in relazione ad una serie di reati di spaccio di sostanza stupefacente, commessi – in concorso con M. M. e H. D., nei cui confronti si procede separatamente – in varie località, tra l’agosto del 2014 e il gennaio del 2015).

Con ordinanza avente pari data, la Corte revocava la misura cautelare custodiale cui era sottoposto l’appellante, disponendone la scarcerazione e rilevava come la sentenza di primo grado fosse stata emessa in violazione del principio di immutabilità del giudice previsto dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. in quanto il collegio giudicante era stato modificato (con la sostituzione di uno dei suoi tre componenti) tra la prima udienza del 04/10/2016 nella quale era stata dichiarata l’apertura del dibattimento e adottata l’ordinanza di ammissione delle prove, e le udienze successive nelle quali erano stati assunti i mezzi di prova testimoniale, sicché alla deliberazione avevano concorso magistrati in parte diversi da quelli che avevano partecipato al dibattimento, inteso in tutti i momenti successivi alla sua dichiarazione di apertura; e come fosse irrilevante la circostanza che le parti avessero prestato acquiescenza alla utilizzazione delle prove acquisite dal precedente collegio, tenuto conto che quella inosservanza aveva determinato una nullità assoluta della sentenza, non potendo trovare applicazione alcuna delle cause di decadenza o di sanatoria di cui agli artt. 182 e 183 cod. proc. pen.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale sentenza presentava ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello de L’Aquila il quale, con un unico motivo, deduceva l’inosservanza ovvero l’erronea applicazione dell’art. 525, c. 2, c.p.p. per avere il Giudice di secondo grado omesso di considerare che il Tribunale, che aveva deliberato la prima decisione, era composto dai tre magistrati dinanzi ai quali si era svolta l’intera istruttoria dibattimentale essendosi il precedente collegio limitato ad ammettere, con ordinanza, le prove, prima che intervenisse il mutamento della sua composizione; nonché per non avere tenuto conto che, in ogni caso, dopo quella sostituzione di uno dei componenti del collegio, le parti non avevano chiesto la rinnovazione dell’assunzione di alcun mezzo di prova, avendo prestato implicitamente il consenso alla lettura delle dichiarazioni precedentemente assunte.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva prima di tutto come l’esame del ricorso imponesse la decisione di due questioni, tra loro complementari, aventi ad oggetto l’esatta definizione dell’ambito applicativo del principio della immutabilità del giudice, fissato dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. (secondo cui “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento“) e al riguardo si osservava come nella giurisprudenza, elaborata in sede nomofilattica, si fossero delineati difformi indirizzi interpretativi.

In particolare, si reputava necessario affrontare tale questione giuridica partendo dalla sentenza ‘Iannasso‘ del 1999 con la quale le Sezioni Unite avevano delineato i principi che avrebbero dovuto governare l’applicazione della norma processuale in esame.

Si evidenziava infatti come, con tale pronuncia, l’Alto Consesso avesse avuto modo di puntualizzare che, nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l’esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti e, nell’enunciare tale principio, la Corte sottolineò che, allorquando nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova assunta in precedenza, il giudice può di ufficio disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali (Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, Iannasso ed altro, Rv. 212395).

Chiarito ciò, si rilevava al contempo che, in questo arresto giurisprudenziale, le Sezioni Unite – pure valorizzando i dicta della giurisprudenza costituzionale (cfr. C. cost., sent. n. 17 del 1994; e C. cost., ord. n. 99 del 1996) – dirimendo il contrasto che era sorto nella giurisprudenza delle Sezioni semplici, evidenziarono che se è legittima l’allegazione al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, svoltasi dinanzi al giudice poi sostituito, in caso di rinnovazione del dibattimento dinanzi al nuovo giudice, la lettura (e, dunque, la utilizzabilità) delle dichiarazioni raccolte nel dibattimento precedente è legittimamente compiuta solo se “l’esame non abbia luogo“, ovvero se l’esame non si compia per volontà delle parti, manifestata espressamente ovvero implicitamente con la mancata richiesta di riaudizione del dichiarante.

Si faceva presente oltre a ciò che, pur senza prendere precisamente posizione sulla questione, ma con una sorta di obiter dictum, le Sezioni Unite aggiunsero altresì che la anzidetta lettura non potesse considerarsi legittima “quando l’ammissione della prova sia nuovamente richiesta (e) il giudice la ammetta ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen.” e dunque prima che vi sia stato il riesame del dichiarante: lasciando così intendere che la rinnovazione avrebbe dovuto riguardare tanto la formulazione delle istanze probatorie e l’adozione della relativa ordinanza ammissiva, quanto l’assunzione della prova dichiarativa.

