Il caso
Se la casa familiare è stata assegnata alla moglie, può quest’ultima continuare ad abitarla nel caso in cui la figlia sia maggiorenne e studi fuori città? È questa la domanda alla quale, con l’ordinanza in commento, hanno dato risposta i Giudici di Piazza Cavour.
La pronuncia in questione prende le mosse dal ricorso presentato da un padre avverso la decisione della Corte d’Appello di Lecce, con la quale la Corte distrettuale, pronunciandosi in sede di reclamo, aveva ritenuto legittima l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie malgrado la figlia fosse maggiorenne e residente, per motivi di studio, in altra città.
Il ricorrente fondava il proprio ricorso in particolare sulla violazione dell’art. 360, nn. 3) e 5) c.p.c. in relazione agli artt. 155-quater e 337-sexies c.c., sostenendo che la decisione del giudice distrettuale avesse dato rilievo prioritario all’interesse della figlia maggiorenne a scapito di quello del figlio minore, il quale, a causa delle relazioni conflittuali fra i genitori, si era volontariamente allontanato dalla casa coniugale andando a vivere con il padre e con la nonna.
La decisione della Corte
Gli Ermellini, nell’ordinanza in commento, hanno precisato che nel caso di specie non vi era stata alcuna violazione degli artt. 155-quater c.c. e 337-sexies cc., che specificano che il godimento della casa coniugale è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Detta assegnazione pertanto non costituisce una componente patrimoniale delle obbligazioni che sorgono in seguito alla separazione o al divorzio o una misura posta a tutela del coniuge economicamente più debole, ma è una misura finalizzata esclusivamente alla tutela dei figli, garantendogli la possibilità di continuare ad abitare la casa ove vivevano e a non troncare i rapporti con i luoghi ove si svolgeva la loro vita precedentemente alla separazione dei genitori. Si vogliono in tal modo evitare bruschi cambiamenti e si tratta, in definitiva, di una misura finalizzata a garantire un maggiore serenità ai figli, già scossi dalla separazione dei genitori.
Come la stessa Suprema Corte ha avuto modo di precisare, presupposto inderogabile e necessario dell’assegnazione è costituito “dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti” (così Cass. n. 23591/2010), e detto provvedimento è finalizzato a tutelare “l’interesse (dei figli) a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni sociali che in esso si radicano” (in tal senso il granitico orientamento della giurisprudenza: Cass. 6979/2007, 16398/2007, 14553/2011, 21334/2013).
Alla luce di ciò, la Cassazione ha ritenuto pienamente legittima la decisione della Corte d’Appello di Lecce. Il Supremo Collegio ha precisato infatti che nel caso di specie, sebbene la figlia maggiorenne fosse studentessa universitaria “fuori sede” e tornasse nella casa familiare solo di tanto in tanto, aveva comunque mantenuto un collegamento stabile con l’abitazione nella quale conviveva con la madre. Questo a differenza del fratello, che sei anni prima si era allontanato spontaneamente dalla casa coniugale, decidendo volontariamente di andare a vivere dalla nonna (e dal padre).
Per tali motivi la Cassazione ha confermato la decisione della Corte distrettuale ed ha condannato il ricorrente alle spese processuali del grado di legittimità.
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