La moral suasion del giudice nella mediazione demandata

La mediazione è il luogo per fare incontrare le parti e trovare un accordo in maniera autonoma, al termine di un percorso, o in maniera eteronoma attraverso la proposta del mediatore.

Il decreto legislativo n.28 del 4 marzo 2010 prevede all’articolo 5 comma 2 la possibilità per il giudice “anche in sede di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”.

L’ordinanza del Tribunale di Perugia

Al riguardo l’ordinanza dell’11 ottobre 2016 del Tribunale Ordinario di Siracusa, II Sezione civile, della dottoressa Stefania Muratore rappresenta un esempio, non l’unico nella produzione del giudice togato, di percorso decisionale da seguire per la concessione di una mediazione demandata.

La pendenza di un giudizio di divisione relativo a un’unica unità immobiliare, non comodamente divisibile, e in mancanza di accordo la vendita all’asta con maggiori esborsi e un rischio di acquisto da parte di terzi viene valutata in senso favorevole a un tentativo di mediazione, stante anche natura, valore e materia della causa.

Il fatto di non essere ancora state precisate dalle parti le conclusioni consente, per il giudice, di poter disporre ancora la mediazione demandata senza per questo avere un ritardo, che possa considerarsi significativo (3 mesi) nella descrizione della lite. Nell’ordinanza il giudice motiva la sua scelta anche con un riferimento a un’eventuale fase d’impugnazione con ulteriore aggravio di spese, che appare la motivazione più debole fra tutte alla luce delle intenzioni delle parti.

Soprattutto, non a caso indicato come primo, elemento di disposizione della demandata la dottoressa Muratore valuta il comportamento delle parti, le quali “hanno manifestato l’intenzione di definire bonariamente la controversia”. Un comportamento che il giudice ha rilevato nelle precedenti udienze.

Questa ordinanza consente di verificare quali sono i presupposti temporali e, di fatto, per la concessione in giudizio di un tentativo di mediazione presso un organismo di mediazione. Una mediazione che ci si aspetta, al di là del raggiungimento di un accordo fra le parti, vada al di là dell’incontro preliminare.

In conseguenza l’ordinanza fissa l’udienza per la precisazione delle conclusioni fissando termine per il deposito della domanda di mediazione.

La moral suasion della demandata verso le parti e il mediatore

L’ordinanza merita attenzione, non tanto per la formula di rito in caso di mancato esperimento e di esito negativo del procedimento di mediazione, ma per il riferimento alla necessità “che al primo incontro, l’attività di mediazione sia concretamente espletata” e perché “invita il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti” (art.11co.1 D.lgs.cit).

Un invito alle parti di fatto a entrare sin dal primo incontro senza esitazione o remore in mediazione.

Se nulla questio sull’invito alle parti, appare una forma di moral suasion nei confronti del mediatore, che come dispone testualmente l’art.11 co.1 del D. lgs 28/10 “Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione”. La proposta è obbligatoria in caso di richiesta congiunta delle parti, proposta facoltativa e discrezionale in caso di richiesta di una sola delle parti e proposta naturalmente impossibile in assenza di richiesta.

In conclusione l’ordinanza sembra mettere le parti “spalle al muro” e il mediatore nelle condizioni di utilizzare ogni strumento, anche quello della proposta.

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Dott. Pizzigallo Francesco

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