Dai passaggi argomentativi di tale sentenza, ad avviso della Corte, era, dunque, arguibile come la disposizione dettata dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. (da leggere in collegamento con l’art. 511, comma 2, stesso codice, secondo cui “la lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo“) fosse stata interpretata nel senso che, in ipotesi di mutamento della composizione del giudice, l’adozione di una nuova ordinanza di ammissione della prova dichiarativa ed il riesame del relativo dichiarante sono attività necessarie solamente se le parti ne abbiano richiesta la riaudizione mentre, al contrario, in mancanza di una tale istanza, ovvero in caso di consenso espressamente manifestato dalle parti o implicitamente desumibile dal silenzio da loro serbato, l’emissione di una nuova ordinanza di ammissione, ex artt. 190 e 495 cod. proc. pen., di quella prova non occorre e il giudice, nella sua nuova composizione, ben può dare direttamente lettura delle dichiarazioni rese nel corso della precedente istruttoria dibattimentale.

Una volta messi in rilievo i tratti salienti che connotavano questa pronuncia emessa, come appena visto, dalle Sezioni Unite, gli ermellini evidenziavano però come tali soluzioni ermeneutiche non fossero state successivamente seguite dalle Sezioni semplici in maniera costante ed uniforme.

Difatti, si prendeva atto di un diverso orientamento nomofilattico innanzitutto con riferimento alla esatta determinazione del significato “partecipazione al dibattimento“: perché, ad opinione sempre di quanto sostenuto in questa ordinanza, se pacificamente si era ritenuto ininfluente il compimento da parte del giudice sostituito di attività meramente ordinatorie, come il rinvio del dibattimento ad altra udienza, ovvero di attività preliminari al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento ai sensi dell’art. 492 cod. proc. pen., era rimasto discusso se sia o meno rilevante, ai fini del rispetto del considerato principio dell’immutabilità, una diversità di composizione tra il giudice che ha disposto l’ammissione della prova dichiarativa e quello dinanzi al quale è avvenuta la sua assunzione.

A tal riguardo si notava come, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il principio di immutabilità mira ad assicurare l’identità tra il soggetto che delibera la sentenza e quello che ha presieduto alla raccolta della prova sicché esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha curato l’istruttoria dibattimentale: ne consegue, si è detto, che non sussiste una violazione di quel principio e non causa alcuna nullità la circostanza che il giudice collegiale che ha disposto l’acquisizione della prova non precostituita sia diverso dal collegio che ha proceduto all’assunzione della prova e alla successiva deliberazione finale (in questo senso Sez. 5, n. 1759/12 del 04/10/2011, omissis, Rv. 251727; Sez. 3, n. 42509 del 25/09/2008, omissis, Rv. 241534) evidenziandosi al contempo come siffatta impostazione – in apparenza non conforme alle indicazioni della sentenza ‘Iannasso‘ – fosse stata seguita anche da altre pronunce ma nelle cui enunciazioni sempre ad avviso della Cassazione, era possibile riconoscere una variante nei seguenti termini: essendo stato sì ribadito che il principio di immutabilità esige soltanto che a decidere sia lo stesso giudice che ha presieduto all’istruttoria, ma è stato aggiunto che non sussiste alcuna violazione di tale principio qualora, successivamente al provvedimento di ammissione delle prove ma prima dell’inizio dell’istruttoria dibattimentale, muti l’organo giudicante, solo in assenza di obiezione o esplicita richiesta delle parti di rivisitazione dell’ordinanza ex art. 495 cod. proc. pen. (così Sez. 6, n. 18615 del 16/04/2013, omissis, Rv. 254843; Sez. 6, n. 43005 del 03/04/2012, P., Rv. 253789).

Invece, alla luce di un secondo orientamento giurisprudenziale, il principio di immutabilità, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera attività dibattimentale restandone esclusa solo l’adozione dei provvedimenti ordinatori miranti all’ordinato svolgimento del processo con la conseguenza che il giudice, il quale decide sulla richiesta delle prove, ammettendole o negandone l’ammissione, non può non essere lo stesso che delibera la sentenza (così in Sez. 4, n. 48765 del 15/07/2016, omissis, Rv. 268875; in senso conforme Sez. 1, n. 35669 del 17/01/2003, omissis, Rv. 226066; e, prima della sentenza ‘Iannasso‘, Sez. 6, n. 543/98 del 04/11/1997, omissis, v. 209238; Sez. 4, n. 8411 del 08/05/1996, omissis, Rv. 206456) e, in tale ottica, seguendo un indirizzo accreditato da autorevole dottrina, si ebbe modo di sostenere che ciò che è impegnativo non è tanto il momento della formale declaratoria di apertura del dibattimento ai sensi dell’art. 492 cod. proc. pen., quanto l’adozione della ordinanza sulla richiesta di prove a norma del successivo art. 495 cod. proc. pen. in guisa tale che il principio dell’immutabilità del giudice può dirsi non violato solamente quando il giudice, che ha svolto l’istruttoria e assunto la decisione finale, non sia lo stesso che ha compiuto l’accertamento della regolare costituzione delle parti e che ha dichiarato l’apertura del dibattimento (in questo senso Sez. 2, n. 31924 del 11/07/2013, omissis, Rv. 256791; Sez. 2, n. 14068 del 18/01/2007, omissis, Rv. 236456).

Enucleati questi due diversi approdi ermeneutici, venendo a trattare un’altra questione, ossia quella concernente l’esatta definizione dei presupposti per ritenere che, in caso di mutamento della composizione del giudice, le parti che non abbiano domandato la rinnovazione dell’istruttoria, abbiano così implicitamente manifestato il consenso alla lettura delle dichiarazioni rese prima del cambiamento del giudice, si prendeva atto come fosse riconoscibile un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in quanto, da un lato, è prevalente il filone interpretativo – in apparenza più coerente alla impostazione offerta dalle Sezioni unite nella richiamata sentenza ‘Iannasso‘ – secondo il quale non sussiste la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., qualora le prove siano valutate da un collegio in composizione diversa da quello davanti al quale le stesse siano state acquisite, e le parti presenti non si siano opposte, né abbiano esplicitamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, in tal caso, si deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (così, tra le molte, Sez. 5, n. 36813 del 23/05/2016, omissis, Rv. 267911; Sez. 5, n. 44537 del 10/03/2015, omissis, Rv. 264683; Sez. 6, n. 53118 del 08/10/2014, omissis, Rv. 262295; Sez. 5, n. 5581/14 del 30/09/2013, omissis, Rv. 259518), dall’altro, vi è un orientamento minoritario il quale richiede qualcosa di più per poter ritenere che il precetto contenuto nell’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., non sia stato violato nel senso che, in caso di intervenuta modifica della composizione del collegio, se il consenso alla omessa rinnovazione del dibattimento può essere manifestato anche in forma tacita, è necessario però che il comportamento silente della parte sia univoco e, cioè, che ad esso possa essere attribuito esclusivamente il significato di acconsentire all’utilizzo delle prove precedentemente assunte mentre, a fronte di ciò, il silenzio serbato dalle parti del processo è un dato di per sé ‘neutro‘ che necessita di essere ‘riempito‘ con il riferimento ad ulteriori circostanze significanti (quale, ad esempio, una qualche forma di richiesta o di sollecitazione formulata al giudice nella nuova composizione) che possano dare al comportamento omissivo una valenza univoca (in questo senso Sez. 6, n. 17982/18 del 21/11/2017, omissis, Rv. 273005).

Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione riteneva sussistente un contrasto giurisprudenziale che, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., giustificava la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite e pertanto ne disponeva la sua rimessione a queste Sezioni, chiedendo che decidessero sulle seguenti questioni:

– “se il principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, comprensiva anche del momento della formulazione delle richieste delle prove e/o di quello dell’adozione della relativa ordinanza di ammissione, oppure è principio che inerisce solo alla fase dibattimentale dell’assunzione delle prove dichiarative“;

– “se per il rispetto del principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., in caso di mutamento della composizione del giudice dopo l’assunzione delle prove dichiarative, è sufficiente solo accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento oppure occorre verificare la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati“.

Conclusioni

Nell’ordinanza in questione, connotata da una analitica esposizione degli orientamenti giurisprudenziali elaborati in riferimento al principio di immutabilità del giudice, si evidenziano due particolari profili di criticità afferenti tale principio, ossia: a) se il principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., riguarda l’effettivo svolgimento dell’intera fase successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, comprensiva anche del momento della formulazione delle richieste delle prove e/o di quello dell’adozione della relativa ordinanza di ammissione, oppure è principio che inerisce solo alla fase dibattimentale dell’assunzione delle prove dichiarative; b) se per il rispetto del principio di immutabilità del giudice, sancito dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., in caso di mutamento della composizione del giudice dopo l’assunzione delle prove dichiarative, è sufficiente solo accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento oppure occorre verificare la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati.

Non resta dunque che vedere come le Sezioni Unite decideranno su tali questioni.

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